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CENNI SULLA FUNZIONE DI OSSERVAZIONE DELL'INFERMIERE PSICHIATRICO: RELAZIONE CON IL PAZIENTE, AFFIDABILITA' E PREVENZIONE DEL SUICIDIO.

Vincenzo Longo

U.O. Clinica Psichiatrica, Policlinico Universitario di Catania

1 - Imprevedibilità del paziente psichiatrico e rischio di suicidio.

La mia prima esperienza come infermiere professionale è stata al Pronto Soccorso Pediatrico del Policlinico dell'Università di Catania, dove sono stato assunto nel lontano 1977. Qualche anno dopo sono stato trasferito in Clinica Psichiatrica, reparto in cui è avvenuta la mia formazione: da circa quattro anni lavoro presso il servizio di Day-Hospital Psichiatrico, e non più nel reparto di degenza.

Ricordo ancora il mio primo impatto con i pazienti psichiatrici: mi sentivo “spaesato“, timoroso e devo confidare di non avere avuto fino a quel momento un'idea ben chiara di come avrei dovuto relazionarmi con il paziente, a causa della mia scarsa esperienza.

Anche il rapporto con il personale infermieristico psichiatrico nei primi mesi è stato difficile anche a causa della mia scarsa esperienza in quei pochi anni di servizio alle spalle, ma con un confronto costruttivo, grande disponibilità ed umiltà sono riuscito ad affinare le tecniche che venivano insegnate durante il periodo di formazione professionale ed ho capito come avvicinarmi a questa tipologia di paziente per me nuova.

In una torrida giornata estiva siciliana, mentre espletavo il mio turno lavorativo pomeridiano, sentii delle grida allarmanti che provenivano dal refettorio della Clinica Psichiatrica. Mi precipitai lì, ma ormai era troppo tardi: un uomo affetto da depressione grave in un momento di estremo sconforto aveva forzato la finestra del 4° piano che si affacciava su una terrazza senza ringhiera e si era buttato giù da una altezza di circa venti metri. Intervenimmo prontamente ed il paziente venne trasferito presso un reparto di terapia intensiva, ma dopo qualche giorno di coma il paziente morì. Questo suicidio mi colpì molto e condizionò la mia successiva condotta professionale.

Per molti mesi diversi interrogativi attraversavano insistentemente la mia mente: avevamo svolto bene il nostro lavoro? Avremmo potuto salvare questa vita? Anche dal punto di vista legale si accertò se ci fossero state o meno delle responsabilità da parte del personale infermieristico per negligenza e mancata sorveglianza, ma nessuna responsabilità fu accertata. Restava comunque il fatto che una persona era morta e forse avremmo potuto salvarla.

Dopo questa esperienza drammatica, vigilare diventò uno dei nostri compiti primari: stavamo particolarmente attenti ai pazienti entrati da poco e trattati con terapia antidepressiva, specialmente nei primi giorni di terapia quando talora si manifesta una sorta di effetto “disinibente“ dell'antidepressivo. Ma anche i pazienti schizofrenici in fase di miglioramento venivano guardati con attenzione in quanto pazienti a rischio di suicidio.

Alcuni anni dopo il reparto di Clinica Psichiatrica venne trasferito al secondo piano e anche qui si verificò un altro episodio drammatico ma, per fortuna, finito bene. Durante il nostro turno di servizio al reparto maschile, fummo chiamati d'urgenza al reparto donne. Le colleghe chiedevano aiuto per una paziente psicotica che si era recata in giardino e da qui aveva scavalcato la recinzione e afferrandosi a quest'ultima era rimasta sospesa nel vuoto ad un'altezza di circa 10 metri dal suolo.Ogni tentativo per convincerla a scendere dalla recinzione risultava vano: la paziente diventava sempre più ansiosa ed impaurita e a quel punto escogitammo un tanto improvvisato quanto efficace mezzo di sicurezza. La legammo, in qualche modo, con un lenzuolo alle sbarre della recinzione; nel contempo il medico di guardia chiamava i vigili del fuoco, che arrivati sul posto tagliavano le sbarre e riuscivano a salvare la paziente, portandola incolume al suolo.

Un altro tentato suicidio che mi ha colpito particolarmente è stato quello di un paziente affetto da disturbi depressivi, che durante il riposo pomeridiano aveva escogitato un “sistema di auto-incaprettamento“ particolarmente ingegnoso: una corda, annodata da un lato alla testata del letto, creava un cappio attorno al proprio collo; spingendo con i piedi una sedia a cui era legata l'altra estremità della corda si esercitava una trazione sulla corda che determinava l'impiccamento. Quando siamo arrivati il paziente era già asfittico, ma fortunatamente le sue condizioni non erano gravi, e con la pronta rimozione del cappio ed un'adeguata somministrazione di ossigeno, il paziente si riprese in breve tempo.

Ho raccontato alcuni casi esemplari per far capire a chi si appresta a svolgere questo lavoro di essere sempre scrupoloso, vigile ed attento e di considerare sempre l'imprevedibilità del paziente psichiatrico seriamente disturbato.

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