Commento
all'intervista di Russel Katz di Silvio Garattini
Ho
letto con interesse l'intervista del Dr. Katz. Molti punti sono
condivisibili, mentre per altri avrei molte perplessità. Non
vi è dubbio che le leggi con cui opera la FDA, come quelle con
cui opera l'EMEA, sono fatte più per favorire l'industria
rispetto all'interesse dei pazienti e, dove esiste, del Servizio
Sanitario Nazionale. Prendiamo un esempio: abbiamo certamente a
disposizione molti farmaci antidepressivi, anche perché molti
principi attivi si moltiplicano in rapporto con le varie forme del
co-marketing e con la perdita della protezione brevettuale. Data la
scarsità degli studi clinici controllati e randomizzati,
sappiamo molto poco in termini comparativi se cioè alcuni
farmaci siano più o meno attivi e/o più o meno tossici
di altri. Questo determina una grande incertezza in chi prescrive e
in chi deve scegliere quali farmaci rimborsare per i pazienti;
l'esperienza e le impressioni, per quanto importanti, non sono
certamente un sostituto delle acquisizioni scientifiche della
medicina basata sull'evidenza. La risposta dell'industria e delle
autorità regolatorie a questa obiezione è di solito la
seguente: "non c'è bisogno di fare confronti perché
è noto che avere molti farmaci per la stessa indicazione
permette di curare più ammalati; chi non risponde ad un
farmaco può rispondere ad un altro farmaco".
Dove
sono i dati a sostegno di questa affermazione? Semplicemente non
esistono al di fuori dell'anedottica. Tuttavia se questo è
lo scopo della disponibilità di molti me-too, perché
non si studiano in modo corretto? Si dovrebbero raccogliere pazienti
resistenti al farmaco antidepressivo A e randomizzarli a placebo e al
nuovo farmaco B. Ma questo non viene fatto. Si ricorre invece, quando
va bene, a studi di equivalenza e di non-inferiorità, che
certamente non servono agli ammalati, ma solo a chi ha la finalità
di ottenere una fetta di mercato. Fra l'altro dovrebbe essere
considerato non-etico esporre pazienti ai rischi di una
sperimentazione, spesso senza informarli correttamente sui puri scopi
di commercializzazione della ricerca stessa. Spesso si approvano
farmaci con l'obbligo di realizzare studi a posteriori, dopo
l'approvazione. Ma quante volte questi studi vengono eseguiti? Si
calcola che si realizzino solo circa la metà di queste
ricerche. Per giustificare queste inadempienze, spesso le industrie
si trincerano dietro l'osservazione che non è ritenuto etico
realizzare studi clinici controllati quando il farmaco è già
stato approvato. E così il circolo vizioso della non-eticità
si chiude!
Ciò
che è sicuro è che farmaci di cui conosciamo molto poco
in termini di "vantaggio" aggiunto spesso costano molto di più
dei vecchi farmaci: i confronti in questo senso fra triciclici
antidepressivi e SSRI oppure fra antipsicotici classici e atipici
sono evidenti. Si dovrebbe riflettere su quante cose si potrebbero
fare a favore dei pazienti mentali e delle loro famiglie con i soldi
che vengono così sprecati.
Infine,
è bene ricordare che il giudizio dato dalle autorità
regolatorie sui nuovi farmaci si basa esclusivamente su dati
realizzati e presentati dall'industria. Molte analisi mostrano che
gli studi che producono questi dati hanno bias di varia natura dovuti
alla scelta del farmaco di confronto, quando esiste, al minimizzare
effetti collaterali, all'uso di end-points surrogati, al conflitto
di interessi e così via. Sarebbe molto importante che fossero
disponibili fondi pubblici per realizzare ricerche "indipendenti".
Si potrebbe introdurre il concetto della obbligatorietà di
almeno uno studio di fase 3 condotto da un ente non legato
all'industria produttrice del nuovo farmaco.
Utopia?
Può
darsi ma è certo che non si può tollerare una continua
perdita di credibilità dei farmaci presso il pubblico dovuta
al ritiro di prodotti di largo consumo per motivi di sicurezza o alla
secretazione di studi clinici negativi. |
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