Regioni
a lungo inadempienti
NO
A GUERRE DI RELIGIONE, C'E' IL PROGETTO OBIETTIVO
di Mario Maj*
(da IL SOLE 24 ORE SANITA del 2-8 ottobre
2001 n° 38, pag. 9)
pagina a cura di Gennaro Esposito, Pol.it
- redazione di Napoli
La guerra di religione che si profila a proposito
della legge 180 solo in minima parte è espressione di difficoltà
e contrasti interni al mondo della tutela della salute mentale; in larga
misura, invece, essa è il prodotto di conflitti e contrapposizioni
ideologiche che a quel mondo sono estranei.
Il bipolarismo è probabilmente una
novità utile per la politica italiana, perché può
rendere più comprensibile per i cittadini il panorama politico e
può aumentare la stabilità dei Governi. Tuttavia, il trasferimento
della logica
del bipolarismo allíintera società,
al mondo della cultura e a quello delle professioni può essere assai
pernicioso: può compromettere líautonomia e la lucidità di
pensiero e di giudizio della gente, può radicalizzare le posizioni
e renderle stereotipate e rigide, e può alimentare la conflittualità.
Ci sono, nella società e nel mondo
della cultura e delle professioni, dei settori particolarmente vulnerabili
a questi
rischi del bipolarismo: uno di essi è
la magistratura, un altro è la psichiatria. Al di là degli
schieramenti politici e ideologici, la legge 180 non è un oggetto
ragionevole per una guerra di religione. Infatti questa legge, pur essendo
nata in un momento politico particolare e pur essendo stata generata in
misura significativa da un movimento politicamente
connotato, ha una valenza sul piano tecnico
e socioculturale che i politici non possono ignorare.
La 180 è una legge-quadro che fissa
alcuni princìpi generali, di cui i più significativi sono:
1) il superamento degli ospedali psichiatrici;
2) líintegrazione dellíassistenza psichiatrica
nel Servizio sanitario nazionale;
3) líorientamento prevalentemente territoriale
dellíassistenza psichiatrica;
4) la limitazione del trattamento sanitario
obbligatorio in condizioni di degenza ad alcune situazioni ben precisate.
Si tratta di princìpi largamente
condivisi dagli operatori della salute mentale e, mi sento di dire, dagli
utenti. Anche il superamento degli ospedali psichiatrici, che per anni
è parso a molti impossibile, è oggi una realtà che
tutti considerano irreversibile.
Inoltre, non si può negare che,
grazie alla legge 180, la maggior parte degli italiani abbia imparato ad
avere nei
confronti della sofferenza mentale grave
un rispetto e una tolleranza maggiori che in passato.
La legge 180 delega alle Regioni il compito
di individuare le strutture per la tutela della salute mentale, e líinadempienza
di diverse Regioni ha creato per molti anni una situazione di incertezza
e confusione.
Tuttavia, nel 1994 e nel 1999, due progetti-obiettivo
emanati con decreto del presidente della Repubblica (vedi)
hanno definito in maniera chiara e articolata come la tutela della salute
mentale deve svolgersi, quali sono le strutture in cui i dipartimenti di
salute mentale debbono articolarsi, quante debbono essere queste strutture
e quanti utenti esse debbono accogliere.
Le strutture previste da questi progetti-obiettivo
sono state però realizzate solo in parte e gli organici dei dipartimenti
di salute mentale rimangono gravemente carenti. Tra i presìdi elencati
dai progetti-obiettivo ci sono anche le strutture residenziali, destinate
a far fronte ai «bisogni di lunga assistenza» delle persone
con patologie mentali gravi.
Sono previste strutture residenziali a
vari livelli di protezione, per situazioni di diversa gravità. È
prevista la partecipazione del privato sociale e imprenditoriale alla gestione
di queste strutture. Il numero massimo dei
posti in ognuna di queste strutture è
fissato in 20.
Le nuove proposte di legge attualmente
in discussione in Parlamento, a un primo esame sommario, sembrano mettere
in discussione tre aspetti principali dellíattuale organizzazione dellíassistenza
psichiatrica:
1) il numero e le caratteristiche delle
strutture residenziali;
2) il ruolo rispettivo del pubblico e
del privato nellíassistenza psichiatrica;
3) i luoghi e le modalità di attuazione
del trattamento sanitario obbligatorio.
Si tratta di problemi che, a mio parere,
è legittimo sollevare. Tuttavia, non credo che il modo in cui essi
sono affrontati nelle proposte in questione sia il più appropriato
e, soprattutto, sono convinto che affrontare questi temi non significhi
affatto mettere in discussione i princìpi fissati dalla legge 180.
Le strutture residenziali vanno sicuramente
meglio regolamentate. Sono necessari criteri per líaccreditamento
di queste strutture, sia pubbliche che
private, che riguardino non solo gli spazi, i posti e il numero degli operatori,
ma anche le attività che in esse debbono svolgersi.
Già oggi purtroppo in alcune di
queste strutture si ritrovano realtà simili a quelle dei vecchi
manicomi, per la concentrazione dei pazienti, la spersonalizzazione, líincuria
e líabbandono. Aumentare il numero dei posti in ciascuna di queste strutture
fino a 50, con possibilità di accorpamento di più strutture,
come una delle proposte di legge in discussione prevede, e accentuarne
la natura custodialistica a spese della connotazione socio-riabilitativa,
come fanno entrambe le proposte di legge, non farebbe altro che aumentare
il rischio della riproduzione di realtà manicomiali.
Il coinvolgimento del privato sociale e
imprenditoriale nellíassistenza psichiatrica va sicuramente incentivato,
ma non ritengo proponibile che il privato gestisca tutte le strutture di
un dipartimento di salute mentale, come una delle proposte di legge in
questione sembra prevedere. Si può regolamentare in maniera più
precisa il trattamento sanitario obbligatorio extra-ospedaliero, che la
legge 180 non esclude, ma le condizioni e le procedure previste dalle due
proposte di legge appaiono non convincenti, né sembra proponibile
che il trattamento sanitario obbligatorio sia
richiesto «da chiunque ne abbia
interesse».
La proposta dovrebbe essere sempre di un
medico. Il progetto-obiettivo emanato nel 1999 è scaduto il 31 dicembre
2000 e vige attualmente solo ìin prorogatioî. Io credo sia logico e opportuno
che tecnici e politici, piuttosto che lasciarsi andare a una lacerante
guerra di religione avente per oggetto líabrogazione o meno della legge
180, lavorino assieme
per rendere il nuovo progetto-obiettivo
ancora più articolato e convincente dei precedenti e, soprattutto,
perché tale nuovo progetto sia realmente applicato, cioè,
sia vincolante per le Regioni (con sanzioni ben definite in caso
di inadempienza) e abbia un ben individuato
e adeguato supporto finanziario.
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