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Report del convegno Neuroscience and Psychoanalysis: Memory, emotions and dreams

Genova 4 Novembre 2004

A cura di: G. Mauceri, G. Fornaro, M. Senini, E. Fiscella

 

Il convegno odierno, organizzato dal Professor Mauro Mancia in collaborazione con la Società psicoanalitica Italiana, ha voluto segnare un passo in avanti nell’integrazione tra psicoanalisi e neuroscienze attraverso lo studio della memoria e del sogno.

 

Nella prima sessione mattutina, moderata dal Professor Mauro Mancia e da Franco Orsucci, sono intervenuti Mancia stesso e Naoyuki Osaka.

Mauro Mancia - Università di Milano - Società Italiana di Psicoanalisi

Secondo Mancia le possibilità di interazione tra psicoanalisi e neuroscienze divengono consistenti nello studio di numerosi aspetti della mente, ma soprattutto delle funzioni della memoria e del sogno, entrambe intimamente connesse all’inconscio.

Rispetto alla memoria ha ricordato che nell’ambito della memoria a lungo termine è possibile distinguere una memoria di tipo dichiarativo o esplicita e una memoria non dichiarativa o implicita. La memoria dichiarativa è conscia, va incontro a rimozione, ha struttura simbolica e necessita dell’integrità delle strutture dell’ippocampo, del lobo temporale e della corteccia Orbito-Frontale.

La memoria non-dichiarativa, inconscia e pre-simbolica, che si sviluppa a partire dalle ultime settimane di gestazione fino al secondo anno di vita, è gestita dall’amigdala, dal cervelletto, dalle aree occipito-temporo-parietali e dai nuclei della base e non va incontro a rimozione poiché le strutture deputate alla repressione non si sono ancora sviluppate.

Anche l’inconscio presenta due dimensioni, che corrispondono a quelle della memoria: la "repressed dimension" soggetta a rimozione, con struttura simbolica verbale che si sviluppa dopo i tre anni di vita, e l’"unrepressed dimension", non soggetta a rimozione, presimbolica e preverbale, che si sviluppa nel periodo della genesi della memoria non dichiarativa.

Le modalità di recupero della memoria all’interno di queste due forme di inconscio sono profondamente diverse tra loro. Nell’inconscio rimosso la memoria è recuperabile attraverso associazioni libere, interpretazioni di lapsus e atti mancati, mentre l’inconscio non rimosso si può recuperare attraverso il transfert e il sogno, ma senza l’aiuto del ricordo dato che non sviluppa memoria esplicita. Il transfert, soprattutto nella sua dimensione musicale, è interpretabile attraverso la comunicazione infraverbale. che comprende il tono, il timbro, il ritmo, la musicalità, la prosodia e la sintassi del linguaggio del terapeuta e del paziente. Tutti questi elementi sono strettamente legati all’esperienza della voce materna.

Diversi lavori hanno dimostrato che il sogno è presente sia nel sonno REM che nel sonno non REM anche se con caratteristiche qualitativamente diverse. Bosinelli dimostrando che il sogno è presente anche nella fase non REM ipotizzò che esistesse un unico organizzatore onirico indipendentemente dalle condizioni del sonno. Secondo un’altra ipotesi vi sarebbero due generatori capaci di generare sogni qualitativamente e quantitativamente diversi. Dal punto di vista qualitativo nel sonno REM sono maggiori il numero di situazioni bizzarre e paradossali e il numero di parole utilizzate dal paziente per descriverle e la loro complessità. Probabilmente aumentano anche la componente emozionale durante la rievocazione e le probabilità di ricordare il contenuto del sogno.

La corteccia visiva primaria e le aree frontali sono deattivate nel sonno REM, l’area della memoria a breve termine non è attiva ed è per questo che non si ricordano. Esistono altre aree indispensabili per l’organizzazione del sogno quali la corteccia occipitale, il cingolo anteriore, l’ipotalamo, il ponte e altre strutture del tronco.

La memoria repressa determina l’insorgere di un desiderio che non può essere appagato e viene rimosso. Nel sonno la motricità si riduce notevolmente e l’energia psichica, non potendosi realizzare nel sistema motorio, si scarica nella percezione come allucinazione onirica. Nel sogno dunque il desiderio si può esaudire solo come allucinazione cosicché fu definito da Freud come una soddisfazione allucinatoria di desideri rimossi nell’infanzia.

Freud successivamente rivede tale modello e pone una censura tra sistema percettivo e coscienza che spiega come il desiderio vada incontro a distorsione e modificazione, processi che costituiscono la differenza tra contenuto latente e manifesto.

Vi sono due dimensioni dl sogno: intrapsichica, in cui sono proiettate e rappresentate dinamiche interne e intrasoggettiva che rappresenta la relazione con l’analista, spesso spettatore nel sogno. L’analisi del sogno permette il recupero di esperienze dimenticate, inconsce, presimboliche e preverbali.

Naoyuki Osaka e MariKo Osaka- Kyoto University

Osaka ha esposto uno studio nel quale venivano effettuate scansioni in Rm funzionale durante la stimolazione uditiva dei soggetti attraverso parole in lingua giapponese a legate al dolore affettivo sia dal punto di vista semeiologico sia onomatopeico. le aree cerebrali coinvolte nella percezione di tali parole indurrebbero l’attivazione di vie ascendenti a proiezione troncoencefalica e limbica.

Lo studio, svolto nel 2003, è stato compiuto su 25 soggetti di età compresa tra i 25-27 anni, ha previsto l’utilizzo di parole suggestive di dolori forti e pungenti per testare le regioni sensibili coinvolte. I soggetti, immobili e ad occhi chiusi, in corrispondenza delle parole pronunciate dall’operatore venivano invitati a formare immagini mentali in relazione alle parole udite.

Secondo i risultati dello studio alcune aree venivano attivate con valori molto alti ad elevata significatività statistica: e la corteccia pre-frontale ventro-laterale (VLPFC) e la corteccia anteriore del cingolo (ACC), aree cognitive attivate in situazioni di conflitto e deputate alla percezione del dolore implicito. Meno coinvolte si sono rivelate essere altre zone cerebrali come la corteccia uditiva primaria, il lobo parietale superiore e inferiore.

Da tale evidenza si è dedotto che probabilmente il cingolo è legato a strumenti associati a situazioni di conflitto che ricordano il dolore affettivo e la sua risoluzione.

La coattivazione di ACC e VLPFC ha dimostrato che nel corso dell’esperimento c’è un aumento dei processi di recupero delle sensazioni nelle quali esiste correlazione tra sfera cognitiva e quella affettiva.

In particolare la diagnostica per immagini ha evidenziato che tali stimoli vengono elaborati dalla corteccia del cingolo, che ha funzioni cognitive e media la percezione del dolore, e da zone della corteccia prefrontale laterale.

Jorge Armony - Mc Gill University of Montreal

Armony analizza l’effetto dei messaggi subliminali o maschere retrocesse sulla percezione degli stimoli attraverso una revisione della letteratura sull’argomento e la presentazione del suo studio sull’attenzione spaziale. Già negli anni cinquanta Vicay e successivamente Sours avevano prodotto evidenze circa il fatto che l’associazione di un messaggio subliminale a stimoli privi di significato è grado di influenzare il gradimento dello stimolo. Per esempio, utilizzando come messaggio subliminale un volto felice o arrabbiato, nonostante i volti non siano percepiti coscientemente influenzano la percezione dello stimolo. Armony ha inoltre dimostrato come gli stimoli subliminali attraggano l’attenzione spaziale in modo automatico.

Misurando l’attività cerebrale attraverso scansioni RMN si è notato che il sistema nervoso centrale reagisce allo stimolo subliminale come se fosse presentato in modo conscio. In particolare se lo stimolo subliminale è un volto arrabbiato, o "angry mask" si innesca un circuito cerebrale che arriva all’amigdala attraverso due percorsi, che hanno due funzioni diverse. Dagli occhi lo stimolo visivo raggiunge il talamo e di qui una via diretta, veloce, raggiunge l’amigdala per fornire un a prima rapida reazione alla situazione senza dare alcuna informazione precisa e circostanziata, ma inducendo uno stato di allerta nel corpo e nella mente del soggetto. Una seconda via, sempre a partenza talamica, più lenta perché multisinaptica, raggiunge la corteccia, soprattutto nelle sue aree visive, fornendo informazioni più circostanziate sul contesto nel quale lo stimolo è percepito. Per esempio è molto diverso se vediamo una serpe nel bosco oppure allo zoo. Questa via a proiezione corticale ci informa se possiamo stare tranquilli o se dobbiamo instaurare una reazione di fuga e agisce in senso inbitorio sull’amigdala. Tuttavia grazie alla via diretta i valori emotivi dello stimolo hanno accesso privilegiato al cervello bypassando la percezione conscia e modificando l’attenzione attirata dallo stimolo emotivo.

Guido Gainotti — Università Cattolica di Roma

Nel suo intervento ha analizzato i rapporti tra psicoanalisi e neuroscienze, la struttura del sistema emozionale e i suoi rapporti con il sistema cognitivo e alcuni modelli di rappresentazione e di controllo delle emozioni. Tale analisi si è svolta considerando in particolare le funzioni dell’emisfero destro. Un primo tentativo di creare una correlazione tra cervello ed emozioni risale all’opera "Project for a scientific psychology" di Freud. Tale progetto è stato attualmente ripreso da Kandell. Gainotti si è concentrato sul rapporto tra emisfero destro e emozioni attraverso lo studio di pazienti con lesioni parietali destre o sinistre. I primi studi sull’argomento, che risalgono agli anni cinquanta, rilevarono come una lesione o un’inattivazione farmacologica dell’emisfero destro provocasse nel paziente una reazione euforica o di indifferenza. Al contrario l’inattivazione dell’emisfero sinistro determinava una reazione depressiva e di aggressività. Queste evidenze determinarono la nascita di un modello molto meccanicistico secondo il quale nell’emisfero sinistro vi sarebbe un centro emozionale positivo, bilanciato da un centro emozionale negativo nel destro. In realtà secondo Gainotti, i pazienti con lesioni sinistre sviluppavano una reazione depressiva più che adeguata rispetto alle difficoltà fasiche e motorie che la loro condizione comportava. Inadeguata era invece la reazione indifferente o euforica dei pazienti con lesione destra. Avvalora dunque il modello secondo cui esisterebbe un solo emisfero dominante per le emozioni, ovvero l’emisfero destro. Se questo rimane intatto le reazioni emotive risultano appropriate.

Per quanto riguarda I rapporti tra sistema emozionale e sistema cognitivo si può dire che entrambi costituiscono due sistemi operativi per far fronte ad un ambiente esterno ed interno solo parzialmente prevedibile.

Il sistema emozionale innesca una risposta veloce, inconsapevole e di emergenza, quello cognitivo, consapevole, sviluppa una strategia più complessa ma richiede più tempo per elaborare le informazioni, e lo fa in modo controllato ed esauriente. Caratteristiche comuni sono la necessità di analizzare le informazioni, di elaborare risposte e di avere sistemi di memoria che contengano il significato degli eventi.

Il sistema emozionale possiede un sistema di memoria soggettivo, quello cognitivo, uno oggettivo. La memoria soggettiva è un sistema di emergenza con un numero ristretto di schemi operativi innati e sistemi di memoria automatici inconsapevoli.

il sistema oggettivo cognitivo è più evoluto filogeneticamente, richiede più tempo per elaborare strategie di risposta ed è basato su sistemi di memoria dichiarativa consapevole.

Nel sistema emozionale esiste una gerarchia esistono livelli elementari più bassi in cui l’apprendimento avviene per meccanismi condizionati, per cui vi è una valutazione immediata dei dati sensoriali di base l’elaborazione della risposta avviene attraverso componenti espressivo-motoria, vocale movimento corporeo e componente vegetativa. Un livello più alto in cui l’apprendimento di situazioni emozionali consapevoli determina l’attivazione della memoria dichiarativa.

Nella sessione pomeridiana del simposio moderata da Leonardo Ancona sono intervenuti Michael Anderson (University of Oregon USA) e Matthias Bishof (University Hospital of Bern).

Nell’introduzione Leonardo Ancona ha ricordato come l’intento dei partecipanti al convengo è quello integrare in un'unica disciplina, le Neuroscienze, la Psicologia cognitiva, la Neurofisiologia, la psicoanalisi e il Neuroimaging, riunendo finalmente nature e nurture.

 

Michael Anderson - University of Oregon, USA

Nella sua relazione M. Anderson ha mostrato i risultati di uno studio condotto nel 2001 e pubblicato sulla rivista Nature sulla capacità del cervello umano di bloccare i ricordi indesiderati nel quale per la prima volta è stato identificato un meccanismo che gioca un ruolo nell’ "active forgetting". Si tratta di uno studio di grande interesse in termini applicativi per quanto riguarda la comprensione delle conseguenze di esperienze emotivamente disturbanti e traumatiche, lo studio del fenomeno della dipendenza e della possibilità di sopprimere pensieri indesiderati relativi al craving. Infine secondo Anderson questo modello potrebbe essere d’aiuto nello stabilire quali sono gli individui a rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress.

I partecipanti allo studio sono stati esaminati attraverso un test di memorizzazione di coppie di parole che costituiscono il ricordo e il corrispondente indice di richiamo iniziale e successivi tests di rievocazione e di inibizione dei ricordi.

 

Matthias Bishof - University Hospital di Berna

Matthias Bishof precisa, all’inizio del suo intervento, che tratterà della scomparsa o riduzione dell’attività onirica a seguito di un danno cerebrale e perciò da un punto di vista neurologico, non psicoanalitico. Traccia quindi una breve storia del sogno nell’ambito delle neuroscienze, partendo dal 1883, quando Charcot pubblica il caso di una donna che aveva reminescenze visive durante la veglia, ma non durante il sonno, vale a dire che continuava a sognare, ma non "vedeva" i sogni, e da Wilbrand, che nel 1887 descrive il caso di una prosopoagnosia associata a perdita della attività onirica in un individuo con infarto cerebrale. Kleitman e Aserinski scoprono poi il sonno REM, che compare 70-90’ dopo l’addormentamento insieme a un’attivazione EEG, e Jouvet che i movimenti rapidi oculari si accompagnano ad atonia muscolare di grado elevato, precisando inoltre il ruolo del tegmento pontino nella generazione di questa fase del sonno. Dement, partendo dalla osservazione che la gran parte dei pazienti svegliati durante il sonno REM poteva ricordare dei sogni, ha concluso che si potesse stabilire una corrispondenza tra sonno REM e sonno onirico. In realtà anche il 50% degli individui svegliati durante il sonno non-REM può ricordare di aver sognato e quindi quella equivalenza non può essere postulata. Ciò che è vero è che i sogni fatti durante il sonno REM sono più lunghi e riportati in maniera più precisa. Gli studi sulla deprivazione del sonno REM hanno mostrato come tale privazione possa essere effettuata solo per pochi giorni, in quanto essa esita in quello che è un piccolo disturbo mentale con preminenza di difficoltà di concentrazione. Tale effetto è reversibile con il ritorno a un sonno fisiologico.

Tuttavia è stato riportato il caso di un uomo ferito alla testa durante la seconda guerra mondiale, con danno a carico del tronco encefalico, che era del tutto privo di sonno REM ma conduceva una vita normale. Qual è dunque la funzione di questa fase del sonno? Alcuni ricercatori hanno concluso che essa sarebbe importante per lo sviluppo del SNC; per altri è una sorta di porta verso la veglia.

A questo punto il relatore passa a considerare i rapporti tra patologie neurologiche e attività onirica. La narcolessia è una patologia paradigmatica. Essa, nella sua forma completa, è costituita dalle seguenti manifestazioni: cataplessia, allucinazioni ipnagogiche, paralisi nel sonno, ipersonnia. Negli individui affetti la fase REM si verifica subito dopo l’addormentamento, dimostrando così che si tratta proprio di un disturbo di tale fase.

Il morbo di Parkinson è associato a incubi e allucinazioni, che sono spesso effetti collaterali del trattamento con L-Dopa, e così, similmente, la malattia di Lewy-Body.

La Sindrome di Charcot-Wilbrand (CWS) è caratterizzata da una riduzione o da una scomparsa totale del sogno dopo danno cerebrale focale, accompagnata da prosopoagnosia, agnosia topografica, irreminiscenza visiva. A riguardo è risultato esemplificativo il caso di una donna di 73 anni, con storia di ipertensione, ricoverata per un’improvvisa emianopsia sinistra associata ad acromatopsia, diminuzione dell’acuità visiva, atassia bilaterale grave. Gli esami strumentali di neuroimaging hanno dimostrato che la sintomatologia era riconducibile a uno stroke di origine cardioembolica nel territorio dell’arteria cerebrale posteriore bilaterale. Tre notti dopo l’evento ictale la signora ha riportato sogni vividi, seguiti poi da una cessazione totale dell’attività onirica. Dopo 14 settimane ha descritto un breve sogno, ma a un anno di distanza residuava comunque una forte riduzione della frequenza dei sogni. Questo caso mostra perciò un’associazione tra la CSW e iniziali sogni vividi, mentre la cessazione del sogno può essere una condizione neurologica isolata, senza altra manifestazione.

Va aggiunto infine che alle neuroimmagini si può evidenziare spesso una compromissione del giro linguale inferiore associata a CSW.

LINK CORRELATI

  1. INTERVISTA A M.MANCIA
  2. INTERVISTA A M. ANDERSON

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