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Attenzione: questo Ë un vecchio file, che conteneva la seconda parte dell'articolo di Parin che era diviso in tre parti, successivamente accorpate alla prima. Torna quindi all'indirizzo: http://www.pol-it.org//ital/riviste/psicouman/parin99.htm

 

Psicoterapia e Scienze Umane, 1999, XXXIII, 2: 5-30

MENZOGNE IN TEMPO DI PACE
Tentativo di una critica psicoanalitica ed etnologica dei diritti dell'uomo
(2/3)

Paul Parin**

Osservazioni psicoanalitiche sul problema dei diritti universali dell'uomo

È stato affermato che i diritti universali dell'uomo sono profondamente ancorati all'essenza dell'uomo, che l'uomo è «buono per natura», e che soltanto l'ingiustizia della società lo rende malvagio e cattivo (Jean Jacques Rousseau). Partendo da questa concezione, viene posto il problema ontologico della costante «buono o cattivo», il problema dell'Essere così, della dotazione dell'uomo, dei suoi bagagli pulsionali. A ciò la psicoanalisi freudiana dà una risposta chiara: tanto il comportamento amoroso (Eros), che quello ostile al proprio simile (aggressività) sono contenuti nel bagaglio pulsionale di ogni uomo. La costante antropologica non è dunque «buono o cattivo», ma «buono e cattivo». Il problema ontologico è dunque superfluo. Esso viene sostituito dalla constatazione che la psiche, solo dopo un lungo e complicato processo di sviluppo, produce ciò che noi osserviamo come fenomeno: il modo in cui l'«uomo adulto» si comporta, sente, pensa e agisce. Il problema se l'uomo sia «buono o cattivo» è formulato spesso in maniera manichea, nel senso di un aut aut. Tutte le «grandi» religioni e molte scuole filosofiche hanno una risposta al riguardo. Non è sorprendente che si cerchi continuamente di dare un giudizio etico al comportamento adottato dinanzi ai diritti dell'uomo, e di sottoporre questi a una morale. La psicoanalisi non è adatta a dare una valida risposta al problema etico; ci risparmia la ricerca di un principio morale. Essa cerca invece di esaminare nell'uomo adulto, e, partendo da questi, nella famiglia, nella tribù, nel popolo, vale a dire in ogni tipo di comunità umana, il risultato dello sviluppo psichico. Cerca di scoprire, per esempio, quali strutture, maturatesi nell'«apparato psichico» (come Freud ha definito la vita interiore) promuovano, o al contrario riducano, una disposizione e un comportamento conformi ai diritti universali dell'uomo.

La psicoanalisi non solo «non è adatta» a trovare una risposta al problema di una legge morale (Ethos) valida o universalmente valida; essa può dimostrare che il problema è mal formulato. Sigmund Freud (1927) ha dimostrato a suo tempo che le religioni, compreso l'Ethos che è loro inerente, sono illusioni, che devono la loro origine al medesimo complesso e inconscio processo di sviluppo da cui derivano i sintomi nevrotici; e che da esse perciò non si può trarre alcuna legge ragionevole. Peraltro il metodo etnopsicoanalitico ha dimostrato che ogni sistema tradizionale di valori dell'individuo deriva specificamente, e dunque in maniera univoca, da fenomeni storici e sociali (Io del gruppo, coscienza del clan). Se oggi i Cinesi dichiarano di fronte agli europei di avere dei «diritti dell'uomo», diversi tuttavia da quelli europei, lo psicoanalista dovrebbe obiettare: «Se si adducono argomenti di carattere morale, senz'altro». I diritti dell'uomo, però, sono qualcosa di diverso da un principio etico. Almeno in due fondamentali sistemi di valori della sua cultura (cinese), il marxismo e la dottrina dell'armonia di Confucio, si può dimostrare che i diritti universali dell'uomo sono senz'altro presenti come elementi costitutivi.

La mia esposizione non può che essere sintetica e dunque superficiale. Asserzioni certe e verificabili sono possibili nella psicoanalisi solo attraverso singole analisi, lunghe e complesse. Se si vogliono trarre da essa leggi generali sui processi interiori, le affermazioni diventano ipotetiche, si avvicinano, per così dire, a una filosofia psicologica speculativa. Nel suo fondamentale lavoro di critica della cultura, «Il disagio della civiltà» (1930), Sigmund Freud ha preso le mosse da un'ipotesi evidente dal punto di vista fenomenologico, ma poco espressiva, e cioè che la psiche si sviluppa in modo da rendere possibile la convivenza degli uomini. Ciò nonostante, cercherò almeno di illustrare in che modo la psicoanalisi si accosti criticamente al problema dei diritti dell'uomo. Seguirò a tal scopo il modello «strutturale» della «metapsicologia», mi chiederò dunque in che modo si debba analizzare ognuna delle tre istanze, l'Io, il Super io e l'Es, per spiegare la particolare disposizione dinanzi ai diritti universali dell'uomo.

I bagagli pulsionali non sono accessibili come tali; i bisogni pulsionali derivano dall'Es, che la psicoanalisi ha in primo luogo equiparato all'Inconscio. Essi devono essere esaminati indirettamente dal loro sviluppo, dai destini delle pulsioni. Resta tuttavia l'impressione che i bagagli pulsionali presentino poche differenze, e che, per esempio, non trovi conferma il detto popolare secondo cui i criminali, i cosiddetti «assassini passionali», sono persone che mostrano fin dalla nascita un eccesso di energia pulsionale aggressiva. Lo sviluppo psichico, che è caratterizzato da un andamento fasico nelle crisi epigenetiche (René A. Spitz), può determinare tuttavia una tendenza duratura a mete pulsionali aggressive o crudeli (fissazione). Eccessive frustrazioni nella fase di separazione del bambino piccolo dalla madre, durante il conflitto edipico e soprattutto nell'adolescenza, possono far sì che le pulsioni erotiche si indirizzino prevalentemente sul proprio Sé, e che le persone di riferimento siano avvicinate non per il soddisfacimento di fini erotici, bensì prevalentemente per il soddisfacimento di pulsioni crudeli (sadiche). In effetti nelle persone che tendono a violazioni particolarmente ripugnanti dei diritti universali dell'uomo, sono stati spesso riscontrati tali disturbi «narcisistici» della personalità. Tuttavia il fatto che si arrivi davvero a un'efferata violazione dei diritti universali dell'uomo non è da ascrivere, per quanto riguarda le cause, alla sola fissazione narcisistica. Questa è piuttosto una di una serie complementare di fattori: modelli particolari, personalità di leader e ideologie aggressive, come pure un ambiente (sociale) in grado di scatenare angoscia e furore inerme, fanno sì che i «caratteri narcisistici» diventino colpevoli e violino regole e norme di valori universalmente valide.

Al Super io viene ascritta la funzione di rappresentare l'istanza che, nel corso dello sviluppo psichico, fa sì che si stabilisca una potente voce interiore, la quale a sua volta fa in modo che i valori eterni, trasmessi dalla tradizione, diventino principi regolatori del comportamento. Il Super io si manifesta attraverso le leggi e i divieti interiori; quando le sue richieste sono ignorate, nasce il senso di colpa. Per questo motivo, esso viene equiparato alla coscienza. Coloro che violano i diritti universali dell'uomo, si afferma, non hanno una coscienza oppure hanno una coscienza difettosa. Lo sviluppo interiore avrebbe fallito nella formazione del Super io. Si è supposto anzi che non tutti i tipi di socializzazione, nei vari popoli o strutture sociali, portino alla formazione dell'istanza del «Super io». Quest'ultima obiezione non è però convincente. Non sono quasi conosciuti modelli tradizionali di socializzazione che risparmino agli adolescenti la formazione dell'istanza del Super io o che la rendano impossibile. Uomini «senza coscienza» non ci sono in nessuna cultura. Al contrario, esistono forme di Super io che trasmettono sistemi di valori e norme di comportamento completamente diversi da quelli che sarebbero necessari per il rispetto dei diritti universali dell'uomo. Nelle caste di guerrieri per esempio si trasmettono concezioni di valori che contraddicono quelle dei diritti universali dell'uomo; lo stesso vale per i maschi allevati in una cultura del machismo (patriarcale). D'altro canto anche un Super io troppo rigido, al servizio di una morale cristiana radicale o di un'altra «buona causa», come per i comunisti fanatici, può motivare la persona a violare i diritti dell'uomo. L'Io si pone al servizio del «buon» fine. I riformatori fanatici possono ben diventare assassini.

Come contro altre istanze interiori, si possono stabilire meccanismi di difesa dalle richieste del Super io, che le rendano temporaneamente o definitivamente inefficaci, così da far tacere il senso di colpa. L'esempio più noto è quello della formazione del soldato. In tutti gli stati che dispongono di forze armate, le reclute sono formate, sul finire dell'adolescenza, a violare, in determinate circostanze, il comandamento universale di «Non uccidere». La formazione del soldato viene fatta attraverso processi di apprendimento (disciplina, rigido addestramento) e attraverso l'identificazione con ideologie o con i loro esponenti, leader, ufficiali, e così via. La difesa dalle richieste del Super io è così efficace che la maggior parte dei soldati in quasi tutte le guerre erano (e sono) convinti di combattere per una giusta causa e uccidono i nemici senza sensi di colpa. Per gli assassini di Keraterm, è presumibile che l'indottrinamento da parte della direzione politica e militare abbia avuto un ruolo molto importante, e che la disciplina non sia stata imposta attraverso l'apprendimento e il rigido addestramento, come accade generalmente nella formazione del soldato. In questo contesto si sono rivelati, quali fattori psicologici di immediata efficacia, l'identificazione con i comandanti subalterni e la pressione di gruppo, nelle comunità cospiratrici di combattenti e criminali. Nelle bande delle cosiddette truppe paramilitari, il Super io dei membri viene ampiamente sostituito dall'identificazione con i capi e i gregari criminali, i quali, a loro volta, si difendono dalle richieste del Super io aderendo al piano criminale della direzione suprema e alla sua esasperata ideologia nazionalistica. Naturalmente la paura e la minaccia da parte dei propri camerati e capi sono molto importanti negli assassinii «barbari ed efferati». Le confessioni che talvolta vengono rese in seguito, magari dopo anni, come è accaduto, per esempio, in Argentina, da parte di ufficiali che avevano torturato, lasciano supporre che il Super-io di questi assassini era stato soltanto reso inattivo, non completamente annientato. Passata la paura, caduta la pressione di gruppo, svalutati il capo (il generale) e l'ideologia allora dominante, sembra che talvolta affiorino in alcuni assassini il senso di colpa e il bisogno di confessare ed espiare i propri crimini, secondo le richieste del Super io.

All'Io, la struttura cui la psicoanalisi attribuisce (accanto ad altre funzioni) quella di mediare tra l'Es, il Super io e il mondo esterno reale, spetta il compito principale nel determinare il rispetto o la violazione dei diritti universali dell'uomo. Come «organo» di adattamento tra esterno e interno, l'io fallisce, se tale accordo viene attuato a spese dell'adattamento alle note richieste di rispetto dei diritti universali dell'uomo. In altre parole, non le tre strutture, ma l'accordo ottimale tra esse determina il comportamento e l'atteggiamento emotivo e spirituale. Purtroppo dalle conoscenze psicoanalitiche non è possibile trarre alcun modello generale di sviluppo che porti alla formazione di un Io «buono», invece che di un Io forte, dominante; di conseguenza non esiste un modello di educazione o istruzioni pedagogiche particolari da seguire. Si arriva anzi alla paradossale constatazione che le condizioni giuste per lo sviluppo psichico sarebbero date solo se tutti gli educatori, tutto l'ambiente umano del bambino, si fossero già sviluppati in tali ipotetiche «giuste» condizioni. In realtà ogni tipo di socializzazione, o quasi, può dare inizio a una formazione psichica che porterà a un comportamento sociale accettabile. «Saremmo buoni   e non malvagi/ ma all'atto pratico facciamo stragi!» (Bertolt Brecht3) .

Di tanto in tanto sono apparse personalità il cui spirito ed energia sono stati posti completamente al servizio dei diritti dell'uomo (Gandhi, Tolstoj), quasi che su di un'unica persona si fosse concentrato il compito della cultura di onorare e affermare i valori del diritto dell'uomo. Questo sembra indicare che una forma di consapevolezza dei diritti dell'uomo è presente in maniera latente anche in culture in cui essa non si è finora manifestata; nelle osservazioni etnologiche ritornerò sul problema della validità universale dei diritti dell'uomo. Sappiamo che anche gli scopi più puri ed elevati dei riformatori del mondo non offrono garanzie che questi   al servizio della buona causa   non commettano a loro volta dei delitti, una volta raggiunte delle posizioni politiche di potere.


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