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PISCHIATRIA E CULTURA: NOTE E CONFERENZE

Vtitorino Andreoli

 

 

 

La perizia psichiatrica

Vittorino Andreoli

 

Lezione tenuta il 7 maggio 1999 alla Scuola di Specializzazione in Psichiatria Forense dell'Università del Sacro Cuore di Roma.

 

  1. La capacità di intendere e di volere
  2. Tra norma e psichiatria
  3. Sulla pericolosità sociale
  4. Guidici e psichiatria
  5. Domande e risposte

 

 

 

Tra norma e psichiatria

Acnora qualche anno fa, in alcuni processi, si è discusso se ammettere o non ammettere una serie di prove e di valutazioni psicologiche riguardanti l'imputato. La distanza tra psichiatria e diritto è dunque, anche storicamente, molto evidente: per la psichiatria, infatti, il concetto di inconscio è entrato già all'inizio del secolo scorso con Freud, cambiando completamente il modo di interpretare il comportamento umano.

Le aule giudiziarie sono state ‘sorde' molto a lungo. Per questo, gli psichiatri continuano a chiedere, ancora, che venga modificata, per legge, la formulazione della richiesta relativa alla perizia psichiatrica, domandando espressamente che il medico compia una valutazione globale della personalità del soggetto, comprese anche quelle componenti che non sono certamente riducibili alla capacità di intendere e di volere ma nondimeno si mostrano fondamentali nel comprendere i comportamenti.

La scienza psichiatrica deve, infatti, potere applicare gli strumenti che le sono propri, in modo da dare una lettura quanto più veritiera e completa possibile della personalità, sulla cui condanna il tribunale andrà poi a decidere.

Nno c'è psichiatra al mondo che, davanti a un proprio paziente, possa distinguere da una parte l'intendere e, dall'altra parte, il volere. C'è una serie complessa di altre dimensioni che attengono ai meccanismi dell'inconscio, traumi, rimozioni, non consapevoli eppure capaci di condizionare, talvolta completamente, il comportamento.

Ricordo a questo proposito un caso che mi fu sottoposto qualche anno fa, conosciuto, anche alla stampa, come il caso Rozzi.

Rozzi era un ragazzo della periferia romana, che un giorno uccise entrambi i genitori, dichiarando, però, che il suo reale desiderio era di ammazzare soltanto il padre, a seguito di forti litigi riguardanti la destinazione di un immobile.

In quell'occasione, si configurava in lui la volontà di commettere il reato, c'era stato anzi un progetto preciso. Eppure l'intera storia permise di vedere che, in realtà, quel comportamento non era altro che la realizzazione, seppure tardiva e esteriorizzata sul piano della cronaca, del complesso di Edipo teorizzato da Freud.

La conflittualità con la figura paterna che, secondo Freud, si inscriveva in una precisa fase della crescita del bambino, se non risolta, può spingere un soggetto adulto a percepire incessantemente il padre come nemico, non tanto per ragioni concrete o specifiche richieste, ma per traumi passati mai elaborati.

Ferud rilevò, infatti, come il complesso edipico venisse risolto attraverso l'uccisione simbolica del padre. Se questo non accade, la crescita psicologica non è equilibrata, perché la non soluzione tiene in sospeso un'energia che tende a riproporre incessantemente il conflitto, fino a spingere, addirittura, il soggetto a mettere in atto, nel teatro della cronaca e della realtà, quanto non risolto simbolicamente. E dunque, a compiere un omicidio.

Naturalmente si tratta di un caso limite, eppure l'ho riportato perché dimostra come eventi criminosi possano trovare la loro reale motivazione in fatti assolutamente slegati dalla capacità di intendere e di volere strettamente intesa, affondando le loro reali radici nella storia complessa del soggetto.

Il quesito di legge con cui si incarica il perito psichiatra in corso di giudizio penale fa ancora riferimento soltanto a quei due parametri, riportando la psichiatria indietro di oltre un secolo, al tempo delle teorie lombrosiane.

Lo psichiatra veronese Cesare Lombroso aveva sostenuto che il compimento di un delitto fosse in sé segno certo che il soggetto soffre di una malattia di mente, intesa, secondo le teorie dell'Ottocento, come una degenerazione.

Percisamente, influenzato dagli studi di Morel, Lombroso intendeva il delitto come sintomo di una vera e propria alterazione anatomopatologica di aree cerebrali. E ne era a tal punto convinto da avere elaborato intensi studi di fisiognomica, atti a dimostrare come determinate caratteristiche del viso e del corpo risultassero utili per rilevare anomalie del cervello, che invece non era possibile guardare direttamente. Ecco, allora il concetto di degenerazione: in presenza di un atto criminoso, non poteva che esistere un'alterazione cerebrale che avrebbe tolto al soggetto la capacità, chiamata già da allora così, di intendere e di volere.

Oggi nessuno più in psichiatria si sentirebbe di sostenere simili teorie, perché le scoperte degli ultimi decenni hanno davvero rivoluzionato il modo di pensare e studiare il cervello umano.

Queste scoperte hanno reso più urgente la modificazione della normativa penale.

Le richieste del giudice devono essere proporzionate, anche nel linguaggio, allo stato attuale delle conoscenze psichiatriche.

Se il comportamento non è, dunque, riducibile alla sola volontà e intelligenza, vorremmo che il magistrato che chiede a noi il perché del comportamento criminoso, ci permettesse di valutarne tutte le componenti.

Pre questa ragione, quando vengo chiamato per una perizia, chiedo sempre la riformulazione del quesito, in modo che espressamente ampliata la premessa, "valutata la personalità del soggetto, tenuto conto delle condizioni ambientali in cui vive e in cui ha agito". Eppure il giudice non può omettere nel quesito la formulazione richiesta per legge sulla capacità di intendere e di volere, se sia ampiamente, grandemente o totalmente scemata. E' questo il punto che impone assolutamente una modifica.

Nel richiedere, come io faccio, l'amplia premessa del giudice, mi assicuro una specie di legittimità per andare davanti alla Corte d'Assise cominciando a parlare della personalità del soggetto, svolgendo così pienamente la mia professione di psichiatra. Ma la difficoltà è quando, per concludere, devo ridurre la risposta finale al solo profilo delle capacità di intendere e di volere.


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