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PISCHIATRIA E CULTURA: NOTE E CONFERENZE Vtitorino Andreoli La perizia psichiatrica Vittorino Andreoli Lezione tenuta il 7 maggio 1999 alla Scuola di Specializzazione in Psichiatria Forense dell'Università del Sacro Cuore di Roma. - La capacità di intendere e di volere
Tra norma e psichiatriaSulla pericolosità socialeGuidici e psichiatriaDomande e risposte
Domande e risposte
Può chiarire qual è il percorso più opportuno da seguire nell'analisi di una personalità?
Per capire un comportamento nella sua complessità, oggi la scienza psichiatrica
dice che occorre analizzare tre componenti fondamentali: quella biologica, quella psi-cologica
e quella ambientale. Sappiamo da tempo che la biologia influenza il com-portamento,
e per biologia noi intendiamo certamente la genetica, ovvero l'insieme
dei messaggi trasmessi nei geni, che informano e condizionano il comportamento, ma
anche il cervello. Uno psichiatra che voglia studiare il comportamento, di qualunque
natura sia, deve dunque chiedersi: qual è la componente biologica in quel soggetto?
Per esempio, si può procedere a rilevare l'assetto della mappa cromosomica: se, dal-l'esame,
risulti che sono intervenute delle alterazioni, se ne approfondirà la natura.
Riguardo alla funzionalità cerebrale, invece, si dispone di solito la risonanza magnetica
nucleare, da preferire anche alla TAC. Se si riscontrassero sospetti di qualche
alterazione si può procedere a una indagine più accurata, per singoli comparti.
Esaurito l'aspetto biologico, si deve procedere all'analisi di quella che chiamiamo
personalità di base. Si domanderà, a esempio, se si abbia di fronte un soggetto intro-verso
o estroverso, se l'elaborazione delle esperienze sia di tipo depressiva, oppure
tenda alla maniacalità. Tra le caratteristiche su cui soffermarsi un ruolo di grande rilevanza
spetta al comportamento sessuale. Ci sono strumenti notevolissimi, oggi, per
scandagliare non solo gli aspetti strutturali della personalità, ma anche queste componenti particolari.
Compiuto anche l'accertamento sulla personalità, il perito dovrà studiare una terza
componente rappresentata dall'ambiente in cui il soggetto agisce e quindi lo spazio,
fisico ma soprattutto relazionale in cui è stato compiuto il fatto criminoso, considerando
a esempio la famiglia, attraverso specifici test.
Quindi oggi c'è una scienza psichiatrica che ha raggiunto una precisa convinzione
su come portare l'analisi del comportamento e che ha stabilito molti strumenti utili.
Per questo, dopo i primi colloqui orientativi con il soggetto, è bene che il perito o i
periti possano decidere insieme quali esami è più opportuno fare nel caso specifico.
Quanto sono utili gli esami ematochimici al fine di valutare una personalità, e soprattutto,
qual è il ruolo degli ormoni rispetto alla determinazione di un comportamento, per
esempio violento o aggressivo?
Per la componente biologica ho fatto riferimento propriamente alle analisi del cervello,
perché è la parte anatomica che più direttamente viene implicata nel comportamento.
Tuttavia è certo che possiamo cogliere molti elementi utili per l'analisi attra-verso
le valutazioni ematochimiche: la valutazione degli ormoni della sessualità. Su
questo punto, infatti, vorrei sottolineare che la differenza tra l'apporto maschile e fem-minile
nella criminalità è rilevantissimo: in Italia, la popolazione carceraria è media-mente
formata dal 15% di sesso femminile, il resto sono maschi, anche se negli ultimi
anni è assai cambiata la geografia dei reati. Io credo che questa proporzione sia destinata
a cambiare molto, perché risente notevolmente della situazione culturale, e quindi
di quelli che erano stati anche i ruoli che la donna e l'uomo avevano avuto in una so-cietà
che adesso sta cambiando molto. Reati da cui le donne erano ritenute immuni'
sono ora in continuo aumento tra la popolazione femminile.
Però non c'è dubbio che esami di laboratorio ematoclinici possano rivelarsi utili,
quando mostrino alterazioni di qualche organo, spingendo pertanto il medico ad approfondirne
cause e natura.
Pertanto, quando c'è da valutare il perché di un comportamento che noi chia-miamo
in questo caso malato, bisogna fare accertamenti biologici più accurati possi-bili,
purché non ci si soffermi a questo solo, e uguale attenzione sia assicurata all'a-nalisi
della personalità e a quella sull'ambiente.
Lei ha criticato il modo in cui la psichiatria è trattata nelle aule di giustizia. Però ha anche
sottolineato che talvolta gli psichiatri si mettono a disposizione del gioco tra le
parti. Come succede?
Ho certamente detto che talvolta il comportamento di singoli psichiatri è vergognoso,
perché non usano professionalità verso il loro compito, esaurendo in due incontri la valutazione a cui sono chiamati. Tuttavia il lavoro, come già ho precisato,
non viene agevolato. Al di là del luogo delle visite, il carcere, che ha regole rigidissime,
è la considerazione finale del lavoro psichiatrico che viene troppo spesso disat-tesa
dalla magistratura, vanificandone lo sforzo e la competenza.
Se il giudice dispone una perizia psichiatrica, ritenendo questa scienza capace di
fornire elementi utili sul soggetto che la corte non può ottenere da sé, deve necessariamente
mostrare rispetto per il lavoro svolto.
Porto a questo proposito un esempio molto semplice. Mi sono occupato del caso
Carretta. In realtà eravamo in tre psichiatri, ciascuno lavorava per conto di un diverso
soggetto, eppure siamo tutti arrivati a conclusioni comuni.
Questo è un esempio chiarissimo di come tre psichiatri che decidano di svolgere
seriamente il loro compito possono dal punto di vista clinico formulare una sola ana-lisi.
E questo perché si sono applicate le conoscenze della psichiatria e si è fatto di
tutto perché le condizioni di lavoro fossero rispettate.
Anche nel caso Maso, in cui lavoravo alla valutazione della personalità di tre ra-gazzi,
ho dovuto battermi per questo. Li incontravo almeno tre volte la settimana.
Quando, a un certo punto, il mio compito venne ostacolato dalla struttura carceraria,
scrissi una lettera al magistrato, dicendo che o mi si metteva nelle condizioni di avere
rispettato il mio setting, o rinunciavo al lavoro, per ragioni di etica professionale. Nel
giro di quarantotto ore è stata messa a disposizione una stanza nel carcere, con uno
spioncino che mettesse insieme la mia esigenza analitica con il dovere della guardia
carceraria di essere presente.
Queste pretese non sono capricci né manifestazioni di potere. Solo io, come psi-chiatra,
so di che cosa c'è bisogno per studiare il comportamento. Pertanto, se un giudice
mi chiama per fare questo, devo poterlo eseguire secondo professionalità.
Bisogna arrivare a una condizione in cui gli psichiatri possano fare gli psichiatri. Allo
stato attuale delle cose non è assolutamente facile. Ma, d'altra parte, non c'è nessuna
soluzione diversa.
Un altro tema molto dibattuto è se sia corretto affidare la valutazione di un soggetto
a un singolo professionista, lo psichiatra, il cui parere condizionerà il giudice.
In questa critica si propone di risolvere l'impasse, sostituendo al perito un centro o
istituto autorizzato dallo Stato, in cui lavorino équipe.
Questa è la strada seguita, per esempio, in America, dove funzionano centri per
lo studio del comportamento altamente specializzati, in cui il magistrato manda l'im-putato
per un certo numero di giorni, trascorsi i quali si esprime una valutazione, di
cui il giudice terrà conto.
Lei rileva un atteggiamento piuttosto diffidente da parte dei giudici nell'accettare che
comportamenti criminosi, anche efferati, non siano in qualche modo legati alla follia?
E' necessario che la magistratura riesca a capire e accettare le scoperte delle
scienze psicologiche riguardo al legame tra malattia e crimine, che non ha nulla a che
fare con le teorie antiche di Lombroso. Purtroppo non sempre il giudice riesce a su-perare,
culturalmente, quella specie di apparente buonsenso secondo cui certe azioni
sono talmente terribili da non potere che sconfinare nella malattia.
Lo studio dell'ambiente e della dimensione della personalità, come questa si vada
sviluppando a confronto con determinate esperienze e traumi, hanno mostrato allo
psichiatra come non si possa sempre rifugiarsi' nel concetto di malattia di mente.
Esiste il dramma anche dentro alla normalità. La capacità di intendere e di volere
può essere integra, come nel caso Maso, eppure il soggetto compie ugualmente un
omicidio. La categoria della follia non può essere utilizzata e questo disorienta.
Vorrei fare un esempio attinto dalla storia. Quando ho cominciato a lavorare quarant'anni
fa in manicomio, l'omosessualità era considerata una psicosi. Soltanto dal
1992 l'Organizzazione Mondiale della Sanità l'ha cancellata dall'elenco delle malat-tie,
inserendola tra le caratteristiche della personalità.
Anche la psichiatria è dunque in evoluzione. A questo la magistratura deve
mostrarsi disponibile tutte le volte in cui, per chiarire un caso, chiede aiuto agli
psichiatri.
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