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OPG, OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
di
Franco Scarpa ( Montelupo Fiorentino)
RAPPORTI CON I SERVIZI PSICHIATRICI TERRITORIALI
Come descritto precedentemente, è molto importante che vi sia una fattiva collaborazione tra gli operatori dell'OPG e quelli dei servizi psichiatrici territoriali che dovranno prendersi carico dei pazienti, una volta dimessi dagli istituti psichiatrici giudiziari. La transizione, infatti, dell'internato dal vivere nell'OPG al vivere di nuovo all'esterno è molto delicata, deve essere gestita con cura e nei minimi dettagli per evitare che si trasformi in un ulteriore fonte di scompenso ed esacerbazione della malattia psichiatrica e, di conseguenza, del rischio di commettere, di nuovo, un reato. Ecco, quindi, che in questa fase di transizione i servizi psichiatrici devono essere costantemente presenti, non solo fisicamente mediante continue visite agli OPG da parte dei referenti psichiatri, ma anche, più in generale, come servizio sanitario nazionale, offrendo cioË tutte le possibili risorse assistenziali nel campo della salute mentale mediante la costituzione di proprie strutture atte all'accoglienza dei pazienti psichiatrici oppure utilizzando di analoghe strutture private convenzionate con il servizio stesso. Purtroppo, l'auspicata costante presenza di tali servizi si realizza solo in sporadici casi, mentre è più frequente che i contatti avvengano in maniera subcontinua oppure che non vi siano affatto, a meno che non vengano stimolati dagli operatori stessi dell'OPG.
Le ragioni di ciò possono essere varie. Una di queste può essere individuata nei timori suscitati, anche negli stessi referenti psichiatri territoriali, dalle gravose responsabilità di dover gestire sul territorio il folle-reo, timori che rispecchiano, spesso e volentieri, quelli del contesto socio-ambientale che è stato luogo del reato e che ostacola non poco l'eventuale reinserimento del malato di mente che lo ha commesso, anche quando vi siano strutture adeguate all'accoglienza ed assistenza dello stesso. Tali paure si traducono in una specie di rimozione del problema del reinserimento del folle-reo che vede i referenti psichiatri operare, inconsciamente o anche consciamente, nella direzione opposta, e cioË nel ritardare il riaccoglimento del soggetto da parte della società. La richiesta, talvolta più esplicita, talvolta meno, effettuata spesso dai referenti psichiatri del territorio agli operatori dell'OPG è quella di prolungare il periodo della misura di sicurezza e, quindi, l'internamento del paziente nell'OPG.
Un'altra ragione, spesso collegata a questa, è la cronica carenza di quelle strutture intermedie, previste dalla legge n. 180 del 1978 in sostituzione dei vecchi manicomi civili. Con la definitiva chiusura di questi, alla data del 31 dicembre 1996, sancita dalla legge finanziaria del 1994, la situazione si è ulteriormente acuita in quanto la riconversione dei vecchi ospedali psichiatrici nelle varie forme di strutture intermedie, quali le case famiglia, o le comunità ad alta intensità ed altre ancora, non è stata ancora completata. Ciò ha condotto a gravi ritardi nell'inserimento all'esterno dei malati di mente ricoverati in OPG. In altre parole, si è assistito ad un protrarsi, spesso per svariati anni, dell'internamento degli stessi nell'ambito psichiatrico-carcerario, quindi, ad una prolungata carcerazione che da taluni è stato definita, con eccessiva enfasi, ergastolo bianco. Al di là di tale definizione è, comunque, comprensibile come sia oltremodo antiterapeutico, nonché contrario ai comuni principi etici, il trattenere in un ambito carcerario, anche se, al tempo stesso, ospedaliero-riabilitativo, il malato di mente-reo che ha raggiunto una fase di sufficiente compenso psichico-comportamentale tale da far venire meno la pericolosità sociale. Si viene a creare, così, una sorta di circolo vizioso che viene, talvolta, interrotto dall'azione dell'autorità giudiziaria, nelle vesti del magistrato di sorveglianza, il quale dispone l'immediata dimissione dell'internato ed il suo invio in un servizio psichiatrico di diagnosi e cura, per il periodo minimo previsto dalla legge (sette giorni). I servizi psichiatrici territoriali vengono, quindi, messi in condizione di doversi finalmente attivare nel cercare una soluzione idonea all'inserimento del soggetto.
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