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LA TEORIA FREUDIANA RISOLVE "I PARADOSSI DELL'IRRAZIONALITA?" Adolf Grunbaum Università di Pittsburgh Presentato come invited paper alla sessione di Filosofia della Psicologia del XX Congresso Mondiale di Filosofia, Boston, 10 agosto, 1998. In corso di pubblicazione negli Atti del XX Congresso Mondiale di Filosofia, Boston, 1998. Prossimamente nella rivista Philosophy and Phenomenological Research. In corso di pubblicazione negli Atti della Conferenza Internazionale "Freud alle soglie del XXI secolo", tenuta a Gerusalemme, Israele, dicembre 1999. TRADUZIONE DI ALBERTINA SETA
III. Critica di Cavell e Nagel Mi rivolgerò ora all'assimilazione epistemologica di Marcia Cavell e Thomas Nagel delle spiegazioni psicoanalitiche dell'irrazionalità al sillogismo pratico cosiddetto "Estensioni delle Spiegazioni delle Azioni in base al Desiderio-che-diventa-Credenza". Nel suo libro, La mente psicoanalitica (1993, pp.79-80), la Cavell contesta la mia tesi (Grunbaum 1984, 1993) che Freud fallisce nel fornire un'evidenza cogente della sua ipotesi cardinale che la repressione è causalmente necessaria per la nevrosi, e che il risolverla è terapeutico. Insieme ad altri filosofi come Donald Davidson e Thomas Nagel (1994a, 1994b), ella sostiene che alla mia sfida epistemologica si risponde realizzando che "la connessione causale tra repressione e sintomi è fondamentalmente la stessa (per quanto più complessa e meno ovvia) di quella tra desiderio e azione, e azione e credenza" (1993, p.80). In breve, la Cavell asserisce che le spiegazioni causali psicoanalitiche dei sintomi nevrotici, nel senso ampio di Freud, che vi include lapsus e contenuto onirico manifesto, sono estensioni della psicologia popolare del senso comune, poichè anche essi sono conformi al modello del sillogismo pratico (che d'ora in avanti indicherò con "SP") Questo modello configura distintamente un insieme di desiderio-che-diventa-credenza, che si ritiene causi (cause ndt) un'azione. Conseguentemente, la Cavell parla di un'azione come "pienamente intenzionale" e del SP come il "modello (di ndt) spiegazione (in base al ndt) fondamento oggettivo (nel testo: reason-explanation model ndt) " (1993,p.179). Tuttavia, più avanti, ammette che "nessun modello comprenderà tutti i casi di repressione, così come quelli di autoinganno," spiegando che lei stessa ha messo a fuoco l'ampia gamma di casi pertinenti al trattamento psicoanalitico e conformi al modello del SP (1993, p186). Come sappiamo, la psicoanalisi dei pazienti fa uso di ciascuna delle principali branche della pietra angolare rappresentata dalla teoria della repressione: psicopatologia, sogni, lapsus. Ora, come base per contestare la mia sfida epistemologica, la Cavell elenca i presunti modelli di SP delle etiologie della repressione secondo Freud. A proposito della applicabilità alternativa di questo modello esplicativo, sostiene: "Se fosse così, nessuna evidenza induttiva particolare sarebbe necessaria per stabilire una connessione causale nei singoli casi" (1993, p.80). Ma non ci dice, a questo punto, che caratteristiche ha questo schema per poter validare le generalizzazioni universali che rappresentano il principio informatore dei tre pilastri della teoria della repressione di Freud. Presumibilmente, ella fa riferimento a quella sorta di induzione per enumerazione sulla quale Thomas Nagel (1994b, p.56) faceva affidamento quando, nella sua risposta a me, invocava la credibilità intuitiva di singole attribuzioni causali psicoanalitiche: la plausibilità intuitiva (...) si applica necessariamente in prima istanza a spiegazioni specifiche, piuttosto che a principi generali (...) la conferma va dal particolare al generale; è la teoria generale della repressione e dello sviluppo psicosessuale che deve essere supportata da queste istanze individuali, piuttosto che il contrario. In un'energica e cogente contro-argomentazione, Erwin (1996, pp13-19, e inoltre pp.106-107, 26-40 e 122-123) conclude: "Il principio (di conferma) di Nagel è in generale insufficiente a giustificare singole inferenze causali freudiane. La ragione è che uno, o più, dei presupposti empirici che tale giustificazione richiederebbe generalmente non si riscontrano" (1996, p.18). Più avanti negherò che le tipiche spiegazioni psicoanalitiche dei sintomi nevrotici, del sogno, o degli atti mancati, siano genericamente assimilabili al SP. Ma, prima di farlo, devo sottolineare che, perfino se ci fosse questa assimilabilità, queste spiegazioni sarebbero troncate sul nascere epistemicamente, poiché le attribuzioni di Freud dei suoi ipotetici desideri repressi non hanno nessun cogente supporto autonomo (Grunbaum 1984, 1986, 1993). Tra le tante difficoltà, il metodo delle "libere associazioni", sostengo, non è probativo dal punto di vista causale. Inoltre, nelle applicazioni ordinarie del SP per spiegare molte delle nostre azioni, motivazioni come il voler raggiungere una tranquilla vita familiare, una sicurezza economica, o una buona reputazione, sono attestate in maniera indipendente e multipla. Mentre, per esempio, come ho dedotto nei miei scritti, la imputazione di Freud ai paranoici di desideri omosessuali fortemente repressi (1911, 1915, 1922) è gravemente priva di evidenza cogente. Per queste ragioni, la caratterizzazione delle spiegazioni psicoanalitiche come "estensioni" di un modello esplicativo delle azioni sulla base del loro fondamento oggettivo, alla Thomas Nagel, Marcia Cavell, ed altri, semplicemente elemosina un'attenzione epistemologica. Tutto questo come avvertenza preliminare. Per colmo dell'ironia, Richard Wollheim, confratello pro-freudiano di Nagel e Cavell, rigetta esplicitamente l'istanza induttiva puramente enumerativa sostenuta da Nagel, e presumibilmente anche dalla Cavell, senza far menzione di questi autori. Wollheim (1993, cap.VI) presenta la sua spiegazione contraria della conferma psicoanalitica in un capitolo intitolato "Desiderio, Credenza, e il Freud del Prof Grunbaum". Partendo dalla supposta conferma intuitiva di Nagel delle specifiche spiegazioni psicoanalitiche come estensioni credibili della comprensione del senso comune, Wollheim (1993, pp.104-110) considera che l'esame clinico nelle sedute di trattamento psicoanalitico si adatta bene a casi come quello della patogenesi delle ossessioni dell'Uomo dei topi. Tuttavia, Wollheim involontariamente viene incontro a una delle mie principali obiezioni epistemologiche alla teoria freudiana (Grunbaum, 1984, p.278) quando dichiara (1993, p.109): In primo luogo, se le ipotesi psicoanalitiche devono essere verificate clinicamente, dobbiamo presumere, almeno per la durata della verifica, certi principi psicologici più generali, probabilmente di tipo extra clinico, per i quali dobbiamo sperare che gli eventuali test clinici siano stati correttamente approntati. Questi principi includeranno elementi come la formazione del sintomo, i meccanismi di difesa, il processo primario o il pensare concreto, la regressione sotto ansia, tipi di struttura di carattere come il narcisistico o lo schizo-paranoide, e gli stadi di organizzazione della libido. Quanto troveremo credibili questi principi deciderà quanto sia per noi appropriato assumerli in anticipo come test extra clinici mirati (corsivi aggiunti) Erwin (1996, pp.134-135) giustamente spiega che questo passaggio di Wollheim funziona come un boomerang, e porta acqua al mulino delle mie vedute: Questa concessione da parte di Wollheim lascia perplessi. Ipotizziamo che abbia ragione: la conferma clinica di particolari ipotesi psicoanalitiche richiede che noi presumiamo come vere altre parti della teoria freudiana, ma queste, a loro volta, non hanno alcun supporto empirico (in realtà vi è solo una speranza di rintracciare un senso della loro verifica). Se Wollheim ha ragione, abbiamo un nuovo argomento a favore della conclusione di Grunbaum (1984) che il supporto fornito dall'evidenza clinica è, nella migliore delle ipotesi, notevolmente debole. In connessione con ciò, nella sua sistematizzazione delle spiegazioni psicoanalitiche, Wollheim (1993, pp.95-102) lascia senza argomenti Nagel, la Cavell, e altri, che, come ricordiamo, ragionano come segue: le spiegazioni psicoanalitiche che invocano la repressione si conformano tipicamente al SP della psicologia popolare, pertanto possono dispensare "evidenze induttive di tipo speciale" (Cavell 1993, p.80). Come base per questa stessa inferenza, la Cavell (1993, p.180) asserisce che il lavoro di Freud "l'ultimo lavoro di revisione sulla repressione e relativi argomenti (Inibizione, sintomo e angoscia (1925 1926)), costruisce in base a un modello fondamento oggettivo- spiegazione". Al contrario, Wollheim si preoccupa di sottolineare che che vi sono tre varianti di spiegazioni della condotta umana (che includono perfino alcuni lapsus, ma non tutti) per la qual cosa "diventa sempre meno plausibile considerare il comportamento come il risultato di un sillogismo pratico, e corrispondentemente diventa sempre meno convincente pensarlo come un'azione" (Wollheim 1993, p.96). E' deplorevole che Wollheim dimostri di non sapere che nel mio libro del 1984, avevo indicato le più evidenti violazioni del SP da parte di alcune delle più conosciute formulazioni di Freud: cioè le spiegazioni fornite dal suo esempio, ritenuto paradigmatico, del lapsus dell'aliquis, dalle versioni prima e ultima della sua etiologia della paranoia, e (seguendo Michael Moore) dalla intera teoria dei sogni di Freud. Nessuna di queste, penso, si conforma alla struttura intenzionale del SP (Grunbaum 1984, pp.77, 76-77, e 82, rispettivamente). Quanto al caso freudiano, assai noto, del lapsus dell'aliquis, esso descrive la dimenticanza di questa parola latina da parte di un giovane in una citazione dall'Eneide di Virgilio. Ho usato proprio questo lapsus famoso per illustrare il crollo del SP dovuto all'assenza del requisito della credenza nella connessione mezzi-fine (Grunbaum 1984, p.77): Pertanto, prendiamo il già menzionato resoconto di Freud del lapsus di memoria rappresentato dalla dimenticanza della parola latina aliquis, che egli attribuì alla paura repressa del soggetto di una gravidanza... (riferita alla sua amante). Questo caso ben conosciuto non si conforma al sillogismo pratico. Poichè non vi è la minima evidenza che lo stesso soggetto, maschio, andasse incontro a un collasso della memoria nella credenza inconscia (comunque sciocca) di realizzare (appagare) in tal modo il suo desiderio (speranza) che la sua amante non fosse incinta. Pertanto,...non (vi è) nessuna base per rivendicare che il soggetto inconsciamente intendesse il suo stesso fallimento della memoria come un mezzo per raggiungere la desiderata libertà da una gravidanza, perfino nel caso che il suo stesso desiderio fosse qualificabile come un'"intenzione". Come Morris Eagle (1980, pp.368-369) ha sottolineato, vi è una grossa differenza tra un mero desiderio e un piano per realizzarlo. Sia la Cavell che Nagel hanno ignorato questo passaggio nel mio libro. Inoltre, l'assenza della credenza in una relazione mezzi-fine, richiesta dal SP, indebolisce l'opinione di Nagel (1994a, p.35) che la spiegazione di Freud del lapsus mnemonico possa essere un'"estensione intuitivamente credibile" della "struttura generale di spiegazione" del SP. Passando al punto successivo della spiegazione di Freud del sogno e dei contenuti manifesti del sogno, ho scritto (Grunbaum 1984, p.82): ...a parte le stesse opinioni esplicite di Freud, Michael Moore (1980, 1983) ha arguito che, secondo quanto si può evidenziare in Freud, il sognare contenuti onirici manifesti semplicemente non è da considerare come un'azione intenzionale. Per questo emerge che nonostante l'orpello linguistico della parola "intenzione" con il quale egli riveste le spiegazioni dei vari sogni, l'esame concettuale di queste spiegazioni rivela che "i sogni non sono produzioni (azioni) che mettiamo in scena per ragioni (inconsce), ma sono eventi causati da desideri" (Moore 1980, p.538; 1983, p.64) Inoltre, come Owen Flanagan (1995, p.5) ha messo in rilievo, Agostino parimenti negava che i sogni fossero azioni intenzionali, che portiamo a compimento per ragioni precise; essi sono esperienze che ci accadono, anche se sono causate dai nostri desideri. Per questo egli negava di violare il comandamento di Dio contro la fornicazione quando aveva un sogno sessuale bagnato: i sogni possono avere un contenuto peccaminoso senza equivalere a peccati commessi (cfr. Agostino 1961, pp. 233-234) In connessione con ciò, Mele (1997, p.101) difende "un modello esplicativo dell'autoinganno che diverge dai modelli di spiegazione della condotta intenzionale". In breve, egli evidenzia (idem) che "il comportamento motivato non è la stessa cosa del comportamento intenzionale." Infine, riguardo all'etiologia freudiana della paranoia, che attribuisce questo disordine all'omosessualità repressa, ho posto una domanda retorica (Grunbaum 1984, P.76-77): Nella spiegazione psicoanalitica della condotta delirante del paranoico, si può a giusto titolo ritenere che colui/colei che ne è affetto sia in possesso di "fondamenti oggettivi" del suo comportamento così da credere che esso sia un mezzo per ottenere l'appagamento delle sue brame omosessuali? si può asserire che il soggetto paranoico abbia inteso al livello inconscio, i suoi pensieri deliranti persecutori e il suo comportamento per portare a compimento i suoi obiettivi erotici? Giusto per amore dell'argomentazione, postuliamo l'esistenza dell'evidenza clinica che il soggetto paranoide possa inconsciamente considerare i suoi pensieri persecutori come un mezzo per fronteggiare l'ansia generata dall'omosessualità. E supponiamo inoltre che questa credenza non realizzi che la riduzione dell'ansia è guadagnata al prezzo di altre ansie, dovute alle risposte negative di coloro che sono vittime dei suoi sospetti infondati. Perfino in questo caso, una tale credenza inconscia potrebbe difficilmente essere attribuita alla (credenza), completamente diversa, che tali sospetti conducano alla realizzazione dei suoi obiettivi omosessuali. La conclusione della mia argomentazione in questo passaggio (1984, p.77) era che in questo caso non vi era alcuna evidenza empirica dell'esistenza della seconda credenza del raggiungimento dell'appagamento erotico, che sarebbe richiesto dal PS in questo contesto. Inoltre, in un simposio di revisione del mio Fondazioni, nel 1986, io avevo osservato (Grunbaum 1986, p.269) che, costantemente, nell'opinione di Freud sulla paranoia, i sintomi deliranti rappresentano gratificazioni di compromesso tra due desideri conflittuali: il desiderio di un appagamento erotico omosessuale e il desiderio, carico d'ansia, di bandire questo desiderio dall'attenzione cosciente. Ma la Cavell (1993, p.80) prende spunto dalla mia inclusione del desiderio erotico nello scenario etiologico, per obiettare che si tratta di "un errore di comprensione" da parte mia, basato su un anacronismo esegetico. Secondo quanto ella dice (idem) : Innanzitutto, il desiderio che la repressione e la formazione del sintomo soddisfano, secondo il più tardo (1926) modello istintuale di Freud, non è in sé erotico, ma piuttosto il desiderio di non conoscere un desiderio erotico, o di evitare qualcosa che rende ansiosi. In secondo luogo, se la repressione mostra l'intera struttura intenzionale, gli scopi repressi dovrebbero essere razionali: se io penso, consciamente o inconsciamente, che potrei essere meno ansioso se avessi una certa credenza, avrei una buona ragione per acquisirla. Avrei una ragione per essere un credente in x, per quanto non abbia alcuna evidenza che sia ragionevole pensare che x sia vero.. In questo (ultimo) senso (soltanto) questo è irrazionale. Quanto all'accusa della Cavell che io sono colpevole di non aver ben ricostruito il Freud posteriore al 1926, Erwin ha documentato, riferendosi alla chiarificazione di Freud, del 1933 (SE 1933, 20:94), delle sue opinioni del 1926, che l'esegesi della stessa Cavell, e non la mia, è in difetto, precisamente a proposito del ruolo etiologico che l'ultimo Freud attribuisce al desiderio erotico. Citando lo scritto di Freud del 1926 e, cosa più importante, la sua elaborazione del 1933, Erwin spiega (1996, pp. 108-109): ...Freud parla di repressione e di evitamento dell'ansia, ma egli non sconfessa le sue prime affermazioni che l'etiologia delle psiconevrosi comprende desideri erotici. Piuttosto egli ritiene che vi sia una repressione primaria e repressioni che intervengono successivamente. Le repressioni successive contemplano l'evitamento dell'ansia ("l'ansia è risvegliata come segnale di una più primitiva situazione di pericolo"), ma la repressione primaria è in risposta a pressioni libidiche (cioé l'intenso desiderio tabù di appagamento omosessuale) (SE 1933, 22:94). Quando Grunbaum si riferisce ai desideri erotici del paranoide (1984, p.79), egli sta parlando di quei desideri che, in accordo con Freud, sono stati sottoposti alla repressione primaria, e che più tardi portano, attraverso la formazione reattiva e la proiezione, alla paranoia. Quanto al secondo rimprovero di non aver capito rivoltomi dalla Cavell, esso è mal fondato essendo semplicemente relativo al suo modo di leggere, errato e in verità ottuso, la mia p.79. Il punto che io evidenzio lì è chiaramente introdotto dalla precedente pagina 78, dove scrivo "Sarebbe un errore invocare il paragone di Freud degli stati mentali repressi con quelli coscienti nello sforzo di assimilare le spiegazioni psicoanalitiche al sillogismo pratico" (corsivi aggiunti). Pertanto, rispondendo al secondo rimprovero della Cavell, Erwin (1996, pp.108-109) spiega che la sua argomentazione è irrilevante per una critica a Grunbaum. L'argomentazione di Erwing (e qui Erwing, in relazione al riferimento scorretto di pagina della Cavell, di nuovo sbaglia, citando la mia pagina 79 anziché le pp.76-77) non è che la formazione del sintomo da parte del soggetto sarebbe irrazionale, ma che manca l'evidenza che il soggetto abbia la credenza che potrebbe correlare il desiderio represso al sintomo. Senza questa evidenza, noi perdiamo la possibilità di assimilare il caso al sillogismo pratico (corsivi aggiunti). I paranoici sono "solitamente non analizzabili (clinicamente)" (SE 1922, 18:225), se non altro perchè la loro sospettosità resiste a formare un'alleanza terapeutica con l'analista. Pertanto, è molto difficile che possano esservi evidenze cliniche affidabili delle credenze richieste dall'imputazione teoretica. Qualcosa di simile avviene per le altre nevrosi "narcisistiche." Come abbiamo visto, la Cavell e Nagel producono, come basi evidenti della spiegazione causale di Freud nella sua teoria della repressione, l'estensione delle credenziali psicologiche del modello delle azioni intenzionali. Ma ora emerge che il loro tentativo di assimilare le spiegazioni etiologiche di Freud alla struttura delle azioni intenzionali non può sopportare il fardello epistemico ed esplicativo che essi pretendono di imporgli. Come corollario della Parte III, emerge che Marcia Cavell, Thomas Nagel ed altri, hanno fallito nel tentativo di scalzare le mie critiche epistemologiche alle fondazioni esplicative e terapeutiche dell'impresa psicoanalitica.
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