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LA TEORIA FREUDIANA RISOLVE "I PARADOSSI DELL'IRRAZIONALITA?" Adolf Grunbaum Università di Pittsburgh Presentato come invited paper alla sessione di Filosofia della Psicologia del XX Congresso Mondiale di Filosofia, Boston, 10 agosto, 1998. In corso di pubblicazione negli Atti del XX Congresso Mondiale di Filosofia, Boston, 1998. Prossimamente nella rivista Philosophy and Phenomenological Research. In corso di pubblicazione negli Atti della Conferenza Internazionale "Freud alle soglie del XXI secolo", tenuta a Gerusalemme, Israele, dicembre 1999. TRADUZIONE DI ALBERTINA SETA
In questo lavoro, mi propongo di criticare l'asserzione di Donald Davidson, tra gli altri, che la teoria psicoanalitica di Freud offra "una cornice concettuale entro la quale descrivere e capire l'irrazionalità". Inoltre, difendo le mie obiezioni epistemologiche ai fondamenti terapeutici ed esplicativi dell'impresa psicoanalitica contro gli sforzi di Davidson, Marcia Cavell, Thomas Nagel, e altri, di contestarle. 1.Introduzione. In accordo con un numero significativo di filosofi, Donald Davidson (1982, p.290) ha affermato che "la Teoria Psicoanalitica si è sviluppata a partire dalla pretesa di Freud di fornire una cornice concettuale entro la quale descrivere e comprendere l'irrazionalità". Egli spiega che "il tipo di irrazionalità che crea un problema concettuale è...la perdita, all'interno di una singola persona, di coerenza, o consistenza nell'insieme di credenze, attitudini, emozioni, intenzioni, e azioni (che la caratterizza ndt ). Esempi ne sono il pensiero di appagamento di desiderio, la contraddizione tra azione e giudizio nella stessa persona (cfr. l'akrasia di Aristotele), l'autoinganno, il credere qualcosa che l'evidenza può screditare. Il pensiero di appagamento del desiderio, a sua volta, è designato da Davidson come "modello del tipo più semplice di irrazionalità" (1982, p.298). Pertanto, se la sola spiegazione della credenza di una persona è che questa rappresenta per lei un appagamento di desiderio, "si ritiene che la credenza sia irrazionale" (ibid.). Più in generale, Davidson scrive: Nei casi di irrazionalità che abbiamo discusso, vi è una causa mentale che non è una ragione (nel senso di evidenza cogente) di ciò che provoca. Così nell'appagamento di desiderio, un desiderio causa una credenza. Ma il giudizio che un certo stato di fatto sia, o potrebbe essere, desiderabile non rappresenta un fondamento oggettivo per credere che esista davvero (ibid.) Quanto all'autoinganno, Sebastian Gardner (1993, p.6), elaborando le tesi di Davidson, dice: "...nell'autoinganno un subsistema contiene la credenza sepolta, un altro la credenza promossa; la linea di demarcazione tra le due riflette l'impossibilità che entrambe le credenze siano vere". Incidentalmente, l'anno scorso, Alfred Mele (1997, p.91) contestò questa descrizione dell'autoinganno come tipicamente contraddittoria: "Il ritenere che (...) colui che si autoinganna crede che qualche proposizione sia vera, mentre anche credendo che sia falsa (...) produce un'opinione fondamentalmente erronea della dinamica dell'autoinganno. L'autoinganno è spiegabile senza il ricorso ad esotismi mentali. Ed Erwin (1997a, p.56) ha giustamente messo in rilievo che, qualsiasi analisi concettuale della nozione di autoinganno, che richiede l'esistenza di una specifica struttura della mente (per es, un sé scisso), necessita di un'evidenza empirica capace di validare la pretesa di tale esistenza. Passando dalla mera descrizione di importanti tipi di irrazionalità alla loro potenziale spiegazione, Davidson (1982, pp. 291-292) scrive: Nel tentativo di spiegare questi fenomeni (e con essi molti altri, naturalmente) i Freudiani hanno asserito quanto segue: Primo, la mente contiene un certo numero di strutture semi-indipendenti, queste strutture sono caratterizzate da attributi come pensieri, desideri e memorie. Secondo, alcune parti della mente, come avviene per le persone, rivestono una posizione di maggiore rilievo, non solo per il fatto di avere, o di consistere in, (particolari ndt) credenze, volontà e altri tratti psicologici, ma per come questi fattori possono combinarsi tra loro, a esempio nell'azione intenzionale, per causare ulteriori eventi nella mente o fuori di essa. Terzo, alcune delle disposizioni, attitudini, ed eventi che caratterizzano le varie sottostrutture della mente devono essere viste secondo il modello delle forze e delle disposizioni fisiche, quando colpiscono o sono colpite da altre sottostrutture della mente (p.es. Freud descrisse la "forza censoria" esercitata dall'io durante la repressione). Mi riferirò a queste tre formulazioni come alla "Tripletta di Davidson". Come egli dice (1982, p.300, n.6), il suo carattere distintivo più saliente è "l'idea di una compartimentazione della mente". Davidson (1982, p.303) offre con essa il rationale per la sua asserzione che ognuno di questi tre fattori "molto generici" della teoria psicoanalitica è necessario a ogni teoria che voglia spiegare l'irrazionalità. Quanto al primo, che suddivide la mente in due o più strutture semi-autonome, apprendiamo che questa divisione è "necessaria per dare conto di quelle cause (causes nel testo ndt) mentali che non sono (anche) fondamenti oggettivi (reasons nel testo ndt) degli stati mentali che provocano" (1982, p.303). Il secondo punto assegna a una o più suddivisioni della mente una struttura simile a quella descritta dal sillogismo pratico di Aristotele, che è il modello di spiegazione delle azioni ordinarie come razionali: un'azione A è ritenuta da portare a compimento perchè l'agente vuole raggiungere un risultato R e crede che A riuscirà nella realizzazione di R. Davidson chiama questo modello "il principio dell'azione intenzionale". E il punto essenziale è che si presume che idee e affetti di una persona interagiscano in maniera da produrre conseguenze in accordo con il principio delle azioni intenzionali. Queste conseguenze, a loro volta, si comportano come cause, ma non come fondamenti oggettivi, di ulteriori eventi mentali, cosicchè "Il venir meno dei rapporti di fondazione oggettiva (reason-relations ndt) definisce il confine di una suddivisione...Le parti sono definite in termini di funzione; e in ultima analisi, nei termini dei concetti di fondamento oggettivo e causa. L'idea di una divisione quasi autonoma è un'idea che richiede un fattore di divisione non trascurabile; pertanto, i concetti operativi sono quelli di causa (cause ndt) e di fondamento oggettivo (reason ndt) (1982, p.304) Ma, se è così, perchè Davidson (1982, p.290) inizia a formulare il suo secondo punto dichiarando che "parti della mente, come avviene per le persone, rivestono una posizione di maggiore rilievo," formulazione, questa, che ha il sapore delle infelici reificazioni homuncolari di Freud nella teoria strutturale di Es, Io e Superio? Il terzo punto corrisponde all'opinione di Davidson (1982, p.304) che "certi eventi mentali prendono il carattere di mere cause (cioè cause che non sono anche fondamenti oggettivi ) relative ad alcuni altri eventi nella stessa mente. Abbiamo trovato che questo fattore è anche necessario a qualsiasi spiegazione dell' irrazionalità...per fargli spazio, dobbiamo permettere un certo grado di autonomia a parti della mente." Egli definisce questa mera causazione da parte di eventi mentali come "cieca"(1982, pp 292, 299), dal momento che essa funziona "sul modello delle disposizioni e delle forze fisiche" (1982, pp 290-291). E' qui molto evidente che, mentre da una parte, Davidson insiste sulla "centralità" della sua tripletta rispetto all'edificio freudiano, dall'altra, scrive: " la mia descrizione molto generale della ripartizione della mente (nella tripletta) devia da quella di Freud. In particolare, io non ho niente da dire sul numero o la natura delle divisioni della mente, della loro permanenza o etiologia. Io mi preoccupo semplicemente di difendere l'idea di una compartimentazione della mente, e di dedurre che questa è necessaria per spiegare una forma comune di irrazionalità " (1982, p.300, n.6, corsivi dell'Autore). Ma questa disconferma, di per sé, già mostra che l'istanza di Davidson di costruire la sua tripletta come "centrale" a, o emblematica della, ripartizione mentale di Freud si regge in piedi malamente. Ne risulta che Davidson costruisce la centralità di un insieme di ipotesi I rispetto a una teoria T per poi concludere che I è un fattore distintivo di T.
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