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STORIE DI UOMINI FOLLI: IMMAGINI DELLA FOLLIA E DELLA MELANCONIA NELLA ESPERIENZA GIURIDICA (secc. XIV-XVI) di Vittorio Biotti 1) L'esperienza giuridica della follia 2) La storia di Giuntino da Signa (1366) 3) La storia di Lorenzo da Firenze (1572) 4) La storia di Antonio da Firenze (1602-15) 5) Note 4- LA STORIA DI ANTONIO DA FIRENZE (1602-15) L'ultima storia e' di pochi anni successiva. E' la storia di Antonio di Salvatore di Firenze (7). Siamo negli anni tra 1602 e 1615, e tanto sembra durare, dai nostri documenti, la sua vicenda giudiziaria e carceraria. Egli si trova da quasi tre anni rinchiuso alle Stinche per ordine del giudice criminale, a causa di "certi suoi humori melanconici" che gli avevano dato noia e lo avevano spinto a liti continue e violenze. Ora sta bene e fa una supplica al Granduca per essere liberato e per lamentarsi anche del fatto che una precedente decisione sovrana di liberarlo non era mai stata eseguita. Forse, lui pensa, per "impedimento di qualche suo avversario". Occorre una indagine del giudice ed occorrono testimonianze certe e precise di uomini degni di fede: il cappellano, il cancelliere, lo spedalingo del carcere. Loro fanno fede che e' "tornato in cervello", si confessa e si comunica con regolarita' e tratta quietamente con tutti. L'indagine e' insomma a lui favorevole e qualcuno ha la malizia di suggerire che gli era stato, nel lungo tempo di prigionia, "usurpato tutto il suo dai parenti e da altri". Il Granduca comunque prende tempo, sembra non essere convinto sul da farsi, e decide di aspettare ancora un mese per vedere come la cosa si evolve e se Antonio e' davvero sano di cervello. Il dubbio che vi sia qualcuno in giro che vuole che lui rimanga in carcere si rafforza ancora di piu'. Poi infine Lorenzo viene liberato. Ma negli anni successivi subisce ancora tre o quattro incarcerazioni per la stessa ragione. In breve volgere di tempo egli sembrava alternare il medesimo furore del passato a periodi di perfetta sanita' e calma. Si perdono le sue tracce documentarie nel 1615 anno in cui viene ancora una volta scarcerato, ma, si dice, a condizione che non si avvicinasse alla casa di alcune persone con cui aveva avuto scontri e risse violente in passato (forse quelli che Antonio sospettava lo avessero rovinato?). Siamo negli ultimi decenni del '500 e nei primi anni del '600 e il quadro storico e istituzionale e' cosi' profondamente mutato rispetto alla prima storia che ho raccontato, quella di Giuntino. Posso solo fare accenni sommari sulle cose che mi sono apparse piu' chiaramente trasformate. Permane certo ancora, in alcuni passaggi del linguaggio giuridico, una certa sinonimia tra le varie parole usate per indicare una condizione di follia. Ma piu' spesso vi e' una piu' marcata tendenza a distinguere e differenziare le parole e i concetti per cogliere lo specifico e il particolare delle diverse situazioni concrete. Vi sono gradi diversi di follia che si colgono e si registrano, vi sono molti soggetti non del tutto dotati di ragione ma nemmeno del tutto privi, con una gradazione possibile di responsabilita', di colpevolezza in tipi diversi di follia e in comportamenti diversi. La follia puo' essere spesso una "esimente" ma, a volte, e' solo una "attenuante". E' lo "arbitrium iudicis" a decidere. Il giudice mantiene il suo alto potere anche se (ed e' cosa a mio parere di grande rilievo), le testimonianze dei medici sembrano acquistare nel tempo un valore probatorio ed un prestigio maggiori (8). I medici non sono piu' solo testimoni come gli altri. Anche se non sono ancora veri e propri "periti". La finalita' e' quella di comprendere il livello di volontarieta' di una azione, di consapevolezza, di intenzionalita' dell'atto. Si usano i termini del sapere anche psicologico del tempo: "propositum", "animus", "intellectus", "voluntas", per ricondurre a qualcosa di piu' certo queste strane follie. Quasi si volesse pervenire a una "misurazione" del furore, ad una migliore valutazione dei suoi gradi e della sua intensita'. Parole come melanconia, umore melanconico e simili sono ora molto piu' frequenti che in passato. A volte si riceve quasi l'impressione che questi termini abbiano soppiantato i termini classici "furioso" e "mentecatto" per indicare ancora una volta una condizione generica e onnicomprensiva di follia. Piu' spesso pero' vi e' una attenta distinzione. E le conoscemze mediche allora vanno ad arricchire il vocabolario giuridico della follia, lo rinnovano, lo rendono piu' adeguato alle conoscenze dei tempi. Ecco allora tentativi di comprensione della melanconia piu' complessi, ovviamente nell'ambito della teoria umorale allora imperante, e descrizioni piu' ricche di sintomi e comportamenti e forme anche deliranti. L'umore melanconico, i suoi "vapori", si dice, possono generare impressioni visive, sensitive, uditive colorate dallo spirito offuscato, e appaiono "annerite" rispetto al buon senso. Le fantasie del melanconico sono tenaci e dure da vincere, si dice, perche' "il cervello e' secco e duro", e la bile nera e' un umore denso, adesivo e difficile da espellere. Il melanconico ha molto spesso idee fisse, preoccupazioni assurde sulla propria persona, immagina ad esempio di essere di vetro o di essere un vaso o un pezzo di ghiaccio e di poter andare in frantumi ad ogni contatto. O di essere un animale, un uccello o un lupo, o e' convinto di essere un imperatore o il papa o un cardinale, o di avere rane serpenti nello stomaco, di vedere spiriti o diavoli, o di essere morto. O desidera morire. Vi e' anche una melanconia religiosa ( descritta con dovizia di particolari, tra gli altri, da Robert Burton (9)) che si sostanzia di visioni estatiche, timori per la salvezza dell'anima, di irreale consapevolezza e paura dei propri peccati. Sembra a volte che il diavolo sia intervenuto con maligna determinazione, si sia impossessato con violenza dell'anima del melanconico, per perderla e corromperla, perche', si sa, il diavolo e' bravissimo nell'insinuarsi nell'umore di chi e' debole e non sa combatterlo con armi appropriate. Gli umori melanconici, alterati rispetto agli altri umori, hanno un potere grande nella vita e nella liberta' dell'uomo. Si presentano con forza e a volte improvvisamente, in una sorta di tirannico predominio, di sopraffazione, di gagliarda violenza, di "vessazione". Come se la mente e il corpo fossero scossi, violentemente agitati, tormentati, e il soggetto fosse trascinato via senza rimedio fuori dai confini abituali della sua esistenza. Il soggetto puo' essere sempre malinconico o puo' esserlo, con regolarita', tre o quattro volte l'anno, ed i casi piu' difficili o disperati sembrano quelli in cui vi e' abitudine e persistenza della melanconia. La melanconia presenta infatti frequenti ricadute ed e' sempre a rischio di rapida evoluzione in peggio. I giudici si vanno nel tempo convincendo della peculiare natura dei melanconici, e della necessita' di analisi piu' attente e stringenti. L'insigne giurista Benedetto Carpzov pensa che i melanconici non debbano considerarsi immuni dalle pene ordinarie e dai rigori della legge perche' molto spesso non sono del tutto privi di intelletto, e perche' in molti procedimenti non si e' potuta escludere la volontarieta' e la malizia delle loro azioni. Di qui a riconoscere che una loro colpa sia all'origine della loro stessa condizione di melanconia, della loro "tristitia", il passo e' arduo e vertiginoso, ma in fondo anche rapido e breve. In pieno '600 del resto ogni genere di follia si accompagna ad una sensazione, un'aura almeno, di colpevolezza. Lo stesso Carpzov scrivera': "la sola tristezza che per lo piu' nasce dalla colpa non puo' proteggere questi soggetti dalla severita' e dal rigore del diritto" (10). Il mio intento era quello di dare un contributo per un approccio piu' ricco e complesso possibile e piu' problematico alla melanconia, come malattia e come temperamento, nel contatto con una fonte di informazioni particolare, quella giuridica e processuale, nella sua evoluzione storica. E al tempo stesso di rimarcare la straordinaria importanza delle fonti originali d'archivio (nel nostro caso quelle processuali, ma poi moltissime altre sono le fonti utilizzabili) per la ricostruzione il piu' possibile aderente ai fatti e alle cose degli itinerari storici della follia. Perche' la storia sia davvero insegnamento della relativita' del presente.
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