| | Dibattito
sulla Inter-Personal Therapy (IPT)
- Seconda
parte di quattro parti
Per
le altre parti, vai alla parte Prima, Terza,
e
Quarta (bibliografia)
- 22/4/97,
Giovanni de Girolamo:
- Caro Paolo,
le tue risposte hanno un potere "magnetico", in quanto sono
così ricche e piene di stimoli che è impossibile fare
a meno di riflettervi e rispondervi. Nella
tua ultima risposta condividevo moltissime cose, ad eccezione di due
affermazioni, che mi offrono lo spunto per una sana ed amichevole polemica:
- 1. Quando
tu dici:
- >...un
po' provocatoriamente, che "non esistono terapie non dinamiche",
- >così
come non esiste alcuna differenza tra psicoanalisi e psicoterapia.
- >E'
obbligatorio ragionare in termini psicoanalitici, perché "non
si può ignorare
- >un
transfert di cui ci accorgiamo"; il transfert esiste comunque,
e
- >"il
far finta che non ci sia lo porta solo ad esercitare ancor di più
i suoi effetti
- >senza
che noi ce ne accorgiamo". La psicoterapia (non psicoanalitica)
- >praticamente
non esiste, perché non dà chiare indicazioni su come
- >comportarci
in modo coerente col paziente...
- ovviamente
fornisci lo spunto per delle osservazioni critiche.
- Quel che
affiora è una tipica visione ecclesiale del dogma psicoanalitico:
le tue affermazioni riecheggiano (alla rovescia) il titolo del noto
volume di B. Russell Perché non ci si può dire cristiani:
in questo caso "Perché non ci si può non dire psicoanalitici":
insomma, siamo -- noi tutti che ci agitiamo nello psi -- "condannati"
ad essere psicoanalisti, o psicoanalitici, anche contro la nostra volontà!
Per quanto
riguarda il transfert, caro Paolo, chi -- con un minimo di sale nella
zucca -- può negarne l'esistenza e l'influenza massiva che esso
esercita nei rapporti interpersonali, sia nei setting assistenziali
che nella vita di tutti i giorni? Il problema, però, caro Paolo,
è che il transfert non è stato né creato dalla
psicoanalisi né è monopolio di quest'ultima: in tempi
di mitologia della concorrenza e del libero mercato, questa posizione
è ovviamente inaccettabile.
Quindi, (1)
è possibilissimo non dirsi psicoanalisti (o psicoanalitici, ecc.);
(2) esistono psicoterapie (tra le 475 contate anni fa da Karasu: ora
saranno divenute 560 o 700!) che non hanno nulla a che spartire con
la psicoanalisi, più di quanto esse non abbiano a che spartire
con la laserchirurgia oftalmologica (in entrambi i casi ci si occupa
di esseri viventi; in entrambi i casi vi è un paziente ed un
terapista; in entrambi i casi il paziente ed il terapista respirano,
mangiano, ecc.); (3) il transfert non è monopolio né è
stato creato dalla psicoanalisi; si potrebbe discutere del contributo
fornito dalla psicoanalisi, al pari di molte altre correnti disciplinari,
alla sua delucidazione.
2. La tua
affermazione secondo cui "il paziente, secondo il ben noto adagio
di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anche del terapeuta"è
una meravigliosa congettura, al pari di quella relativa alla Verginità
della Madonna, alla presenza di esseri viventi su Plutone, e via discorrendo.
Naturalmente se deve essere considerata un atto di fede e presa come
tale, mi sta benissimo: ma dobbiamo tuttavia convenire che non ha nulla
a che fare con la scienza, ma solo con la fede!
Infatti,
faccio due obiezioni:
2.1 Esiste
una qualsivoglia, minima dimostrazione sperimentale di tale assunto?
Che mi risulti no, quindi è un atto di fede e non scienza.
2.2 E' possibile
falsificarla? Certo: immaginiamo il caso di una donna, affetta da un
disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di stupro, che
sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci la barzelletta
che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia,
voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili)
"parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che
il terapeuta fosse una donna).
2.3 Quando
io ho fatto la mia corvè psicoanalitica personale con
la buonanima di Elvio Fachinelli (fisicamente alquanto poco attraente!),
e gli parlavo di una donna di cui ero innamorato all'epoca, "parlavo
sempre anche del terapeuta"?
- Caro Paolo,
queste sono barzellette che una volta potevano passare, ma oggi, per
coloro che non sono illuminati dalla fede (psicoanalitica), hanno lo
stesso sapore del dogma della Verginità della Madonna. Quello
che mi stupisce -- ma che dimostra ancora una volta il tremendo potere
fuorviante che hanno i sistemi di pensiero e le Weltanschaunung
dogmatici e tendenti all'escatologia, come la psicoanalisi -- è
che anche una persona di grande intelligenza e cultura creda ancora
a queste barzellette!
- Sono certo
che le mie "provocazioni" troveranno una stimolante risposta!
Un abbraccio,
Giovanni
- 25/4/97,
Paolo Migone:
- Caro Giovanni,
è possibile che tu abbia frainteso quello che volevo dire. La
mia intenzione, nella nostra discussione, era quella di riflettere sul
piano dei "concetti", non semplicemente sul piano nominalistico
(psicoanalisi, transfert, IPT, ecc., dove tutte queste parole hanno
il significato che a loro viene dato da qualcuno e che non deve mai
essere messo in discussione, non deve mai essere capito, secondo una
stupida "logica delle etichette").
E' per questo
che ho citato le frasi (che appunto chiamo "provocatorie")
di Gill del
1984 (perché sono di Gill quelle frasi che tu citi
all'inizio), per fare riflettere su cosa può significare fare una determinata
operazione in psicoterapia, quali implicazioni pratiche e teoriche ad
esempio possa avere la conoscenza del cosiddetto transfert nel lavoro
con un paziente depresso (o non). Se ben ricordi avevo discusso del
rischio della colpevolizzazione, dell'uso improprio e pericoloso delle
generalizzazioni sui significati del "qui ed ora", ecc. (riflessioni
sulle quali peraltro tu sembri dire che sei d'accordo). A me non interessa
assolutamente che queste manifestazioni siano chiamate "transfert",
o che un certo modo di lavorare sia chiamato "psicoanalisi",
a me va benissimo chiamarlo "giuseppe", oppure "marcantonio".
Quello che mi interessa è discutere dei concetti, delle operazioni
che stanno alla base di queste definizioni. La frase di Gill secondo
me è estremamente significativa, e la ritengo perfettamente coerente
con le riflessioni contenute in quella mia mail, riflessioni
sulle quali, ripeto, tu ora tu dici di "condividere moltissime
cose". Non capisco dunque bene cosa vuoi dire. Se la questione
è che ti irrita sentire la parola "psicoanalisi", a
me va benissimo d'ora in poi abolirla, e usare d'ora in poi la parola
"giuseppe" (operazione però che può essere di
trasformismo culturale, tra l'altro fatta da molti, secondo me da alcuni
adesso in USA -- ad esempio John Strauss -- che si rifà a precisi
concetti psicoanalitici senza chiamarli col loro nome per non inimicarsi
l'establishment culturale di adesso con comportamenti non politically
correct). A me basta sapere di cosa
si parla. Ed è un peccato che tu qui non entri bene nel merito
dei concetti di cui ho discusso. Ma vediamo se dopo ci entri nelle parti
successive della tua mail.
(Prima faccio
una parentesi su Gill. Il motivo per cui ho citato Gill, e non ho semplicemente
detto quello che pensavo senza citare nessuno -- pensavo queste cose
ben prima che le dicesse Gill, ma lui le ha teorizzate estremamente
bene -- è dovuto al fatto che purtroppo nel nostro campo quando
sostieni una posizione un po' diversa o radicale, spesso viene svalutata
o ignorata. Se tu però dici le stesse cose citando la frase di
un autore importante come Gill -- che secondo molti fu uno dei teorici
più importanti e più stimati non solo della Psicologia
dell'Io ma dell'intera storia della psicoanalisi -- allora molti stanno
più attenti e sono disposti a "crederci" di più.
Questo dipende dal fatto che molti non usano semplicemente la propria
intelligenza e capacità di riflessione sui concetti, ma la autorità
di chi parla. Tralascio di fare commenti su questi aspetti "religiosi"
del nostro campo -- presenti non solo nella psicoanalisi ma come ben
sai anche in vasti settori della psichiatria-- perché sarebbero
scontati e senz'altro saremmo d'accordo).
- Tu poi dici:
- >Per
quanto riguarda il transfert, caro Paolo, chi - con un minimo di sale
- >nella
zucca - può negarne l'esistenza e l'influenza massiva che esso
esercita
- >nei
rapporti interpersonali, sia nei setting assistenziali che nella vita
di tutti i giorni?
- >Il problema,
però, caro Paolo, è che il transfert non è stato
né creato
- >dalla
psicoanalisi né è monopolio di quest'ultima: in tempi
di mitologia
- >della
concorrenza e del libero mercato, questa posizione è ovviamente
inaccettabile.
Ancora non
capisco bene. A me sembrava che la disciplina che ha maggiormente approfondito
il cosiddetto "transfert" (oltre che ha definirlo per prima
con questo termine) fosse la psicoanalisi. Ma a parte questo, se tu
hai un'altra definizione, oltre a quelle tante già fin troppo
presenti in psicoanalisi, perché non la esponi chiaramente? So
che tu conosci bene questi fenomeni (pensa solo al concetto di placebo,
che altro non è che il transfert, cioè la suggestione,
o se vuoi chiamiamola pure "giuseppe")... Ci tengo a precisare
che col termine transfert io alludevo al fenomeno "clinico",
che teoricamente può essere spiegato in mille modi, alludevo
a quel quid che c'è sempre tra le persone, di ineliminabile,
e che possiamo cercare di comprenderlo meglio, di verbalizzarlo, ecc.,
ovviamente senza mai riuscire a farlo del tutto. La impresa della psicoanalisi,
nella storia delle idee, non è altro che un tentativo di fare
questo, uno dei tanti tentativi. L'importante è vedere bene in
cosa consiste questo tentativo. Nella fattispecie, qui si parlava della
mia argomentazione, sulla quale però ancora non sei entrato,
ma ti sei fermato a livello nominalistico.
- Dopo dici:
- >Quindi,
(1) è possibilissimo non dirsi psicoanalisti (o psicoanalitici,
ecc.);
Chi ha mai
detto che non si può? La frase di Gill alludeva al fatto che
è impossibile non fare i conti coi "concetti" sottostanti
a queste parole, ed era alla conclusione di un lungo e coerente ragionamento
(che purtroppo può non essere chiaro a tutti, e qui può
essere colpa mia non averlo spiegato, ma in una mail non è
facile-- mi spiace autocitarmi, ma chi avesse tempo e voglia ho esposto
tutte queste argomentazioni nel cap. 4 del mio libro Terapia
psicoanalitica). Noi comunque ora siamo d'accordo che si chiama
"giuseppe",
e vediamo di proseguire nel ragionamento e andare al punto (2), dove
dici:
- >2) esistono
psicoterapie (tra le 475 contate anni fa da Karasu: ora saranno
- >divenute
560 o 700!) che non hanno nulla a che spartire con la psicoanalisi,
- >più
di quanto esse non abbiano a che spartire con la laserchirurgia oftalmologica
- >(in
entrambi i casi ci si occupa di esseri viventi; in entrambi i casi vi
è un paziente ed un
- >terapista;
in entrambi i casi il paziente ed il terapista respirano, mangiano,
ecc.);
- Quale è
qui la rilevanza di dire che vi sono 475 o più psicoterapie diverse?
Il problema
è quello di capire come esse si differenziano, e stavamo discutendo
proprio di questo (si parlava della IPT e della sua eventuale differenza
con una altra terapia, sia la psicoanalisi o "giuseppe", o
un'altra ancora). Il mio tentativo era quello di differenziarle sulla
base della loro teoria, che, in una scienza, è collegata alla
clinica. Vogliamo ad esempio classificare le 475 terapie sulla base
della lettera iniziale? In questo caso, Gestalt viene prima di Psicoanalisi,
e IPT si colloca tra le due. Oppure sulla base del colore degli occhi
del terapeuta? O sul numero di sedute alla settimana? Vuoi essere anche
tu tra coloro che sostengono che la psicoanalisi è diversa dalla
psicoterapia psicoanalitica? Come ricordi, la mia discussione (sulla
quale, ripeto, pare tu sia d'accordo) cercava di capire il ruolo degli
interventi transferali (li ho anche chiamati "sul qui ed ora",
ma possiamo anche chiamarli con un altro nome, marcantonio, ecc., basta
che ci intendiamo) nella IPT e in una terapia dinamica standard come
la psicoanalisi. Cercavo di capire perché in una (la IPT) venivano
vietati gli interventi che toccavano il rapporto paziente-terapeuta
(nota che non nominavo sempre la parola transfert, mi interessavano
i concetti, e quando parlavo di transfert lo facevo per brevità,
non mi interessava la paternità di questo concetto, anche se
è scontato che è di Freud), e nell'altra (la psicoanalisi)
la regola era che poteva essere toccato il rapporto paziente-terapeuta
a patto che altre variabili fossero utilizzate come guida all'intervento
(segnatamente: effetto positivo, o negativo, sul paziente -- fraintendimento,
colpevolizzazione, ecc., oppure esperienza terapeutica positiva, e così
via). Non torno su questi punti perché ciascuno li può
leggere nella mia mail del 20/4/97.
- In un passaggio
successivo, dici:
- >(3)
il transfert non è monopolio né è stato creato
dalla psicoanalisi;
- >si potrebbe
discutere del contributo fornito dalla psicoanalisi,
- >al pari
di molte altre correnti disciplinari, alla sua delucidazione.
Si può
arguire che è stato "creato" dalla psicoanalisi, ma
certo chi ha mai detto che deve esserne monopolio? Anzi, al contrario,
la speranza della psicoanalisi (non come istituzione) è che non
sia la sola ad utilizzarlo!
Parli dei
vari contributi su questo tema. Ma perché allora non ne
discutiamo? Era
questo proprio lo spirito della mia discussione. Volevo capire ad esempio
come la IPT concettualizza il lavoro sul rapporto paziente-terapeuta
e perché proibisce di toccarlo nei depressi.
- Dopo ancora
dici:
- >2. La
tua affermazione secondo cui "il paziente, secondo il ben noto
- >adagio
di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anche del
- >terapeuta
"è una meravigliosa congettura, al pari di quella relativa
- >alla
Verginità della Madonna, alla presenza di esseri viventi su
- >Plutone,
e via discorrendo. Naturalmente se deve essere considerata un
- >atto
di fede e presa come tale, mi sta benissimo: ma dobbiamo tuttavia
- >convenire
che non ha nulla a che fare con la scienza, ma solo con la fede!
Nota bene
che ho aggiunto l'avverbio "anche". Questa frase di Freud
era una frase ad effetto che ha un grande significato, e volutamente
serve a richiamare l'attenzione. Non è comunque un atto di fede
ritenere che ogni nostra reazione a una esperienza nuova possa avvenire
solo sulla base di un precedente template (parola cara a chi
si interessa di informatica, ma è anche la parola della traduzione
inglese del termine che Freud usò quando per la prima volta parlò
del transfert), cioè di una determinata aspettativa basata sulle
esperienze precedenti, ecc. (non voglio tediarti ricordandoti cose che
sai benissimo). Ne parlò Piaget e una infinità di altri
psicologi accademici (non psicoanalitici). Non c'è niente di
più provato nella scienza della psicoterapia. Non si può
conoscere niente se non si hanno già degli strumenti conoscitivi
per catalogare le percezioni. E' in questo senso (kantiano) che io intendevo
il termine. Mi sembrava chiaro, dalla mia discussione sulla IPT, che
avevo una concezione molto allargata del transfert, utilizzavo appunto
solo il concetto. E precisamente: essere aperti alla possibilità
che il paziente ripeta con il terapeuta determinate modalità
(depressive o altro) che presenta fuori, e questa è una importante
opportunità terapeutica. E' altrettanto importante scoprire che
per esempio un paziente non ripeta affatto queste modalità: l'interrogarsi
anche su questo fa parte del lavoro sul transfert (potrebbe significare
per esempio che il paziente ha modalità non rigide, ecc. -- non
è che non abbia il transfert, perché è impossibile
non averlo: spero che tu mi capisca qui, non irritarti ancora, ricordati
che parlo solo di giuseppe).
- In un altro
passaggio, dici:
- >Infatti,
faccio due obiezioni:
- >2.1
Esiste una qualsivoglia, minima dimostrazione sperimentale di tale
- >assunto?
Che mi risulti no, quindi è un atto di fede e non scienza.
Le prove
di ricerca sono infinite: tra le ultime, vedi tutto il lavoro sul CCRT
(Core Conflictual Relationship Theme) di Luborsky, utilizzato
oggi molto anche da ricercatori cognitivisti, non psicoanalitici, perché
è solo una metodologia di ricerca.
- Cito un
altro tuo passaggio:
- >2.2
E' possibile falsificarla? Certo: immaginiamo il caso di una donna,
- >affetta
da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di
- >stupro,
che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci
- >la barzelletta
che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia,
- >voglia
di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili)
- >"parla
anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che il terapeuta
fosse una donna).
Quella donna
che ha subito uno stupro può benissimo essere così traumatizzata
da avere meno fiducia degli altri in generale, può temere di
non essere capita, ecc. La teoria del transfert (o giuseppe che dir
si voglia) prevede che vi siano schemi cognitivi, Gestalt di significato,
nient'affatto legate ad una sola persona, ma come dei patterns,
dei templates, che si generalizzano e modificano la percezione
dell'esperienza.
Quella donna
potrà avere difficoltà ad aprirsi ad un altro uomo ma
anche ad un(a) terapeuta. Non solo, è stato anche dimostrato
che lo schema internalizzato non è solo un "Oggetto"
(= persona) ma una "relazione oggettuale". E la prova (tra
le tante) è che la relazione si può invertire tranquillamente
nel transfert (vedi il concetto di "Passive into active"
cioè la inversione dei ruoli). Ma non farmi dire cose che sai
benissimo. Ad ogni buon conto, perché non dai un'occhiata al
libro di Luborsky & Crits-Cristoph (1990) Capire il transfert
(Milano: Cortina, 1992), che è tutto basato sulla ricerca sperimentale?
(A proposito
della tua domanda, ti faccio notare che tu sottolinei che la donna affetta
da PTSD "sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA", come se
fosse scontato che essa dovesse avere sicuramente un grosso transfert
negativo se fosse in terapia con un terapeuta uomo. Io invece, guarda
un po', fedele osservante bigotto della chiesa psicoanalitica, non darei
per scontato niente, e sarei aperto alla possibilità che quella
donna potesse trovarsi bene con un terapeuta uomo sensibile e capace
di ascoltarla).
- Altra tua
citazione:
- >2.3
Quando io ho fatto la mia corvè psicoanalitica personale con
la buonanima
- >di Elvio
Fachinelli (fisicamente alquanto poco attraente!), e gli parlavo di
una donna
- >di cui
ero innamorato all'epoca, "parlavo sempre anche del terapeuta"?
No, se è
per questo potevi parlare forse anche di tua mamma, di una zia, o di
altre donne precedenti, non solo del terapeuta, pur essendo la esperienza
della donna di cui eri innamorato evidentemente una questione importante.
Ma voglio rispondere a questa tua domanda facendoti notare che se c'è
una cosa per la quale Merton Gill, negli ultimi anni, divenne molto
conosciuto, fu proprio questa (Gill è proprio quello che ha detto
quelle frasi che ti hanno irritato molto, da te citate all'inizio di
questa mail): lui non smetteva mai di sottolineare, andando contro
alla concezione ortodossa del transfert, quanto fossero importanti gli
inputs reali, del presente (e non del passato), nella manifestazione
del transfert, quanto cioè fosse illegittimo ritenere il transfert
una mera ripetizione del passato, ma quanto invece esso fosse anche
una reazione appropriata alla situazione presente. Infatti tanti hanno
fatto notare che una delle implicazioni della sua revisione teorica
è stata proprio quella di "abolire" il concetto di
transfert... La sua Analisi del transfert (titolo del suo libro
del 1982) era in realtà una "analisi della relazione".
Ma è proprio facendo l'analisi del transfert che si scopre che
tanto spesso "transfert non è", diceva Gill.
- >Caro
Paolo, queste sono barzellette che una volta potevano passare, ma oggi,
- >per
coloro che non sono illuminati dalla fede (psicoanalitica), hanno lo
stesso sapore
- >del
dogma della Verginità della Vergine Maria. Quello che mi stupisce
- ma che
- >dimostra
ancora una volta il tremendo potere fuorviante che hanno i sistemi di
pensiero
- >e le
Weltanschaunung dogmatici e tendenti all'escatologia , come la
psicoanalisi -- è che
- >anche
una persona di grande intelligenza e cultura creda ancora a queste barzellette!
- >Sono
certo che le mie `provocazioni' troveranno una stimolante risposta!
- Certo, mi
hai stimolato una risposta. E spero di averti mostrato come non mi interessano
le logiche da chiese o da parrocchie, ma solo capire le idee, le premesse
da cui uno parte, i concetti che usa, non certo le parole. Ma tu mi
pare invece che hai un certo qual transfert per certe parole...
Con affetto.
Paolo
- 25/4/97,
Giovanni de Girolamo:
- CARO PAOLO,
- (1) PER
ME NON E' AFFATTO SCONTATO CHE LA NOZIONE DI TRANSFERT SIA "DI"
FREUD O SIA STATA DA LUI PERSONALMENTE TEORIZZATA PER LA PRIMA VOLTA:
ANNI FA HO STUDIATO ESTENSIVAMENTE LA STORIA DELLA PSICHIATRIA E DELLA
PSICOLOGIA CLINICA, E VENIVA FUORI CHE MOLTISSIMI (COME PERALTRO E'
NATURALE CHE FOSSE) SONO STATI GLI AUTORI CHE, CERTO CON MINORE COMPRENSIVITA'
E COERENZA INTERNA DI FREUD, AVEVANO TEORIZZATO ED ANALIZZATO CONCETTI
COME QUELLI DEL TRANSFERT. TRA I TANTI RIMANDO AL VOLUME-CAPOLAVORO
DI ELLENBERGER LA SCOPERTA DELL'INCONSCIO.
(2) IL PROBLEMA
NON E' IL TRANSFERT O IL CONTROTRANSFERT, PERCHÉ SU QUELLI SOLO
UN IDIOTA PUÒ NUTRIRE DUBBI: IL PROBLEMA E' L'INTERPRETAZIONE
CHE DI ESSI NE FA LA PSICOANALISI, IN LARGHISSIMA MISURA CONGETTURALE
E NON SUPPORTATA AFFATTO DA EVIDENZE, MENTRE AL CONTRARIO MOLTE SONO
LE EVIDENZE CHE HANNO FALSIFICATO TALI CONGETTURE.
(3) PER QUANTO
ATTIENE ALLA FRASE DI FREUD CHE IO TI HO CONTESTATO, LA SPIEGAZIONE
(O PER MEGLIO DIRE CHIARIFICAZIONE) CHE TU FORNISCI E' IN LARGA MISURA
CONDIVISIBILE, MA E' NON A CASO MOLTO GENERALIZZATRICE E VA MOLTO LONTANO
DAL SIGNIFICATO ORIGINARIO (E NON EQUIVOCO) DELLA CONGETTURA FREUDIANA.
VORREI TUTTAVIA CHE TU MI SEGNALASSI QUALCHE LAVORO SPECIFICO IN CUI
VIENE DIMOSTRATO SPERIMENTALMENTE ESATTAMENTE QUELLO CHE FREUD CONGETTURAVA,
OSSIA CHE QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO, IN QUALSIASI MOMENTO, A PROPOSITO
DI QUALSIVOGLIA VICENDA ESISTENZIALE, CON QUALSIVOGLIA STATO D'ANIMO,
IL PAZIENTE PARLA SEMPRE, ANCHE O DEL TUTTO (PER ME NON FA MOLTA DIFFERENZA),
DEL TERAPEUTA.
COME TUTTI
GLI ASSUNTI CHE VIOLANO LE REGOLE DEL BUON SENSO, ESSO CONTRAVVIENE
ALLE REGOLE ELEMENTARI DELLA SCIENZA, OSSIA CHE GLI ASSUNTI IMPIEGATI
DEBBANO ESSERE PARSIMONIOSI, COERENTI, ADERENTI AL SENSO DELLA REALTÀ'.
CONTINUO A RITENERE CHE TALE CONGETTURA VIOLI TUTTE QUESTE REGOLE.
IL FATTO
POICHE' CIASCUNO DI NOI RIPROPONE NELLA SUA VICENDA PERSONALE (E QUINDI
IN OGNI MOMENTO DELL'ESISTENZA) NON SOLO TUTTA LA SUA STORIA INDIVIDUALE,
MA ADDIRITTURA L'INTERA VICENDA STORICA DELL'UMANITA' (IO SONO QUESTO
PERCHE' SONO NATO IN ITALIA, IN UN DATO ANNO, IN UNA DATA FAMIGLIA,
IN UNA DATA CONDIZIONE STORICO-SOCIALE, ECC.), NON HA NULLA A CHE VEDERE
CON LA CONGETTURA FREUDIANA, CHE HA UN SIGNIFICATO ASSOLUTAMENTE PRECISO
E NON "AMPIO", COME PER CERTI VERSI CERCHI DI FARLO PASSARE
TU ORA.
- RIBADISCO
CHE DESIDERO MOLTO SAPERE DI UNA SOLA EVIDENZA SPERIMENTALE CHE VADA
NEL SENSO DI CONFERMARE LA CONGETTURA IN QUESTIONE, INTESA IN UN SENSO
RESTRITTIVO E PRECISO E NON AMPIO. IN ALTRE PAROLE, VOGLIO CHE TU MI
DIMOSTRI CHE NELL'ESEMPIO DA ME CITATO LA DONNA STUPRATA CHE PARLA DEL
SUO STUPRATORE STA PARLANDO IN REALTA' DELLA SUA TERAPISTA (O DEL SUO
TERAPISTA: NON ASSUMO AFFATTO CHE ESSA NON POSSA TROVARSI BENE O MEGLIO,
PER MOTIVI TRANSFERALI GENERALI, CON UN UOMO).
UN CARO SALUTO,
GIOVANNI
- 25/4/97,
Paolo Migone:
- On 25/04/97Giovanni
de Girolamo wrote:
- >(1)
PER ME NON E' AFFATTO SCONTATO CHE LA NOZIONE DI TRANSFERT
- >SIA
"DI" FREUD O SIA STATA DA LUI PERSONALMENTE TEORIZZATA PER
LA
- >PRIMA VOLTA: ANNI FA HO STUDIATO ESTENSIVAMENTE LA STORIA DELLA
>PSICHIATRIA E DELLA PSICOLOGIA CLINICA, E VENIVA FUORI CHE MOLTISSIMI
-
>(COME PERALTRO E' NATURALE CHE FOSSE) SONO STATI GLI AUTORI CHE,
-
>CERTO CON MINORE COMPRENSIVITA' E COERENZA INTERNA DI FREUD,
- >AVEVANO
TEORIZZATO ED ANALIZZATO CONCETTI COME QUELLI DEL >TRANSFERT. TRA
I TANTI RIMANDO AL VOLUME-CAPOLAVORO DI >ELLENBERGER (1970) LA
SCOPERTA DELL'INCONSCIO
Mi va benissimo
non insistere su questo punto, e mi basta che tu dica che Freud abbia
fatto un certo sforzo per studiare questo concetto. La paternità
dei concetti in questa sede mi interessa meno della validità
dei concetti stessi.
- >(2)
IL PROBLEMA NON E' IL TRANSFERT O IL CONTROTRANSFERT, PERCHE' SU
- >QUELLI
SOLO UN IDIOTA PUO' NUTRIRE DUBBI: IL PROBLEMA E'
- >L'INTERPRETAZIONE
CHE DI ESSI NE FA LA PSICOANALISI, IN LARGHISSIMA
- >MISURA
CONGETTURALE E NON SUPPORTATA AFFATTO DA EVIDENZE,
- >MENTRE AL CONTRARIO
MOLTE SONO LE EVIDENZE CHE HANNO FALSIFICATO
- >TALI CONGETTURE.
- La "psicoanalisi",
come ben sai, è molto variegata. Io non mi stupisco se molti
psichiatri lavorano male (non sanno fare diagnosi, danno le medicine
sbagliate, ignorano l'importanza del rapporto medico-paziente, ecc.):
non mi permetto di dire che è colpa della psichiatria, disciplina
per la quale ho sempre avuto il massimo rispetto. Le ragioni della pessima
psichiatria che ci circonda sono molto complesse (sociologiche, sottoculturali,
ecc.). Perché la stessa cosa non può essere valida per
la psicoanalisi?
- Non solo,
ma se tu dici che "nessuno può nutrire dubbi sulla importanza
dei concetti di transfert e controtransfert", allora chi può
andare d'accordo più di noi due?
-
- >(3)
PER QUANTO ATTIENE ALLA FRASE DI FREUD CHE IO TI HO CONTESTATO, >LA
SPIEGAZIONE(O PER MEGLIO DIRE CHIARIFICAZIONE) CHE TU FORNISCI E' >IN
LARGA MISURA CONDIVISIBILE, MA E' NON A CASO MOLTO >GENERALIZZATRICE
E VA MOLTO LONTANO DAL SIGNIFICATO ORIGINARIO (E >NON EQUIVOCO) DELLA
CONGETTURA FREUDIANA. VORREI TUTTAVIA CHE TU >MI SEGNALASSI QUALCHE
LAVORO SPECIFICO IN CUI VIENE DIMOSTRATO >SPERIMENTALMENTE ESATTAMENTE
QUELLO CHE FREUD CONGETTURAVA,>OSSIA CHE QUANDO PARLA DI QUALCUN'ALTRO,
IN QUALSIASI MOMENTO, A >PROPOSITO DI QUALSIVOGLIA VICENDA ESISTENZIALE,
CON QUALSIVOGLIA >STATO D'ANIMO,IL PAZIENTE PARLA SEMPRE, ANCHE O
DEL TUTTO (PER ME >NON FA MOLTA DIFFERENZA),DEL TERAPEUTA.
- Ti ho già
detto nella mail precedente come io considero la validità
della frase di Freud: non in termini scientifici come li intendi tu,
ma come una frase ad effetto che dà l'idea di un concetto
importante, della
ubiquità di un fenomeno. Cosa significhi poi utilizzare questo
concetto a livello clinico è un altro discorso.
-
- >COME
TUTTI GLI ASSUNTI CHE VIOLANO LE REGOLE DEL BUON SENSO, ESSO
- >CONTRAVVIENE
ALLE REGOLE ELEMENTARI DELLA SCIENZA, OSSIA CHE GLI
- >ASSUNTI IMPIEGATI
DEBBANO ESSERE PARSIMONIOSI, COERENTI, ADERENTI
- >AL SENSO DELLA
REALTA'. CONTINUO
A RITENERE CHE TALE CONGETTURA VIOLI
- >TUTTE QUESTE REGOLE. IL
FATTO POI CHE CIASCUNO DI NOI >RIPROPONE NELLA SUA VICENDA PERSONALE
(E QUINDI IN OGNI MOMENTO
- >DELL'ESISTENZA) NON SOLO TUTTA LA SUA
STORIA INDIVIDUALE, MA >ADDIRITTURA L'INTERA VICENDA STORICA DELL'UMANITA'
(IO SONO QUESTO
- >PERCHE' SONO NATO IN ITALIA, IN UN DATO ANNO, IN
UNA DATA FAMIGLIA,
- >IN UNA DATA CONDIZIONE STORICO-SOCIALE, ECC.),
NON HA NULLA A CHE
- >VEDERE CON LA CONGETTURA FREUDIANA, CHE HA UN
SIGNIFICATO
- >ASSOLUTAMENTE PRECISO E NON "AMPIO", COME
PER CERTI VERSI CERCHI DI
- >FARLO
PASSARE TU ORA.
- Su questo
non sono d'accordo. Il concetto di transfert a cui alludevo era questo,
inteso in modo molto ampio. Ma già questo mi bastava per fare
il ragionamento che facevo.
-
- >RIBADISCO
CHE DESIDERO MOLTO SAPERE DI UNA SOLA EVIDENZA
- >SPERIMENTALE CHE
VADA NEL SENSO DI CONFERMARE LA CONGETTURA IN
- >QUESTIONE, INTESA
IN UN SENSO RESTRITTIVO E PRECISO E NON AMPIO. IN
- >ALTRE PAROLE,
VOGLIO CHE TU MI DIMOSTRI CHE NELL'ESEMPIO DA ME
- >CITATO LA DONNA
STUPRATA CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA
- >PARLANDO IN REALTA' DELLA
SUA TERAPISTA (O DEL SUO TERAPISTA: NON
- >ASSUMO AFFATTO CHE ESSA
NON POSSA TROVARSI BENE O MEGLIO, PER
- >MOTIVI TRANSFERALI GENERALI,
CON UN UOMO).
Non posso
dimostrarti che "NELL'ESEMPIO DA [TE] CITATO LA DONNA STUPRATA
CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA PARLANDO IN REALTA' DELLA SUA TERAPISTA
(O DEL SUO TERAPISTA)" (mi bastano le osservazioni fatte da Giobatta
Guasto [vedi la successiva E-Mail] e da me nelle altre mails,
e il riferimento al libro di Luborsky & Crits-Cristoph che ti ho
già citato). Qui bisognerebbe fare un esperimento, nel quale
prima andrebbe definito operativamente cosa significa "parlare
del terapeuta" (esplicitamente? simbolicamente? nel caso, con quali
simboli? ecc.), e già lì potrebbero sorgere dei disaccordi.
Ti ripeto che quella frase voleva solo alludere al concetto di transfert,
cioè al "trasferimento" di disposizioni, ecc. Siccome
è sempre attivo, perché è un meccanismo di funzionamento
del cervello, "in un certo senso" è vero anche quello
che diceva Freud. Freud forse si sbagliava nel pensare che chi lo avrebbe
letto lo avrebbe capito nel modo che intendeva lui.
- Ad ogni
buon conto, proporrei, se sei d'accordo, di fermare qui questa corrispondenza
(mi sto consumando tutto il poco tempo libero che ho!). Penso che lo
scambio che abbiamo avuto sia già ricco di stimoli per tutti
coloro che hanno avuto la pazienza di leggerlo, ed è bello anche
che si rimanga con una dose di disaccordo, per tenere sempre aperto
il dibattito.
Con la solita
amicizia. Paolo
Fine
della Seconda parte. Vai alla Terza parte
Per
le altre parti, vai alla parte Prima e Quarta
(bibliografia)
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