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Dibattito sulla Inter-Personal Therapy (IPT)

Terza parte di quattro parti

Per le altre parti, vai alla parte Prima, Seconda, e Quarta (bibliografia)


25/4/97, Giobatta Guasto:
Caro De Girolamo, ho avuto spesso occasione di apprezzare, su questa lista, la tua competenza, e devo riconoscere di non sapermi cimentare con te in un contraddittorio concernente i molteplici tipi di psicoterapia che tu citi e che io non conosco.
Tuttavia, poiché conosco un po' la psicoanalisi e conosco abbastanza bene i problemi legati all'abuso sessuale, prendo spunto da una (una soltanto) delle tue obiezioni a Migone, per fare alcune osservazioni circa le tue opinioni sul transfert, che mi paiono, oltre ché decisamente appassionate, poco rispondenti a quella che é la mia esperienza di paziente prima e di psicoterapeuta poi.
Tu dici:
>immaginiamo il caso di una donna, affetta da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di stupro, che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci la barzelletta che, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia, voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili) "parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che il terapeuta fosse una donna).

Sulla base di un criterio se non di evidence (non so quale sia la soglia di evidenza di un dato, e sono altresì certo che esistono dati non commensurabili con strumenti statistici, e non per questo meno veri, anche se riconosco la difficoltà della loro validazione) almeno experience based, io credo che si possa affermare che é proprio vero il contrario di quello che tu sostieni.

Nel caso della psicoterapia psicoanalitica di minori sessualmente abusati il transfert negativo innescato dall'identificazione aggressore/terapeuta é un elemento terribilmente insidioso che mina la capacità di tenuta di terapeuti anche molto esperti, e i suoi effetti si protraggono per anni, mettendo spesso e per lungo tempo la terapia a rischio di interruzione. Ciò é assolutamente indipendente dal sesso dello psicoterapeuta, e tu che hai fatto questa esperienza, lo sai certamente bene.

Se lo vorrai, ti invierò la fotocopia di un lavoro della dott.sa Suzanne Blundell, presentato a Londra nel corso di un seminario alla Tavistock. In esso non potrai trovare nessuna affermazione fideistica, ma il semplice resoconto di un'esperienza estremamente difficile, nella relazione terapeutica con una bambina abusata dal proprio padre, che continuava a trattare "la" terapeuta alla stregua del proprio padre aggressore, invasore, predatore di "parti buone" interne alla bambina, attaccate e deteriorate dalla terribile esperienza vissuta. Scrive la Blundell: "...poiché Melanie (la bambina) aveva rovesciato dentro di me tutte le sue emozioni e le sue paure, io iniziai a diventare nella sua mente una persona che incuteva terrore. Man mano che trasferiva le sue emozioni dentro di me, io diventavo sempre più ai suoi occhi un oggetto confuso e danneggiato, una persona cattiva e pericolosa di cui non si poteva fidare, come suo padre..." e più avanti: "...dopo circa due anni di terapia ero all'estremo delle mie risorse. Io continuavo a rappresentare per Melanie la persona che la violentava, e Melanie non voleva vedermi...". Mi pare che di fronte ad uno scenario tanto cruento, il genere del terapeuta sia un dato privo di rilevanza.

Quello che tu affermi nel brano sopra riportato é inesatto e fuorviante perché rappresenti un momento di un'ipotetica terapia, come se stessi descrivendo TUTTA la terapia: é assolutamente possibile che una donna violentata parli, in una determinata circostanza, dell'esperienza subita con il o la terapeuta senza identificarlo/a con l'aggressore: e perché mai non dovrebbe la paziente in quel momento rapportarsi con un'immagine materna accogliente (una "madre buona") in grado di ascoltarla. Non é forse transfert anche questo?

Si tratta anzi di un'esperienza fondamentale nella stragrande maggioranza dei trattamenti di persone abusate (specie se di minore età), proprio perché spesso alla violenza si accompagna l'ingiunzione del silenzio, o la vergogna, o il senso di colpa della vittima. Nelle bambine abusate che ho conosciuto (molte di loro in tenera età) la violenza con cui le fantasie sadiche dell'aggressore erano state stipate nel mondo interno della vittima con il rischio che vi rimanessero per sempre, sembravano accompagnarsi alla crudele sorte di essere continuamente ricacciate dentro (anche da parte di molti periti) per la difficoltà di trovare un "ascoltatore" (contenitore) che non fosse anche un persecutore.

Diceva Martha Harris, a proposito dei Corsi di Osservazione del neonato che andava inaugurando in Italia verso la fine degli anni '70 che vi sono "troppe teorie" e che l'Osservazione poteva essere un buon antidoto ad esse.

Quando parliamo di "fede" ci riferiamo certamente ad esse, alle impostazioni teoriche. La psicoanalisi non é né più né meno immune di altri corpi dottrinali dal rischio di accettazione acritica, che poi significa sterilizzazione e morte. Per fortuna essa ci fornisce anche, assieme alle proprie storture, degli strumenti critici idonei a difenderci dalle ideologie: molto utile, in tal senso, il pensiero di Bion, anche contro la fede nella ratio e nella sua nipotina bruttina, la statistica.

Cordiali (e appassionati) saluti, Gianni Guasto

25/4/97, Giovanni de Girolamo:
CARO GUASTO, CONCORDO CON LE COSE CHE DICI: IL PROBLEMA E' CHE PAOLO HA TESTUALMENTE SCRITTO CHE "QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO IL PAZIENTE PARLA SEMPRE DEL TERAPEUTA": IL PROBLEMA E' TUTTO IN QUEL SEMPLICE "SEMPRE". CHE IL PAZIENTE POSSA DI RADO, OCCASIONALMENTE, SPESSO, SPESSISSIMO, PARLARE DEL TERAPEUTA QUANDO PARLA DI QUALCUN ALTRO E' GIVEN FOR GRANTED, OSSIA LO DO' (O FORSE NON DOVREI, MA DOVREI SPIEGARLO O DIMOSTRARLO) PER SCONTATO. MA QUELL'AVVERBIO "SEMPRE" FA TUTTA LA DIFFERENZA, E SI PASSA DALLA SCIENZA (E DALLA POSSIBILITA' DI UNA VERIFICA SPERIMENTALE) ALLA FEDE. COSA PENSERESTI SE IO DICESSI CHE "TU SEI SEMPRE (INTESO IN SENSO STRETTO E NON FIGURATO) ARRABBIATO"? E VI E' DIFFERENZA TRA TALE AFFERMAZIONE E LA SEGUENTE: "TU SEI DI RADO, OCCASIONALMENTE, SPESSO, SPESSISSIMO ARRABBIATO"? LA DIFFERENZA C'E' E COME: ESATTAMENTE COME NEL CASO DELLA FRASE DI CUI DISCUTIAMO.
IL PROBLEMA DI FONDO E' CHE PER DECENNI CONGETTURE DI TUTTI I TIPI, COMPRESE LE PIU' FANTASIOSE O FRANCAMENTE DELIRANTI (VEDASI LACAN ED ANCHE MOLTE COSE DELLA "SANTA KLEIN", PER NON PARLARE POI DELLE MIGLIAIA DI CONGETTURE ASSURDE E TOTALMENTE INVENTATE DI CUI E' COSTELLATA L'INTERA STORIA DELLA PSICHIATRIA E DELLA MEDICINA) SONO STATE DATE PER SCONTATE: IL VENTO E' (FORTUNATAMENTE) CAMBIATO E CIASCUNA CONGETTURA DEVE ESSERE SOTTOPOSTA, PER ESSERE ACCETTATA IN CAMPO SCIENTIFICO, A RIGOROSI TESTS SPERIMENTALI E DEVE ESSERE RIPRODUCIBILE. ALTRIMENTI PARLIAMO, COME IN MOLTI CASI ACCADE ANCOR OGGI IN PSICOANALISI, DI FEDE.

CARI SALUTI, GIOVANNI

25/4/97, Paolo Migone:
On 25/04/97Giovanni de Girolamo wrote:
>CARO GUASTO, CONCORDO CON LE COSE CHE DICI: IL PROBLEMA E' CHE PAOLO HA TESTUALMENTE SCRITTO CHE "QUANDO PARLA DI QUALCUNALTRO IL PAZIENTE PARLA SEMPRE DEL TERAPEUTA".
Caro Giovanni,in realtà, la mia frase era: "quando [il paziente] parla di qualcun altro, parla sempre anche del terapeuta, perché è il pattern relazionale che viene attivato, pattern che entro una certa misura è simile in tutti i rapporti"... ecc. (ho scritto qui in corsivo la parola anche).

Nella tua citazione quindi hai omesso la parola "anche" che invece c'era, e che ritengo importante per la coerenza teorica del concetto di transfert.

25/4/97, Albertina Seta:
Inserirsi nello scambio Migone-de Girolamo potrebbe apparire per lo meno sventato, nondimeno vorrei provarmi a sostenere le ragioni del primo, il quale, peraltro mi sembra che non abbia bisogno di alcun sostegno, ed ancor di più quelle di... Giuseppe.
D'accordissimo con Migone (e con Gill) sul qui ed ora; Giuseppe non è tanto da considerare una ripetizione del passato quanto una relazione reale del paziente con il terapeuta che potrebbe (anzi dovrebbe) comprendere aspetti nuovi, ovvero mai sperimentati, o perduti dal paziente stesso. Naturalmente questo farebbe entrare in ballo la questione del... transfert negativo. Ha ragione De Girolamo a temere la violenza del depresso che a questo puntosi scatenerebbe o dobbiamo pensare che in ogni modo questa violenza vada affrontata per poter parlare di cura della depressione? Ed ancora potrebbe darsi l'ipotesi che, allorché in una situazione depressiva si dia la possibilità di un intervento psicoterapeutico, convogliare la violenza depressiva nei confronti del terapeuta, beninteso a patto che egli sia in grado di sostenerla e di trasformarla, magari lentamente, possa rappresentare già un passo avanti ovvero una valida risposta al rischio suicidario?

Un saluto. Albertina Seta

25/4/97, Paolo Migone:
Cara Albertina, trovo molto interessante la tua osservazione, con la quale concordo pienamente, ma come sai nella IPT è vietato parlare del rapporto paziente-terapeuta, e nelle mie lunghe mails cercavo di discuterne i motivi (anche giusti, secondo la logica dei vantaggi della standardizzazione per la ricerca, ma qui non voglio tornarci).

Però non sono riuscito ad entrare nel merito di questi problemi con qualcuno (tu sei la prima), e si è scivolati su discorsi più generici. Per cui ti ringrazio.

24/4/97, Marco Lussetti:
On 22/04/97Giovanni de Girolamo wrote:
>le tue risposte hanno un potere "magnetico", in quanto sono così ricche e piene di stimoli che è impossibile fare a meno di riflettervi e rispondervi.
Io invece  trovo queste discussioni sulla psicoanalisi alquanto noiose e irritanti in quanto chi crede nel Transfert, ci crede e raramente e' interessato a valutare altri punti di vista o teorie che siano al di fuori della sua Fede. Let it be! Se qualcuno fosse comunque interessato all'argomento suggerirei: Why Freud was Wrong. Sin, Science and Psychoanalysis di R. Webster, Londra: Harper Collins, 1995 (ora anche in paperback per sole UK sterling 9.99).
Mi fa piu' piacere quando tu, Giovanni, segnali qualche cosa di nuovo, magari basato su un po' piu' di evidenza sperimentale....

Grazie. Marco Lussetti.

24/4/97, Juan Carlos Garelli (University of Buenos Aires):
Since it seems impossible to get rid of this list, I will participate, at least on this poster.
On 24/4/97 Marco Lussetti wrote:
>Io invece trovo queste discussioni sulla psicoanalisi alquanto noiose e irritanti in quanto chi crede nel Transfert, ci crede e raramente e' interessato a valutare altri punti di vista o teorie che siano al di fuori della sua Fede. Let it be! Se qualcuno fosse comunque interessato all'argomento suggerirei: Why Freud was Wrong.Sin, Science and Psychoanalysis di R. Webster

I must have read dozens of books proving Freud wrong for the last 25 years or so. Our generations seem to have no memory. Our training institutes outdated. Emanuel Peterfreund, an extraordinarily intelligent man and a psychoanalyst wrote Information, Systems, and Psychoanalysis: An Evolutionary Approach to Psychoanalytic Theory in 1971 (New York: International University Press), where he tears the Freudian edifice to pieces. Before him, George Klein attacked Freud's metapsychology leaving no room for further discussion. Benjamin Rubinstein criticized the epistemological shortcomings of Freud's ouevre, leaving nothing standing on its feet. Roy Schafer, Merton Gill, Robert Holt, all of them Americans criticized other aspects of Freud's approach by the same time: the early 70's. In 1977, Allan Rosenblatt and James Thickstun wrote Modern Psychoanalytic Concepts in a General Psychology: they demolished Freud. John Bowlby demonstrated that Freud's theory of psychological evolution was wrong, that the Oedipus Complex existed on lyin his mind, that Little Hans was afraid of horses because his mother neglected him, not because he feared his father. Summing up, as far as I know, there is not a single aspect of Freud's writings that hasn't been proved wrong. Freud was already wrong for the scientific world by 1980. So, I cannot understand what is the point to go on reading books about why Freud was wrong. Wouldn't it be far more enriching reading Freud and find his gross faults by oneself? On the other hand, if psychoanalysts feel reluctant to go through such tediousness, we could all reach an agreement and publish a sort of Reader's Digest series on Freud's myths and inventions.

24/4/97, Marco Lussetti:
Dear JuanCarlos, I am so ignorant, that I shouldn't have written the word Freud in the first place. I don't know not even a book you quoted. But the title of Webster's book is a little bit misleading: Freud was not simply wrong (nothing wrong with it: we judge his work after one century!), but he was cheating. He published false things (e.g. on Anna O.). Many other patients were (mis)treated following his theories based on false (i.e., purposley forged) data. Why should I read (and waste my time) on Freud's book oron books on Fraud -- I mean Freud? (Don't worry, I am not. Only a rare bagatelle on a Greek beach with my Webster's book!). But why are so many people still reading his work and waste even precious bytes on Internet for him? That's a mistery I would like to understand (but I can survive in ignorance)! ?8-))
Some weeks ago I met in Milan Gavin Andrews. He told me that in the University he is teaching now in Sydney an after-degree student in psychiatry got only 20 hours of teaching in psychoanalysis (probably for its historical weight).That's life in Australia. How is it in Argentina where you teach: better or worse?

A presto (mi piacerebbe leggere tuoi interventi in Spagnolo: e' una lingua molto piu' musicale dell'inglese!).

24/4/97, Juan Carlos Garelli:
On 24/4/97 Marco Lusetti wrote:
>I am so ignorant, that I shouldn't have written the word Freud in the first place. I don't know not even a book you quoted. That is probably because you must be much younger than I am (55). But the title of Webster's book is a little bit misleading: Freud was not simply wrong (nothing wrong with it: we judge his work after one century!)

I disagree, he was wrong. The new generations should know it, in full detail, as his gibberish jargon has already become part of our culture, either in its original form such as the Oedipus complex or as derivatives of his second theory of instincts which implies children universally bear perverse (component) instincts thereby avoiding "spoiling" them has become a must with the subsequent dire consequences for children who are either victimized by their parents or neglected out of modern permissive patterns of behaviour. See Diana Baumrind's profuse bibliography on the issue.

>but he was cheating. He published false things (e.g. on Anna O.). Many other patients were (mis)treated following his theories based on false (i.e., purposley forged) data.

That is false. Webster is a bestseller book maker, not a writer, let alone somebody qualified to judge or label Freud a forger.

>Why should I read (and waste my time) on Freud's book or on books on Fraud -- I mean Freud? (Don't worry, I am not. Only a rare bagatelle on a Greekbeach with my Webster's book!). But why are so many people still reading his work and waste even precious bytes on Internet for him? That's a mistery I would like to understand (but I can survive in ignorance) !?8-))

It's not a waste of time. I cannot explain at length why. Just a few points: he was witty enough to make most of the right questions. His first (traumatic) theory on the origins of neuroses would have led him to unpredictable discoveries. He changed to his second theory in 1900 (The Interpretation of Dreams, chapter 7) replacing the traumatic theory whereby people became neurotic because their having undergone perverse abuse during childhood by the far more acceptable theory that it weren't the parents that were at fault, but childish fantasies that formed part and parcel of the aetiology of neuroses.

He might have shifted his stance on purpose or unwittingly, we don't know. But we must know what he did because the man has been and still is the most influential figure in the realm of psychology. I deem it irresponsible to ignore him, particularly now other authors, like Lacan and the French school is so direfully influential, as well as the plethora of psychoanalytic-oriented schools that keep growing like mushrooms all over the planet.

>Some weeks ago I met in Milan Gavin Andrews. He told me that in the University he is teaching now in Sydney an after-degree student in psychiatry got only 20 hours of teaching in psychoanalysis (probably for its historical weight). That's life in Australia. How is it in Argentina where you teach: better or worse?
"Aussies" know nothing about psychoanalysis because of their intellectual dullness, not because they have thoroughly studied the discipline found it worthless and thereby decided to do away with it.
So, it isn't a matter of better or worse, it's a matter of ignorance.

Argentina is famous worldwide by the extraordinary repercussion psychoanalysis received,and we have the best specialists on any branch of psychoanalysis in the whole world. An assertion which by no means implies I agree with what people generally call "psychoanalysis".

25/4/97, Paolo Migone:
Caro Garelli, ti ringrazio per essere intervenuto in questa discussione, anche se mi sembra che il tono della tua mail sia un po' estremo, col rischio di essere impreciso (ovviamente questa è solo una mia impressione, e potrei sbagliarmi).

Vorrei sottolineare una strana contraddizione della piega che ha preso il dibattito. Giovanni de Girolamo sembrava irritato da certe frasi di Gill che io avevo riportato, frasi che gli sembravano troppo "di chiesa", troppo psicoanalitiche nel senso "fideistico". Ora tu citi proprio Gill tra quelli che hanno maggiormente criticato vari aspetti della psicoanalisi. Penso che questo dia un'idea della confusione a cui si può giungere se non si sta attenti e se non si capisce bene di cosa si sta discutendo, se non si chiariscono bene i termini usati, se si fanno troppe generalizzazioni (e qui può darsi benissimo che sia stato io anche a non essere stato chiaro)

Non solo, ma a me ha fatto molto piacere la tua mail perché mi sembra che abbiamo gli stessi interessi o abbiamo fatto le stesse letture. Conosco molto bene gli autori che citi, e i loro libri (molti dei quali negli ultimi anni sono usciti anche in italiano) sono quelli a cui sono più affezionato.

Alcuni degli autori che citi (soprattutto Holt e Gill) per varie vicissitudini li ho conosciuti personalmente e ho stretto con loro profonde amicizie (consuetudini di fare le vacanze insieme, ecc. -- non ho mai detto a Giovanni, forse per non rovinargli la vacanza, che quando era ospite in casa mia al mare dormiva nel letto dove aveva dormito Gill, ma ora glielo posso dire perché viene detto che Gill era un duro critico di Freud). Ero legato anche a Bowlby, ed è anche tramite lui che ho stretto amicizia con Liotti, un cognitivista che stimo molto e col quale sto scrivendo quell'ambizioso lavoro che prima ho citato (Psychoanalysis and cognitive-evolutionary psychology: an attempt at integration, International Journal of Psychoanalysis, 1998, 79, 6: 1071-1095 -- Holt ne è molto interessato, e mi scrive lunghe lettere di commento in cui lo discute riga per riga) (il nostro articolo ha già ricevuto la prima valutazione dei referees dell'International Journal of Psycho-analysis, e tra pochi mesi dovrebbe essere pronto).

Insomma, io considero gli autori che tu citi tra i miei veri maestri, i miei punti di riferimento a livello teorico: per quello che so io di loro, dato che li conosco molto bene, hanno (o avevano -- alcuni, come Gill, Bowlby, Peterfreund,ecc., sono morti) una profonda stima e passione per l'impresa scientifica di Freud, e hanno dedicato tutta la loro vita a correggerne i punti deboli e a proporre delle alternative.

Tu dici che i colleghi più giovani non sanno molte cose. E' vero, ed è anche per questo che ho voluto raccontare (nel cap. 13 del mio libro Terapia psicoanalitica) la biografia personale e scientifica di Rapaport, Holt, Gill, G. Klein, Schafer e Rubinstein (ho tralasciato Peterfreund, una figura importantissima, perché ho voluto limitarmi ai membri del gruppo di Rapaport), ho tradotto vari lavori di questi autori, ora sono usciti anche dei loro libri in italiano, ecc. (i colleghi capiranno che non posso dilungarmi qui perché altrimenti non si finisce più).

Un ultima osservazione riguardo al libro di Webster, citato dal collega Lussetti. Hai ragione nel dire che "Webster is a bestseller book maker, nota writer, let alone somebody qualified to judge or label Freud a forger". Vi sono oggi tanti libri come quello di Webster, che inseguono la moda del jeu de massacre alle spese di Freud per vendere libri. Molti di questi libri sono approssimativi, scritti da studiosi dell'ultima ora. A questo proposito consiglierei Lussetti o chi altri fosse interessato a leggere la dura critica di Holt a Webster in un saggio recensione su questo libro (Psychoanalytic Books, 1996, 4: 511-519). Contrariamente a Webster, Holt ha dedicato la vita a studiare Freud, e lo critica, ma in un modo diverso. In questa recensione Holt dimostra molto bene lo sforzo di Webster non sia altro che quello di ripetere, in peggio, gli errori che lui dice di vedere in Freud, soprattutto riguardo alla logica argomentativa, al rigore scientifico, e alla stessa concezione di "scienza" che Webster dice che Freud aveva.

P.S.: if you have trouble in understanding this letter, please let me know, and I'll write it to you in English.

26/04/97, Giobatta Guasto:
Modesta proposta: anziché parlare (pro o contro) "la" psicoanalisi, non si potrebbe cominciare a parlare "delle" varie psicoanalisi?

Un saluto

26/4/97, Paolo Migone:
La risposta richiederebbe infinite ore di discussione. Mi permetto di consigliare un libro tra i tantissimi che sono in commercio, quello di Morris Eagle (1984) La psicoanalisi contemporanea (Bari: Laterza, 1988), che esamina tutte le principali teorie psicoanalitiche una per una e le critica, con un certo rigore logico e attenzione ai dati sperimentali (Eagle è stato per molti anni stretto amico e collega di quasi tutti gli autori citati da Garelli nella sua mail del 24/4/96, e ha vissuto il dibattito di quegli anni da attivo e importante protagonista).

Vorrei anche dire che cercherò per un po' di astenermi dal dibattito con Giovanni. Ieri ho telefonato a Giovanni per supplicarlo di fare un armistizio in questo dibattito, perché non riesco più a trovare il tempo di fare altre cose importanti che devo fare, e ho provato la brutta sensazione di essere addicted alla lista (prima consumavo le serate, poi mi sono accorto che ho "abusato" anche di mezza giornata di festa). Quindi vorrei sperimentare la mia capacità di astenermi per un po' dalla "sostanza". Un caro saluto a tutti.

Fine della Terza parte. Vai alla Quarta parte (bibliografia)

Per le altre parti, vai alla parte Prima e Seconda

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