Ho fatto la scelta di lasciare il testo così come era nel dibattito,senza chiedere ai singoli partecipanti di correggerlo o migliorarlo, perchéciò sarebbe stato improponibile, e poi comunque sarebbe risultataun'altra cosa, diversa dal dibattito originale. Mi sono limitato a minimecorrezioni formali nei rari casi in cui mi sono accorto di piccoli erroridi battitura, alcune volte ho eliminato brevi frasi che riguardavano altritemi, e ho messo in ordine logico quelle E-Mails che a volte erano"in parallelo". Ho lasciato anche quelle frasi scritte in letteremaiuscole, così come furono scritte, perché potevano denotareuna maggiore enfasi da parte di chi le aveva scritte. Inoltre, coloro che non hanno dimestichezza con la posta elettronicatroveranno che a volte alcune frasi hanno a sinistra, dove inizia la riga,il simbolo ">": questo simbolo (che viene generato automaticamentedal programma di posta elettronica quando si vuole rispondere a una E-Mail)sta a significare che la frase così contrassegnata è unacitazione presa dalla E-Mail alla quale si intende rispondere. Come accennavo nella presentazione, questo dibattito tocca alcuni noditeorici e clinici importanti, peraltro lasciati volutamente aperti nellaloro complessità, quali la questione della "validazione scientifica"di una tecnica psicoterapeutica, della "efficacia" di un intervento,delle comprensibili pressioni dovute alla bilancia costi/benefici, e soprattuttodel legame tra teoria e pratica nel nostro operare di psicoterapeuti. Entriamodunque nel vivo della discussione e ascoltiamo le ragioni dei vari colleghi. Grazie per la collaborazione. Limitare la scelta a un terapeuta di una scuola, oltre che a restringerela gamma dei possibili candidati (a danno della paziente), rischia di ripeterela logica (questa sì antiscientifica) delle parrocchie nel sensopeggiore, nell'illusione che tutti i membri di una scuola siano bravi (o,se è per questo, non bravi o meno bravi) di un'altra parrocchia.Purtroppo la psicoterapia è ancora ad un tale stadio "prescientifico"(nel senso delle scienze dure) che le variabili in gioco sono ben piùcomplicate, passano attraverso i cosiddetti fattori della "persona"(e questo, come ti dicevo, è sempre più "evidence-based"). Permettimi di fare alcuni altri commenti liberi, che rappresentano ovviamentedei punti di vista personali, riguardo ai singoli orientamenti che tu citi.Tu parli di "orientamento cognitivo-comportamentale". Secondome non c'è niente di più impreciso, puoi trovare dei terapeutiche sono pericolosi, tanto quanto in psicoanalisi, soprattutto in Italia(ti parla uno che, anche se di provenienza "psicoanalitica",è molto interessato al cognitivismo e ha la massima stima di alcunicognitivisti italiani: tanto per fare un esempio, io quando invio un pazientea un terapeuta di Roma, faccio sempre i nomi di Liotti o Semerari, duecognitivisti che stimo e di cui sono amico. Sono loro i miei punti di riferimentoa Roma, con Liotti sto scrivendo un lavoro insieme, ecc., ma è unpo' un caso, stimo anche molti cosiddetti "psicoanalisti"). Per quanto riguarda quello che tu chiami orientamento "interpersonale",è quanto mai una parola generica, un cliché. Se alludialla Inter-Personal Therapy (IPT) di Klerman & Weissman, essa,nella migliore delle ipotesi, secondo me non è altro che una pallidae brutta imitazione di una qualunque psicoterapia dinamica. Quello chedifferenzia la IPT da una psicoterapia dinamica che non si chiama IPT èche la IPT è più riduttiva, più schematica, nata daun manuale ipersemplificato fatto per essere sperimentata nel noto studiomulticentrico dell'NIMH (è questo il suo solo merito), e per essereinsegnata meccanicamente e in fretta ad operatori non sofisticati, comeassistenti sociali, ecc. Penso che Giovanni de Girolamo abbia peccato diingenuità nell'enfatizzare la IPT in Italia per il solo fatto cheè stata sperimentata (mi permetto di criticare a questo propositoapertamente Giovanni perché come sai lo stimo e sono molto suo amicoda anni, e lui non è il tipo che non accetta il dibattito). La ascesadella IPT nel panorama internazionale, e la sua accettazione acritica incerti paesi come l'Italia, è una cosa triste, un fraintendimentoche tradisce anche un fatto grave: la non chiarezza su cosa noi intendiamoper "scienza" (e queste cose tra l'altro Giovanni le sa, e dovrebbeandare più cauto con il suo discorso sulla "evidence-basedpsychiatry"). Mi spiego: nel caso della IPT è proprio ilcaso di dire che un fenomeno diventa tanto più "scientifico"quante più variabili noi eliminiamo, tanto più lo riduciamoa una caricatura. La unica teoria che la IPT ha alle spalle è lapsicoanalisi, con la differenza che si cerca di deenfatizzare le cose piùimportanti e utili della psicoanalisi (come ad esempio il parlare del rapportocol terapeuta, il "qui ed ora", cioè il transfert). LaIPT va bene se fai uno studio su una terapia manualizzata, ma elevarlaa nostra pratica clinica ideale lo trovo grottesco, penso significhi unpo' non sapere cosa è la psicoterapia, significa non avere elasticità.Questa è almeno la impressione che ho avuto da un seminario sullaIPT organizzato appunto da Giovanni. A me fanno sorridere quelli che diconoche nella loro pratica privata "praticano la IPT", mi danno l'ideadi non avere una cultura psicoterapeutica. A mio modesto parere, non esistonooggi molte alternative teoriche alla terapia dinamica, quella che si chiamacosì senza altri appellativi. Stesse cose potrei dirle a proposito della Dialectial Behavior Therapy(DBT) della Linehan per i borderline. Ti parlo ancora sotto l'influenzadei treinteressantissimi giorni passati assieme a Clarkin al corsoche ho organizzato alla ClinicaPsichiatrica della Università di Parma sui disturbi di personalità,sotto gli auspici della Societyfor Psychotherapy Research (SPR)e della Società Italianadi Psichiatria (SPI). Conoscevo già il lavoro del gruppodi Kernberg, ma sono rimasto veramente impressionato dalla loro straordinariaesperienza clinica. Ma non voglio allungare troppo questa lettera e appesantirela lista che è già fin troppo carica. 1. Quello che emerge, dalle tue osservazioni, è la ben nota tesi(rivista, tuttavia, ad usum delphini) che "Tutti hanno vintoe tutti hanno diritto ai loro premi": ossia, tutte le psicoterapiesono uguali, quel che conta è lo psicoterapeuta, ecc. La realtàè ben diversa da ciò. NON TUTTE LE PSICOTERAPIE SONO EGUALI:IN PARTICOLARE LE EVIDENZE DI EFFICACIA DI PSICOTERAPIE SPECIFICHE PERIL TRATTAMENTO DI DISTURBI SPECIFICI (e non per il trattamento di indeterminatied indeterminabili malesseri esistenziali, come sono in larga misura quelliche afferiscono alla maggior parte degli studi psicoanalitici) SONO STRAORDINARIAMENTEDIVERSE. Non accettare tale dato di fatto, come purtroppo anche i seriricercatori di matrice psicoanalitica come te fanno, conduce ovviamentead una serie di gravi bias. Ma su questo tema vorrei rimandare adun libro che ho acquistato di recente, What Works for Whom? A Reviewof Psychotherapy Research, di Roth & Fonagy, New York: Guilford,1996 (non devo certo spiegare a te chi è Fonagy!); tale volume (peer-reviewedda un gruppo internazionale) fornisce una eloquente e chiara dimostrazionedell'assunto di cui sopra, e -- ahimè -- giunge alla conclusioneche LE EVIDENZE DI EFFICACIA DEI TRATTAMENTI DI "TIPO" PSICOANALITICO(psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica, psicoterapia di ispirazionepsicoanalitica, e chi più ne ha più ne metta) SONO PURTROPPOINESISTENTI, al contrario di quelle relative ad altre psicoterapie. 2. Nel caso specifico citato da Danilo, egli chiedeva -- in manierastraordinariamente corretta, a mio avviso -- se vi fosse un terapista inuna data area che impiega (tralascio, per mancanza di tempo e di spazio)TECNICHE PER IL TRATTAMENTO DI UN DISTURBO SPECIFICO (la depressione) CHESIANO EVIDENCE-BASED: non devo certo spiegare a te che sia la terapiacognitiva che l'IPT sono tecniche ampiamente evidence-based peril trattamento della depressione maggiore (vedi lo studio NIMH-TDCRP),mentre la psicoanalisi (nelle sue varie declinazioni, non è purtroppo,per il trattamento della depressione maggiore, evidence-based).Inoltre, nel caso delle prime due tecniche si tratta di terapie a duratalimitata, oltre la quale si raccomanda al paziente una eventuale alternativa(es. farmaci, o l'altro tipo di psicoterapia); nel caso della psicoterapiapsicoanalitica si tratta di un intervento di durata (e di costi) illimitata,differenza che finalmente -- nel 1997 -- si apprezza in tutte le sue numeroseimplicazioni. Con i più cari saluti. Giovanni. Quanto al libro di Roth & Fonagy, avevo visto il manoscritto l'estatescorsa a Toronto a un congresso, e sicuramente è un libro importanteche spero di avere tra le mani presto. E' incredibile quante cose sia riuscitoa fare Fonagy in questi ultimi anni. Paolo Mi riferisco alla straordinaria analisi che è stata fatta a Pittsburgh,nell'ambito del Maintenance Study of Recurrent Depression, su tuttele sedute audioregistrate dei pazienti trattati con IPT (solo gli americanipossono fare queste cose!): dei valutatori blind hanno fatto unrating delle sedute, stabilendo in che misura l'IPT era di "bassa"o "alta" qualità, a seconda che il focus dellaseduta fosse quasi sempre e coerentemente rivolto alle tematiche interpersonaliscelte (lutto complicato, transizione o conflitto di ruolo) o che invecefosse rivolto a tematiche diverse, tra cui la relazione paziente-terapista.Quel che è venuto fuori è che i pazienti trattati con IPTdi alta qualità (focus sempre sulle tematiche interpersonaliprescelte per il trattamento) hanno presentato un tasso straordinariamenteminore di ricadute rispetto a quelli trattati con IPT di "bassa"qualità (attenzione spesso ed ampiamente rivolta anche a tematichenon interpersonali ed extra-setting, come ad esempio le dinamiche transferalie controtransferali). Tale differenza dimostra che, almeno nel trattamentodella depressione, l'IPT è tanto più efficace quanto piùsi rifà alla tecnica specifica e manualizzata e quanto meno impiegatecniche che - credo a parere unanime - sono tuttora considerate centralinei trattamenti di derivazione psicoanalitica (analisi delle dinamichetransferali e controtransferali). Con i più cari saluti. Giovanni. Ritengo comunque che possano esservi delle spiegazioni (che lascianoil tempo che trovano perché rimangono delle ipotesi difficili dadimostrare empiricamente). Te ne accenno una: i depressi tendono a riattivarecon molta facilità il loro senso di colpa, e parlare del rapportocol terapeuta può esporli al rischio di sentirsi in colpa, "responsabili"dei loro stati emotivi, mentre parlare sempre dei altri, dare "lacolpa agli altri" (al marito insensibile, al capoufficio tiranno,ecc.) li risolleva, grazie al rinforzo della difesa proiettiva ("ilcattivo è lui, non sono io"). Se il terapeuta si comporta correttamente,è difficile per un paziente "dargli la colpa", e una breveanalisi dei significati della depressione porta inevitabilmente al rischioche la proiezione venga demolita e quindi cresca la depressione. Lavorarecon pazienti affetti da depressione maggiore è delicato, perchéa volte se solo li fai riflettere sulla contradditorietà delle loromotivazioni si mettono a piangere (è capitato a me un mese fa conuna mia paziente molto depressa e con un equilibrio affettivo estremamenteprecario: non capivo bene cosa aveva detto, e le chiedevo solo di spiegarmelomeglio, ma lei si è sentita accusata, ha pianto tutta la sedutae ha quasi pensato di interrompere il trattamento; sono allora rimastozitto per due o tre sedute, senza commentare le sue solite lamentele deglialtri, e lentamente ha riacquistato l'equilibrio -- da notare che èuna donna molto intelligente) (tranquillizzo subito i biopsichiatri dicendoche è in antidepressivi a dosi piene). Tra l'altro è risultatopoi che aveva "la coda di paglia", cioè la cosa che nonavevo capito era una sua contraddizione in cui cercava di far passare che-- per l'ennesima volta -- "la colpa di qualcosa era di un altro".Negli anni è passata attraverso tutti i più noti psichiatridella città, provando varie terapie farmacologiche senza successo.Io la sto "aggredendo" da due anni con la psicoterapia, convintoche si tratti di una depressione caratterologica, ottenendo risultati peraltrominimi. Ma quello che volevo dirti in queste mie mails è questo:ogni terapeuta dinamico, degno di questo nome, sa quanto è importantee utile la "paranoia" per alcuni pazienti, ed è un dovereprocedere molto delicatamente, perché non possono reggere il confrontoeccessivo delle loro contraddizioni. E' possibile che Klerman, che erauno psichiatra di grandissima esperienza, così come pure gli altriautori del manuale della IPT, avessero capito bene queste problematiche:è meglio uniformare la tecnica dando direttive precise a tutti iterapeuti a non toccare il transfert (non parlare mai veramente di sé)coi depressi, perché così si hanno maggiori chancesdi successo nel breve periodo. Io ragionavo però in un altro modo:se il problema è quello dell'autostima, degli spunti persecutori(o, come dicono quegli analisti affezionati alla metapsicologia, dell'aggressivitàproiettata, ecc.), mi sembra che ai terapeuti vadano insegnate queste cose,cose utili per lavorare con tutti i pazienti, usare cioè questevariabili ("cliniche", non metapsicologiche) come guida per inostri interventi. Se invece diciamo a tutti, senza troppa elaborazioneconcettuale (come ho visto fare in un corso sulla IPT) che quello che sideve fare è non parlare mai del transfert senza spiegare bene perché,cioè senza inserire questo tipo di intervento all'interno di unacornice teorica più generale della psicoterapia e del funzionamentopsichico, alla lunga si possono fare degli errori, delle mosse controterapeutiche(il mio interesse è altrettanto pratico, come per i fautori dellaIPT). Tra parentesi, ricordo che in quel corso sulla IPT (che tu organizzasti)io chiesi al conduttore come è possibile non parlare della relazionecol terapeuta se per caso il paziente dice che è depresso proprioperché nella seduta precedente era stato ferito dal terapeuta stesso(il conduttore aveva appena detto che ogni seduta bisogna chiedere al pazientedi parlare di quello che è successo nelle settimana precedente congli altri, di parlare degli episodi possibile fonte di depressione, manon del rapporto col terapeuta), e in effetti non c'era una risposta facilea questa domanda, data la regola di evitare il "qui ed ora" dellaIPT. Se invece insegnassimo che si può parlare di tutto, ma evitaredi far sentire in colpa il paziente se lui non lo tollera -- cosìragionavo io -- si insegna una tecnica più efficace, perchési fornisce un rationale più coerentemente inserito in unateoria generale della terapia. Ma può darsi che qui mi sbagli: forse coi depressi paga di più,in termini di rischi, dare l'indicazione di non toccare mai il "quied ora", perché se tu insegni la psicoterapia come la vorreiinsegnare io magari tanti terapeuti non la capirebbero bene e parlerebberoin modo inappropriato del transfert a tutti i pazienti, creando solo danni,colpevolizzazioni, intrusioni, o facendo la caricatura del "giocodel piccolo psicoanalista" che non fa altro che parlare delle implicazionitransferali insultando anche la intelligenza del paziente (quindi facendolosentire stupido). Un abbraccio. Paolo. Per quanto riguarda il transfert, caro Paolo, chi -- con un minimo disale nella zucca -- può negarne l'esistenza e l'influenza massivache esso esercita nei rapporti interpersonali, sia nei setting assistenzialiche nella vita di tutti i giorni? Il problema, però, caro Paolo,è che il transfert non è stato né creato dalla psicoanalisiné è monopolio di quest'ultima: in tempi di mitologia dellaconcorrenza e del libero mercato, questa posizione è ovviamenteinaccettabile. Quindi, (1) è possibilissimo non dirsi psicoanalisti (o psicoanalitici,ecc.); (2) esistono psicoterapie (tra le 475 contate anni fa da Karasu:ora saranno divenute 600 o 700!) che non hanno nulla a che spartire conla psicoanalisi, più di quanto esse non abbiano a che spartire conla laserchirurgia oftalmologica (in entrambi i casi ci si occupa di esseriviventi; in entrambi i casi vi è un paziente ed un terapista; inentrambi i casi il paziente ed il terapista respirano, mangiano, ecc.);(3) il transfert non è monopolio né è stato creatodalla psicoanalisi; si potrebbe discutere del contributo fornito dallapsicoanalisi, al pari di molte altre correnti disciplinari, alla sua delucidazione. 2. La tua affermazione secondo cui "il paziente, secondo il bennoto adagio di Freud, quando parla di qualcun altro parla sempre anchedel terapeuta" è una meravigliosa congettura, al pari di quellarelativa alla Verginità della Madonna, alla presenza di esseri viventisu Plutone, e via discorrendo. Naturalmente se deve essere considerataun atto di fede e presa come tale, mi sta benissimo: ma dobbiamo tuttaviaconvenire che non ha nulla a che fare con la scienza, ma solo con la fede! Infatti, faccio due obiezioni: 2.1 Esiste una qualsivoglia, minima dimostrazione sperimentale di taleassunto? Che mi risulti no, quindi è un atto di fede e non scienza. 2.2 E' possibile falsificarla? Certo: immaginiamo il caso di una donna,affetta da un disturbo post-traumatico da stress in quanto vittima di stupro,che sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA: vogliamo raccontarci la barzellettache, allorquando ella parla dello stupratore ed esprime la sua rabbia,voglia di vendetta, sdegno, ripulsa (tutti sentimenti del tutto comprensibili)"parla anche del terapeuta"? (non a caso ho ipotizzato che ilterapeuta fosse una donna). 2.3 Quando io ho fatto la mia corvè psicoanalitica personalecon la buonanima di Elvio Fachinelli (fisicamente alquanto poco attraente!),e gli parlavo di una donna di cui ero innamorato all'epoca, "parlavosempre anche del terapeuta"? Un abbraccio, Giovanni E' per questo che ho citato le frasi (che appunto chiamo "provocatorie")di Gill (perché sono di Gill quelle frasi che tu citi all'inizio),per fare riflettere su cosa può significare fare una determinataoperazione in psicoterapia, quali implicazioni pratiche e teoriche ad esempiopossa avere la conoscenza del cosiddetto transfert nel lavoro con un pazientedepresso (o non). Se ben ricordi avevo discusso del rischio della colpevolizzazione,dell'uso improprio e pericoloso delle generalizzazioni sui significatidel "qui ed ora", ecc. (riflessioni sulle quali peraltro tu sembridire che sei d'accordo). A me non interessa assolutamente che queste manifestazionisiano chiamate "transfert", o che un certo modo di lavorare siachiamato "psicoanalisi", a me va benissimo chiamarlo "giuseppe",oppure "marcantonio". Quello che mi interessa è discuteredei concetti, delle operazioni che stanno alla base di queste definizioni.La frase di Gill secondo me è estremamente significativa, e la ritengoperfettamente coerente con le riflessioni contenute in quella mia mail,riflessioni sulle quali, ripeto, tu ora tu dici di "condividere moltissimecose". Non capisco dunque bene cosa vuoi dire. Se la questione èche ti irrita sentire la parola "psicoanalisi", a me va benissimod'ora in poi abolirla, e usare d'ora in poi la parola "giuseppe"(operazione però che può essere di trasformismo culturale,tra l'altro fatta da molti, secondo me da alcuni adesso in USA -- ad esempioJohn Strauss -- che si rifà a precisi concetti psicoanalitici senzachiamarli col loro nome per non inimicarsi l'establishment culturaledi adesso). A me basta sapere di cosa si parla. Ed è un peccatoche tu qui non entri bene nel merito dei concetti di cui ho discusso. Mavediamo se dopo ci entri nelle parti successive della tua mail. (Prima faccio una parentesi su Gill. Il motivo per cui ho citato Gill,e non ho semplicemente detto quello che pensavo senza citare nessuno --pensavo queste cose ben prima che le dicesse Gill, ma lui le ha teorizzateestremamente bene -- è dovuto al fatto che purtroppo nel nostrocampo quando sostieni una posizione un po' diversa o radicale, spesso vienesvalutata o ignorata. Se tu però dici le stesse cose citando lafrase di un autore importante come Gill -- che secondo molti fu uno deiteorici più importanti e più stimati non solo della Psicologiadell'Io ma dell'intera storia della psicoanalisi -- allora molti stannopiù attenti e sono disposti a "crederci" di più.Questo dipende dal fatto che molti non usano semplicemente la propria intelligenzae capacità di riflessione sui concetti, ma la autorità dichi parla. Tralascio di fare commenti su questi aspetti "religiosi"del nostro campo -- presenti non solo nella psicoanalisi ma come ben saianche in vasti settori della psichiatria -- perché sarebbero scontatie senz'altro saremmo d'accordo). Ancora non capisco bene. A me sembrava che la disciplina che ha maggiormenteapprofondito il cosiddetto "transfert" (oltre che ha definirloper prima con questo termine) fosse la psicoanalisi. Ma a parte questo,se tu hai un'altra definizione, oltre a quelle tante già fin troppopresenti in psicoanalisi, perché non la esponi chiaramente? So chetu conosci bene questi fenomeni (pensa solo al concetto di placebo, chealtro non è che il transfert, cioè la suggestione, o se vuoichiamiamola pure "giuseppe")... Ci tengo a precisare che coltermine transfert io alludevo al fenomeno "clinico", che teoricamentepuò essere spiegato in mille modi, alludevo a quel quid chec'è sempre tra le persone, di ineliminabile, e che possiamo cercaredi comprenderlo meglio, di verbalizzarlo, ecc., ovviamente senza mai riuscirea farlo del tutto. La impresa della psicoanalisi, nella storia delle idee,non è altro che un tentativo di fare questo, uno dei tanti tentativi.L'importante è vedere bene in cosa consiste questo tentativo. Nellafattispecie, qui si parlava della mia argomentazione, sulla quale peròancora non sei entrato, ma ti sei fermato a livello nominalistico. Chi ha mai detto che non si può? La frase di Gill alludeva alfatto che è impossibile non fare i conti coi "concetti"sottostanti a queste parole, ed era alla conclusione di un lungo e coerenteragionamento (che purtroppo può non essere chiaro a tutti, e quipuò essere colpa mia non averlo spiegato, ma in una mailnon è facile -- mi spiace autocitarmi, ma chi avesse tempo e vogliaho esposto tutte queste argomentazioni nel cap. 4 del mio libro Terapiapsicoanalitica). Noi comunque ora siamo d'accordo che si chiama"giuseppe", e vediamo di proseguire nel ragionamento e andarela punto (2), dove dici: Si può arguire che è stato "creato" dalla psicoanalisi,ma certo chi ha mai detto che deve esserne monopolio? Anzi, al contrario,la speranza della psicoanalisi (non come istituzione) è che nonsia la sola ad utilizzarlo! Parli dei vari contributi su questo tema. Ma perché allora nonne discutiamo? Era questo proprio lo spirito della mia discussione. Volevocapire ad esempio come la IPT concettualizza il lavoro sul rapporto paziente-terapeutae perché proibisce di toccarlo nei depressi. Nota bene che ho aggiunto l'avverbio "anche". Questa frasedi Freud era una frase ad effetto che ha un grande significato, e volutamenteserve a richiamare l'attenzione. Non è comunque un atto di federitenere che ogni nostra reazione a una esperienza nuova possa avveniresolo sulla base di un precedente template (parola cara a chi siinteressa di informatica, ma è anche la parola della traduzioneinglese del termine che Freud usò quando per la prima volta parlòdel transfert), cioè di una determinata aspettativa basata sulleesperienze precedenti, ecc. (non voglio tediarti ricordandoti cose chesai benissimo). Ne parlò Piaget e una infinità di altri psicologiaccademici (non psicoanalitici). Non c'è niente di più provatonella scienza della psicoterapia. Non si può conoscere niente senon si hanno già degli strumenti conoscitivi per catalogare le percezioni.E' in questo senso (kantiano) che io intendevo il termine. Mi sembravachiaro, dalla mia discussione sulla IPT, che avevo una concezione moltoallargata del transfert, utilizzavo appunto solo il concetto. E precisamente:essere aperti alla possibilità che il paziente ripeta con il terapeutadeterminate modalità (depressive o altro) che presenta fuori, equesta è una importante opportunità terapeutica. E' altrettantoimportante scoprire che per esempio un paziente non ripeta affatto questemodalità: l'interrogarsi anche su questo fa parte del lavoro sultransfert (potrebbe significare per esempio che il paziente ha modalitànon rigide, ecc. -- non è che non abbia il transfert, perchéè impossibile non averlo: spero che tu mi capisca qui, non irritartiancora, ricordati che parlo solo di giuseppe). Le prove di ricerca sono infinite: tra le ultime, vedi tutto il lavorosul CCRT (Core Colflictual Relationship Theme) di Luborsky, utilizzatooggi molto anche da ricercatori cognitivisti, non psicoanalitici, perchéè solo una metodologia di ricerca. Quella donna che ha subito uno stupro può benissimo essere cosìtraumatizzata da avere meno fiducia degli altri in generale, puòtemere di non essere capita, ecc. La teoria del transfert (o giuseppe chedir si voglia) prevede che vi siano schemi cognitivi, Gestalt di significato,nient'affatto legate ad una sola persona, ma come dei patterns,dei templates, che si generalizzano e modificano la percezione dell'esperienza. Quella donna potrà avere difficoltà ad aprirsi ad un altrouomo ma anche ad un(a) terapeuta. Non solo, è stato anche dimostratoche lo schema internalizzato non è solo un "Oggetto" (=persona)ma una "relazione oggettuale". E la prova (tra le tante) èche la relazione si può invertire tranquillamente nel transfert(vedi il concetto di "Passive into active" cioèla inversione dei ruoli). Ma non farmi dire cose che sai benissimo. Adogni buon cono, perché non dai un'occhiata al libro di Luborsky& Crits-Cristoph (1990) Capire il transfert (Milano: Cortina,1992), che è tutto basato sulla ricerca sperimentale? (A proposito della tua domanda, ti faccio notare che tu sottolinei chela donna affetta da PTSD "sia in terapia CON UNA TERAPISTA DONNA",come se fosse scontato che essa dovesse avere sicuramente un grosso transfertnegativo se fosse in terapia con un terapeuta uomo. Io invece, guarda unpo', fedele osservante bigotto della chiesa psicoanalitica, non darei perscontato niente, e sarei aperto alla possibilità che quella donnapotesse trovarsi bene con un terapeuta uomo sensibile e capace di ascoltarla). No, se è per questo potevi parlare forse anche di tua mamma,di una zia, o di altre donne precedenti, non solo del terapeuta, pur essendola esperienza della donna di cui eri innamorato evidentemente una questioneimportante. Ma voglio rispondere a questa tua domanda facendoti notareche se c'è una cosa per la quale Merton Gill, negli ultimi anni,divenne molto conosciuto, fu proprio questa (Gill è proprio quelloche ha detto quelle frasi che ti hanno irritato molto, da te citate all'iniziodi questa mail): lui non smetteva mai di sottolineare, andando controalla concezione ortodossa del transfert, quanto fossero importanti gliinputs reali, del presente (e non del passato), nella manifestazionedel transfert, quanto cioè fosse illegittimo ritenere il transfertuna mera ripetizione del passato, ma quanto invece esso fosse anche unareazione appropriata alla situazione presente. Infatti tanti hanno fattonotare che una delle implicazioni della sua revisione teorica èstata proprio quella di "abolire" il concetto di transfert...La sua Analisi del transfert (titolo del suo libro del 1982) erain realtà una "analisi della relazione". Ma è propriofacendo l'analisi del transfert che si scopre che tanto spesso "transfertnon è", diceva Gill. Con affetto. Paolo (2) IL PROBLEMA NON E' IL TRANSFERT O IL CONTROTRANSFERT, PERCHÉSU QUELLI SOLO UN IDIOTA PUÒ NUTRIRE DUBBI: IL PROBLEMA E' L'INTERPRETAZIONECHE DI ESSI NE FA LA PSICOANALISI, IN LARGHISSIMA MISURA CONGETTURALE ENON SUPPORTATA AFFATTO DA EVIDENZE, MENTRE AL CONTRARIO MOLTE SONO LE EVIDENZECHE HANNO FALSIFICATO TALI CONGETTURE. (3) PER QUANTO ATTIENE ALLA FRASE DI FREUD CHE IO TI HO CONTESTATO,LA SPIEGAZIONE (O PER MEGLIO DIRE CHIARIFICAZIONE) CHE TU FORNISCI E' INLARGA MISURA CONDIVISIBILE, MA E' NON A CASO MOLTO GENERALIZZATRICE E VAMOLTO LONTANO DAL SIGNIFICATO ORIGINARIO (E NON EQUIVOCO) DELLA CONGETTURAFREUDIANA. VORREI TUTTAVIA CHE TU MI SEGNALASSI QUALCHE LAVORO SPECIFICOIN CUI VIENE DIMOSTRATO SPERIMENTALMENTE ESATTAMENTE QUELLO CHE FREUD CONGETTURAVA,OSSIA CHE QUANDO PARLA DI QUALCUN'ALTRO, IN QUALSIASI MOMENTO, A PROPOSITODI QUALSIVOGLIA VICENDA ESISTENZIALE, CON QUALSIVOGLIA STATO D'ANIMO, ILPAZIENTE PARLA SEMPRE, ANCHE O DEL TUTTO (PER ME NON FA MOLTA DIFFERENZA),DEL TERAPEUTA. COME TUTTI GLI ASSUNTI CHE VIOLANO LE REGOLE DEL BUON SENSO, ESSO CONTRAVVIENEALLE REGOLE ELEMENTARI DELLA SCIENZA, OSSIA CHE GLI ASSUNTI IMPIEGATI DEBBANOESSERE PARSIMONIOSI, COERENTI, ADERENTI AL SENSO DELLA REALTÀ'.CONTINUO A RITENERE CHE TALE CONGETTURA VIOLI TUTTE QUESTE REGOLE. IL FATTO POI CHE CIASCUNO DI NOI RIPROPONE NELLA SUA VICENDA PERSONALE(E QUINDI IN OGNI MOMENTO DELL'ESISTENZA) NON SOLO TUTTA LA SUA STORIAINDIVIDUALE, MA ADDIRITTURA L'INTERA VICENDA STORICA DELL'UMANITA' (IOSONO QUESTO PERCHE' SONO NATO IN ITALIA, IN UN DATO ANNO, IN UNA DATA FAMIGLIA,IN UNA DATA CONDIZIONE STORICO-SOCIALE, ECC.), NON HA NULLA A CHE VEDERECON LA CONGETTURA FREUDIANA, CHE HA UN SIGNIFICATO ASSOLUTAMENTE PRECISOE NON "AMPIO", COME PER CERTI VERSI CERCHI DI FARLO PASSARE TUORA. UN CARO SALUTO, GIOVANNI Mi va benissimo non insistere su questo punto, e mi basta che tu dicache Freud abbia fatto un certo sforzo per studiare questo concetto. Lapaternità dei concetti in questa sede mi interessa meno della validitàdei concetti stessi. Ti ho già detto nella mail precedente come io considerola validità della frase di Freud: non in termini scientifici comeli intendi tu, ma come una frase ad effetto che dà l'idea di unconcetto importante, della ubiquità di un fenomeno. Cosa significhipoi utilizzare questo concetto a livello clinico è un altro discorso. Su questo non sono d'accordo. Il concetto di transfert a cui alludevoera questo, inteso in modo molto ampio. Ma già questo mi bastavaper fare il ragionamento che facevo. Non posso dimostrarti che "NELL'ESEMPIO DA [TE] CITATO LA DONNASTUPRATA CHE PARLA DEL SUO STUPRATORE STA PARLANDO IN REALTA' DELLA SUATERAPISTA (O DEL SUO TERAPISTA)" (mi bastano le osservazioni fatteda Giobatta Guasto [vedi la successiva E-Mail] e da me nelle altremails, e il riferimento al libro di Luborsky & Crits-Cristophche ti ho già citato). Qui bisognerebbe fare un esperimento, nelquale prima andrebbe definito operativamente cosa significa "parlaredel terapeuta" (esplicitamente? simbolicamente? nel caso, con qualisimboli? ecc.), e già lì potrebbero sorgere dei disaccordi.Ti ripeto che quella frase voleva solo alludere al concetto di transfert,cioè al "trasferimento" di disposizioni, ecc. Siccomeè sempre attivo, perché è un meccanismo di funzionamentodel cervello, "in un certo senso" è vero anche quelloche diceva Freud. Freud forse si sbagliava nel pensare che chi lo avrebbeletto lo avrebbe capito nel modo che intendeva lui. Con la solita amicizia. Paolo Sulla base di un criterio se non di evidence (non so quale siala soglia di evidenza di un dato, e sono altresì certo che esistonodati non commensurabili con strumenti statistici, e non per questo menoveri, anche se riconosco la difficoltà della loro validazione) almenoexperience based, io credo che si possa affermare che é propriovero il contrario di quello che tu sostieni. Nel caso della psicoterapia psicoanalitica di minori sessualmente abusatiil transfert negativo innescato dall'identificazione aggressore/terapeutaé un elemento terribilmente insidioso che mina la capacitàdi tenuta di terapeuti anche molto esperti, e i suoi effetti si protraggonoper anni, mettendo spesso e per lungo tempo la terapia a rischio di interruzione.Ciò é assolutamente indipendente dal sesso dello psicoterapeuta,e tu che hai fatto questa esperienza, lo sai certamente bene. Quello che tu affermi nel brano sopra riportato é inesatto efuorviante perché rappresenti un momento di un'ipotetica terapia,come se stessi descrivendo TUTTA la terapia: é assolutamente possibileche una donna violentata parli, in una determinata circostanza, dell'esperienzasubita con il o la terapeuta senza identificarlo/a con l'aggressore: eperché mai non dovrebbe la paziente in quel momento rapportarsicon un'immagine materna accogliente (una "madre buona") in gradodi ascoltarla. Non é forse transfert anche questo? Si tratta anzi di un'esperienza fondamentale nella stragrande maggioranzadei trattamenti di persone abusate (specie se di minore età), proprioperché spesso alla violenza si accompagna l'ingiunzione del silenzio,o la vergogna, o il senso di colpa della vittima. Nelle bambine abusateche ho conosciuto (molte di loro in tenera età) la violenza concui le fantasie sadiche dell'aggressore erano state stipate nel mondo internodella vittima con il rischio che vi rimanessero per sempre, sembravanoaccompagnarsi alla crudele sorte di essere continuamente ricacciate dentro(anche da parte di molti periti) per la difficoltà di trovare un"ascoltatore" (contenitore) che non fosse anche un persecutore. Diceva Martha Harris, a proposito dei Corsi di Osservazione del neonatoche andava inaugurando in Italia verso la fine degli anni '70 che vi sono"troppe teorie" e che l'Osservazione poteva essere un buon antidotoad esse. Cordiali (e appassionati) saluti, Gianni Guasto CARI SALUTI, GIOVANNI Nella tua citazione quindi hai omesso la parola "anche" cheinvece c'era, e che ritengo importante per la coerenza teorica del concettodi transfert. Un saluto. Albertina Seta Però non sono riuscito ad entrare nel merito di questi problemicon qualcuno (tu sei la prima), e si è scivolati su discorsi piùgenerici. Per cui ti ringrazio. Grazie. Marco Lussetti. I must have read dozens of books proving Freud wrong for the last 25years or so. Our generations seem to have no memory. Our training institutesoutdated. Emanuel Peterfreund, an extraordinarily intelligent man and apsychoanalyst wrote Information, Systems, and Psychoanalysis: An EvolutionaryApproach to Psychoanalytic Theory in 1971 (New York: InternationalUniversity Press), where he tears the Freudian edifice to pieces. Beforehim, George Klein attacked Freud's metapsychology leaving no room for furtherdiscussion. Benjamin Rubinstein criticized the epistemological shortcomingsof Freud's ouevre, leaving nothing standing on its feet. Roy Schafer, MertonGill, Robert Holt, all of them Americans criticized other aspects of Freud'sapproach by the same time: the early 70's. In 1977, Allan Rosenblatt andJames Thickstun wrote Modern Psychoanalytic Concepts in a General Psychology:they demolished Freud. John Bowlby demonstrated that Freud's theory ofpsychological evolution was wrong, that the Oedipus Complex existed onlyin his mind, that Little Hans was afraid of horses because his mother neglectedhim, not because he feared his father. Summing up, as far as I know, thereis not a single aspect of Freud's writings that hasn't been proved wrong.Freud was already wrong for the scientific world by 1980. So, I cannotunderstand what is the point to go on reading books about why Freud waswrong. Wouldn't it be far more enriching reading Freud and find his grossfaults by oneself? On the other hand, if psychoanalysts feel reluctantto go through such tediousness, we could all reach an agreement and publisha sort of Reader's Digest series on Freud's myths and inventions. A presto (mi piacerebbe leggere tuoi interventi in Spagnolo: e' unalingua molto piu' musicale dell'inglese!). I disagree, he was wrong. The new generations should know it, in fulldetail, as his gibberish jargon has already become part of our culture,either in its original form such as the Oedipus complex or as derivativesof his second theory of instincts which implies children universally bearperverse (component) instincts thereby avoiding "spoiling" themhas become a must with the subsequent dire consequences for children whoare either victimized by their parents or neglected out of modern permissivepatterns of behaviour. See Diana Baumrind's profuse bibliography on theissue. That is false. Webster is a bestseller book maker, not a writer, letalone somebody qualified to judge or label Freud a forger. It's not a waste of time. I cannot explain at length why. Just a fewpoints: he was witty enough to make most of the right questions. His first(traumatic) theory on the origins of neuroses would have led him to unpredictablediscoveries. He changed to his second theory in 1900 (The Interpretationof Dreams, chapter 7) replacing the traumatic theory whereby peoplebecame neurotic because their having undergone perverse abuse during childhoodby the far more acceptable theory that it weren't the parents that wereat fault, but childish fantasies that formed part and parcel of the aetiologyof neuroses. He might have shifted his stance on purpose or unwittingly, we don'tknow. But we must know what he did because the man has been and still isthe most influential figure in the realm of psychology. I deem it irresponsibleto ignore him, particularly now other authors, like Lacan and the Frenchschool is so direfully influential, as well as the plethora of psychoanalytic-orientedschools that keep growing like mushrooms all over the planet. Argentina is famous worldwide by the extraordinary repercussion psychoanalysisreceived, and we have the best specialists on any branch of psychoanalysisin the whole world. An assertion which by no means implies I agree withwhat people generally call "psychoanalysis". Vorrei sottolineare una strana contraddizione della piega che ha presoil dibattito. Giovanni de Girolamo sembrava irritato da certe frasi diGill che io avevo riportato, frasi che gli sembravano troppo "di chiesa",troppo psicoanalitiche nel senso "fideistico". Ora tu citi proprioGill tra quelli che hanno maggiormente criticato vari aspetti della psicoanalisi.Penso che questo dia un'idea della confusione a cui si può giungerese non si sta attenti e se non si capisce bene di cosa si sta discutendo,se non si chiariscono bene i termini usati, se si fanno troppe generalizzazioni(e qui può darsi benissimo che sia stato io anche a non essere statochiaro) Non solo, ma a me ha fatto molto piacere la tua mail perchémi sembra che abbiamo gli stessi interessi o abbiamo fatto le stesse letture.Conosco molto bene gli autori che citi, e i loro libri (molti dei qualinegli ultimi anni sono usciti anche in italiano) sono quelli a cui sonopiù affezionato. Alcuni degli autori che citi (soprattutto Holt e Gill) per varie vicissitudinili ho conosciuti personalmente e ho stretto con loro profonde amicizie(consuetudini di fare le vacanze insieme, ecc. -- non ho mai detto a Giovanni,forse per non rovinargli la vacanza, che quando era ospite in casa miaal mare dormiva nel letto dove aveva dormito Gill, ma ora glielo possodire perché viene detto che Gill era un duro critico di Freud).Ero legato anche a Bowlby, ed è anche tramite lui che ho strettoamicizia con Liotti, un cognitivista che stimo molto e col quale sto scrivendoun ambizioso lavoro (Holt ne è molto interessato, e mi scrive lunghelettere di commento in cui lo discute riga per riga) (il nostro articoloha già ricevuto la prima valutazione dei referees dell'InternationalJournal of Psycho-analysis, e tra pochi mesi dovrebbe essere pronto). Insomma, io considero gli autori che tu citi tra i miei veri maestri,i miei punti di riferimento a livello teorico: per quello che so io diloro, dato che li conosco molto bene, hanno (o avevano -- alcuni, comeGill, Bowlby, Peterfreund, ecc., sono morti) una profonda stima e passioneper l'impresa scientifica di Freud, e hanno dedicato tutta la loro vitaa correggerne i punti deboli e a proporre delle alternative. Tu dici che i colleghi più giovani non sanno molte cose. E' vero,ed è anche per questo che ho voluto raccontare (nel cap. 13 delmio libro Terapiapsicoanalitica) la biografia personale e scientifica di Rapaport,Holt, Gill, G. Klein, Schafer e Rubinstein (ho tralasciato Peterfreund,una figura importantissima, perché ho voluto limitarmi ai membridel gruppo di Rapaport), ho tradotto vari lavori di questi autori, orasono usciti anche dei loro libri in italiano, ecc. (i colleghi capirannoche non posso dilungarmi qui perché altrimenti non si finisce più). P.S.: if you have trouble in understanding this letter, please let meknow, and I'll write it to you in English. Un saluto Vorrei anche dire che cercherò per un po' di astenermi dal dibattitocon Giovanni. Ieri ho telefonato a Giovanni per supplicarlo di fare unarmistizio in questo dibattito, perché non riesco più a trovareil tempo di fare altre cose importanti che devo fare, e ho provato la bruttasensazione di essere addicted alla lista (prima consumavo le serate,poi mi sono accorto che ho "abusato" anche di mezza giornatadi festa). Quindi vorrei sperimentare la mia capacità di astenermiper un po' dalla "sostanza". Un caro saluto a tutti. Bibliografia Bowlby J. (1969). Attachment and Loss. Vol. 1: Attachment. London:Hogarth Press (2nd ed.: New York: Viking Penguin, 1984) (trad.it.: Attaccamento e perdita. Vol. 1: L'attaccamento alla madre.Torino: Boringhieri, 1976 [1a ed.], 1989 [2a ed.]). Eagle M.N. (1984), Recent Developments in Psychoanalysis. A CriticalEvaluation. New York: McGraw-Hill (trad. it.: La psicoanalisi contemporanea.Bari: Laterza, 1988) Ellenberger H.F. (1970). The Discovery of the Unconscious. The Historyand Evolution of Dynamic Psychiatry. New York: Basic Books (trad. it.:La scoperta dell'inconscio. Storia della psichiatria dinamica. Torino.Boringhieri, 1972). Gill M.M. (1982). The Analysis of Transference. Vol. 1: Theory andTechnique. New York: Int. Univ. Press (trad. it.: Teoria e tecnicadell'analisi del transfert. Roma: Astrolabio, 1985). Gill M.M. (1983). The interpersonal paradigm and the degree of the therapist'sinvolvement. Cont. Psychoanal., 19, 2: 202-237 (trad. it.: Il paradigmainterpersonale e la misura del coinvolgimento dell'analista. Psicoterapiae scienze umane, 1995, XXIX, 3: 5-44). Gill M.M. (1984). Psychoanalysis and psychotherapy: a revision. Int.Rev. Psychoanal., 1984, 11: 161-179 (trad. it.: Psicoanalisi e psicoterapia:una revisione. In Del Corno F. e Lang M., a cura di, Psicolgia Clinica.Vol. 4: Trattamenti in setting individuale. Milano: Franco Angeli,1989, pp. 128-157). Gill M.M. (1994). Psychoanalysis in Transition: A Personal View.Hillsdale, NJ: Analytic Press (trad. it.: Psicoanalisi in transizione.Milano: Cortina, 1996). Gill M.M. & Holzman P.S., editors (1976). Psychology versus Metapsychology:Essays in Memory of George S. Klein. New York: Int. Univ. Press. Holt R.R. (1989). Freud Reappraised. A Fresh Look at PsychoanalyticTheory. New York: Guilford (trad. it.: Ripensare Freud. Torino:Bollati Boringhieri, 1994).. Holt R.R.. (1996). Review of R. Webster, Why Freud was Wrong. Sin,Science and Psychoanalysis (London: Harper Collins, 1995). PsychoanalyticBooks, 1996, 4: 511-519. Klerman G.L., Weissman M.M., Rounsaville B.J., Chevron E.S. (1984).Interpersonal Psychotherapy of Depression. New York: Basic Books(trad. it.: Psicoterapia interpersonale della depressione. Torino:Bollati Boringhieri, 1989). Liotti G. (1994). La dimensione interpersonale della coscienza.Roma: La Nuova Italia Scientifica. Luborsky L. (1984). Principles of Psychoanalytic Psychotherapy. AManual for Supportive-Expressive Treatment. New York: Basic Books (trad.it.: Princìpi di psicoterapia psicoanalitica. Manuale per iltrattamento supportivo-espressivo. Torino: Boringhieri, 1989). Dattiloscritocon copyright del 1976. Luborsky L. & Crits-Christoph P. (1990). Understanding Transference:The CCRT Method. New York: Basic Books (trad. it.: Capire il transfert.Milano: Cortina, 1992). Migone P. (1995). Terapia psicoanalitica. Seminari. Milano: FrancoAngeli. Migone P. (1996). La ricerca in psicoterapia: storia, principali gruppidi lavoro, stato attuale degli studi sul risultato e sul processo. RivistaSperimentale di Freniatria, CXX, 2: 182-238. Peterfreund E. (1971). Information, Systems, and Psychoanalysis:An Evolutionary Biological Approach to Psychoanalytic Theory (PsychologicalIssues, 25/26). New York: Int. Univ. Press. Peterfreund E. (1983). The Process of Psychoanalytic Therapy. Modelsand Strategies. Hillsdale, NJ: Analytic Press (trad. it.: Il processodella terapia psicoanalitica. Roma: Astrolabio, 1985). Rosenblatt A.D. & Thickstun J.T. (1977). Modern psychoanalyticconcepts in a general pscyhology (Psychologgical Issues, 42/43).New York: Int. Univ. Press. Rubinstein B.B. (1967). Explanation and mere description: a metascientificexamination of certain aspects of the psychoanalytic theory of motivation.In: R.R. Holt, editor, Motives and Thought: Psychoanalytic Essays inHonour of David Rapaport (Psychological Issues, Monograph 18/19).New York: International Universities Press, 1967, pp. 20-77. Anche in Rubinstein,1997, cap. 2 (trad. it.: Spiegazione e semplice descrizione: un esame metascientificodi alcuni aspetti della teoria psicoanalitica della motivazione. In: FabozziP. & Ortu F., a cura di, Al di là della metapsicologia. Problemie soluzioni della psicoanalisi statunitense. Roma: Il Pensiero Scientifico,1996). Rubinstein B.B. (1980). The problem of confirmation in clinical psychoanalysis.J. Am. Psychoanal. Ass., 28, 2: 397-417 (trad. it.: Il problemadella conferma in psicoanalisi clinica. Psicoterapia e scienze umane,1994, XXVIII, 1: 29-48). Rubinstein B.B. (1997). Psychoanalysis and the Philosophy of Science.Collected Papers of Benjamin B. Rubinstein, 1952-1983 (edited and annotatedby R.R. Holt) (Psychological Issues, 62/63). Madison, CT:Int. Univ. Press. Schafer R. (1976). A New Language for Psychoanalysis. New Haven,CT: Yale Univ. Press. Schafer R. (1983). The Analytic Attitude. New York: Basic Books(trad. it.: L'atteggiamento analitico. Milano: Feltrinelli, 1984). Webster R. (1995). Why Freud was Wrong. Sin, Science and Psychoanalysis.London: Harper Collins. |