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La scuola della memoria.

L'utilizzo delle tecniche di ricognizione biografica nella rialfabetizzazione di adulti, sofferenti psichici, istituzionalizzati .

di

Linda Alfano Docente del Corso

Francesca Romana Scaletti Docente del Corso

Rossella Valdré Direttore Tecnico Comunità "Skipper"

Scuro

Nero

Il mare

Che si muove anche di notte

Ha cullato il mio cuore

Per la vita

(P.B., 54 anni, ospite dello "Skipper)

Con la collaborazione di Maria Cerminara, Educatrice dello "Skipper"

 

L'esperienza dello "Skipper".

Presupposti teorici

Metodologia d'intervento

Dal diario di scuola

Obiettivi e riflessioni

L'osservazione della globale compromissione dei pazienti, unitamente all'età avanzata, se da un lato ci ha obbligati a riflettere sulla qualità dell'intervento che potevamo realisticamente proporre (quali attività, come dosare la stimolazione, in che tempi, con che finalità), dall'altro non ci ha impedito di immaginare l'esistenza di risorse residue, anche minimali, all'interno di alcuni di loro. E' dalla semplice osservazione quotidiana dei pazienti che scaturiscono le premesse teoriche, seppur grossolane nella loro non obiettivabilità, che fanno da scheletro di riferimento a tutta l'impostazione riabilitativa. Abbiamo ipotizzato che:

- esistessero capacità residue in alcuni dei pazienti

- le funzioni che ci sono sembrate, ad un'osservazione esterna, irrimediabilmente perdute, fossero in realtà andate in disuso perché via via negli anni non più utilizzate, non più sentite come proprie, delegate globalmente all'istituzione un tempo totale.

Entra qui in campo il concetto di danno istituzionale.

L'esistenza di risorse residuali, sepolte in anni di patologia e istituzione, sembrava percepibile da alcuni dati legati alle prime osservazioni: i pazienti avevano genericamente risposto bene ad uno sradicamento tanto radicale, mostravano un buon grado di adattamento al nuovo ambiente, e nel complesso riuscivano a tollerare il minore contenimento offerto dal contesto comunitario rispetto all'ospedale (non solo all'ospedale psichiatrico). Quest'ultimo punto è senz'altro da sottolineare: è ipotizzabile che il cambiamento abbia suscitato angoscia ma anche, laddove questa angoscia ha potuto essere incanalata e contenuta, liberato risorse, e allentato, seppur di poco, le difese coriacee con cui lo psicotico cronico si trova costretto a dover convivere, come un prigioniero in una fortezza.

Non da ultimo, le emozioni suscitate dentro di noi (di tenerezza, di desiderio di aiutare, di impotenza, di rabbia) se considerate con un'attenzione che potremmo genericamente chiamare controtransferale, fanno pensare alla presenza di qualcosa all'interno delle menti dei pazienti, qualcosa di emotivo ancora presente, la sopravvivenza di bisogni ancora in parte riattivabili se opportunamente raccolti e compresi.

L'insieme di questo "sentire" (in gran parte affidato alla nostra sensibilità, poiché le capacità di linguaggio dei pazienti sono estremamente ridotte) ha costituito la premessa su cui si è mosso l'asse dell'intervento, e con la quale ci si è dunque rivolti anche alle tecniche scolastiche.

Durante lo svolgimento del corso, dai resoconti delle insegnanti e dalla ricaduta, potremmo dire, che il corso sembra avere sui pazienti che lo frequentano, esso ci è parso tanto più utile non solo e non tanto per il suo oggetto specifico (la rialfabetizzazione), quanto per la possibilità che l'attività scolastica, adeguatamente condotta, faciliti il ripristino della funzione elettivamente compromessa nella psicosi e non solo nella psicosi cronica: la simbolizzazione.

La scuola come setting specifico per tentare un percorso a ritroso verso la parola (la parola scritta, parlata, letta, evocata, raccontata), così ampiamente perduta o ridotta all'essenzialità dei bisogni, schiacciata nel concretismo, delegata passivamente agli altri e svuotata di progettualità e di senso.

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