- TRENT'ANNI
DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE
- IN ITALIA
- Ezio Sanavio
- Professore di Psicologia Clinica, Università
di Padova
- con un commento critico
di Giovanni Liotti,
- una replica di Ezio Sanavio,
- e il dibattito
avvenuto in rete
- Sesta ed ultima parte:
- 1. Ezio Sanavio, "Trent'anni di
psicoterapia cognitiva e
comportamentale in Italia"
- 2. TABELLA: Principali tappe dello
sviluppo della psicoterapia comportamentale e cognitiva in Italia
- 3. Commento critico di Giovanni Liotti
- 4. Replica di Ezio Sanavio
- 5. Bibliografia
- 6. Dibattito avvenuto in rete
DIBATTITO AVVENUTO IN RETE A PROPOSITO
DELL'ARTICOLO DI EZIO SANAVIO "TRENT'ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E
COMPORTAMENTALE IN ITALIA"
- Interventi di Tullio Carere, Paolo Migone, Gennaro Esposito, AntonioA. Rizzoli, Piero Porcelli, Mario Galzigna, Silvio Lenzi, Tullio
Carere, e Giovanni Liotti
27-9-98, Tullio Carere (Bergamo):
Uno psicoterapeuta integrazionista, o meglio, uno psicoterapeuta
senza aggettivi non puo' che rallegrarsi della piega che stanno prendendo
le cose, a giudicare dal vivace scambio di opinioni tra Sanavio e Liotti
nel documento TRENT'ANNI DI PSICOTERAPIA COGNITIVA E COMPORTAMENTALE IN
ITALIA, nell'area Psicoterapia di POL.it a cura di Paolo Migone. Le due Società
scientifiche italiane interessate alla psicoterapia
cognitivo-comportamentale (SITCC e AIAMC) perseguono, secondo Sanavio, finalità quasi
identiche. Perche' allora non si uniscono? Perche', sospetta Sanavio, lo
impediscono problemi di leadership. Liotti dissente energicamente:
"dallo scritto stesso di Sanavio emergono
abbastanza chiaramente le differenze fondamentali di finalita' e di percorso
conoscitivo perseguite dalla SITCC e dall'AIAMC. Tali differenze sono evidenziate
dai contributi della SITCC all'integrazione fra cognitivismo clinico e
teoria dell'attaccamento da una parte, e fra cognitivismo e costruttivismo
dall'altra. A queste integrazioni l'AIAMC non ha invece prestato interesse".
Un socio SITCC non potrebbe aderire alle finalita' statutarie
dell'AIAMC senza "rinunciare alla liberta' di non considerarsi comportamentisti".
Si noti, aggiunge Liotti, che "ai soci SITCC non è neppure
richiesto, a rigore, di sentirsi vincolati al cognitivismo, o all'evoluzionismo".
Da questa "liberta' di pensiero - rispetto alle ideologie della
psicologia - permessa dalla SITCC" deriva altresi'
"un dialogo e un confronto con quei settori
della psicoanalisi contemporanea che pure hanno recentemente rivolto il
loro interesse all'epistemologia, all'evoluzionismo e alla ricerca in psicoterapia".
Replica Sanavio: se la differenza tra le due societa' consiste,
come sostiene Liotti, nella maggiore liberta' di pensiero e conseguente
apertura all'integrazione tra diverse prospettive psicoteraputiche (essendo
fuori questione il "riferimento costante e in perenne movimento alle
acquisizioni della psicologia di base, del dibattito epistemologico, ecc.")
ebbene, la liberta' dalle ideologie di cui si gode in ambito AIAMC non ha
nulla da invidiare a quella della societa' sorella: al contrario, Sanavio
giunge ad augurarsi che "prima o poi il clima culturale maturi
abbastanza da permetterci di avere una Societa' di Psicoterapia punto e basta.
Psicoterapia senza aggettivi, dunque, senza bisogno di qualificarla cognitiva
piuttosto che sistemica o dinamica o vattelappesca. Una spinta in questa
direzione viene certo dai moderni movimenti per l'integrazione psicoterapeutica (benché
temo inficiati da un troppo ingenuo irenismo)". Sanavio nega,
dunque, che le differenze tra le due societa' addotte da Liotti siano
significative, e addirittura rilancia: lui e' per una "psicoterapia senza aggettivi".
Ci si aspetterebbe, a questo punto, che le due societa', chiariti gli
annosi malintesi, inizino le pratiche per la unificazione. Invece no.
Sanavio dichiara esplicitamente di ritenere "improbabile l'unificazione
delle Societa' cognitive e comportamentali" e "abbastanza
probabile una ulteriore frammentazione futura". Come mai? Perche' Sanavio
e' persuaso, e lo ribadisce, che alla base delle divisioni societarie nonsi trovano insanabili divergenze scientifiche, ma "questioni di
fede religiosa o di riferimento politico o di convenienza economica o di
gelosied i leader, ecc. ecc". Anch'io sono persuaso, e ho detto piu'
volte, che la frammentazione del campo psicoterapeutico non e' dovuta
primariamente a motivi di ordine scientifico, ma risponde a bisogni di identita' e
di appartenenza. Tuttavia, pur non reputandomi ingenuamente irenista,
non mi sento nemmeno cosi' pessimista come Sanavio. Qualcosa si puo'
fare. Io scrivo mail, e per il momento non posso fare altro. Ma Sanavio e
Liotti potrebbero fare molto di piu'. Per esempio Sanavio potrebbe dire a
Liotti: visto che i motivi da te addotti non sussistono, tanto che ti posso
garantire che il tuo "diritto di non aderire rigidamente ad alcuna
ideologia che emerga nel mondo della psicoterapia e della psicologia"
sarebbe riconosciuto al 100% nell'AIAMC, ti invito a prenderne atto e a
iniziare assieme a me dei passi concreti per l'unificazione delle nostre
societa'. E Liotti potrebbe dire a Sanavio: volentieri, ma perche' limitarci a
questo? Visto che entrambi ci dichiariamo ormai oltre il comportamentismo, e
persino oltre il cognitivismo, perche' non cerchiamo di gettare le fondamenta della
"Societa' di Psicoterapia punto e basta" da te auspicata? E,
gia' che sono in vena di consigli, Sanavio e Liotti, ormai sulla via
dell'unificazione, potrebbero dire a Petrella (presidente della Società
Psicoanalitica Italiana [SPI]): non credi che il principio di
integrita', al quale tu dichiari di ispirarti, in quanto spinge naturalmente
all'integrazione terapeutica, comporti il seppur graduale e prudente abbattimento
degli attuali steccati di scuola e in particolare quello tradizionale e
molto gelosamente custodito tra psicoanalisi e psicoterapia? Non vorresti,
in nome del superamento da te auspicato dell'"imperialismo dei modelli",
unirti a noi nella fondazione della "Societa' di Psicoterapia punto
e basta"? E infine a Paolo Migone e Mario Galzigna, grazie ai quali
sono state messe in rete le posizioni degli studiosi sopra citati: non
vorreste farvi latori della presente presso di loro, e se volete anche
presso altri soci dell'AIAMC, della SITCC, della SPI e delle altre sigle
prestigiose che ancora segmentano, e secondo Sanavio sempre piu'
segmenteranno, il nostro campo? E poi renderci note le risposte che eventualmente
sarete riusciti a ottenere? Confidando che vorrete farlo, vi ringrazio sin d'ora.
28-9-98, Paolo Migone
(Parma):
Caro Tullio, ti ringrazio per il tuo intervento, come al solito
molto stimolante e che non demorde mai. La mia impressione è che le
vere ragioni del perdurare di false separatezze all'interno della
psicoterapia siano legate in buona parte a problemi politico-economici, non
teorici. Non conosco bene la situazione istituzionale della psicoterapia
ognitiva, ma riguardo ad esempio alla questione della differenza tra
psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica, ritengo (e questo, come ben sai, l'ho
scritto chiaramente più volte, in vari articoli e anche nel cap. 4 del
mio libro Terapia psicoanalitica [Milano: Franco Angeli,1995]) che l'intera faccenda si riduce a una questione di mercato, cioè
di veri e propri interessi economici che vengono difesi dalle singole
associazioni professionali. Ormai in certi casi vi sono molte più
differenze teoriche tra approcci all'interno della stessa associazione, che tra
associazioni diverse. Ma non voglio tediarti a dire queste cose che sono a noi
arcinote. Non intendo comunque dire che il dibattito teorico vada
sottovalutato, anzi, è proprio grazie ad un approfondimento di questo
dibattito che - sempre a mio parere - si arriva alla conclusione che molte
barriere potrebbero essere abbattute, mentre certe barriere rimangono proprio perché
non si approfondisce il dibattito teorico, spesso accontendandosi di
luoghi comuni. Per quanto mi riguarda, farò avere a Liotti il testo
della tua mail, e immagino che sicuramente Galzigna lo fara' avere a
Petrella. Lo farò avere anche a Sanavio, che non so se è iscritto
alle liste. Se ne viene fuori un dibattito interessante, potremo
pubblicarlo come discussione degli interventi di Sanavio e Liotti. Sbaglieremmo
pero' se ci illudessimo che queste discussioni riescano ad incidere sulla realtà
in un qualche modo, almeno nel breve periodo. Occorrerà molto
molto tempo prima che il movimento psicoterapeutico nel suo complesso
(movimento psicoanalitico incluso, ovviamente) faccia passi avanti nella
direzione da noi auspicata.
28-8-98, Gennaro Esposito
(Napoli):
Ho letto anch'io l'interessante articolo di Migone e lo scambio di
opinioni di Liotti e Sanavio. E dico: ma e' proprio necessario arrivare a
costituire un'unica Societa' di Psicoterapia? Mi sembra paradossale, visto che
niente si puo' fare oggi senza la politica. La politica permea ogni cosa,
financhel e societa' scientifiche. Forse e' necessaria, chissa'... Dobbiamo
solo prenderne atto, accettare che sia cosi' e fare delle scelte. Io, per
esempio, pur riconoscendomi terapeuta "vicino" alle posizioni del
cognitivismo, non ho mai pensato di aderire ad una delle due societa'. L'importante
e' lavorare. Che ne pensa Mario Galzigna?
30-9-98, Mario Galzigna
(Venezia):
Cari amici, sull'integrazione avrei molto da dire: ma quello che
penso, a livello teorico, l'ho già detto, almeno in parte, nel mio articolo
"Persona, struttura e storia" pubblicato su
POL.it nella sezione "Epistemologia e Storia",
che ora è uscito, con qualche leggero ritocco, in Psichiatria
Generale e dell'età evolutiva, settembre 1998. Questa
brevissima mail per dirvi una cosa: sarebbe a mio avviso auspicabile che, dopo
un dibattito così vario e ricco sul tema, qualcuno di voi ne
raccogliesse le fila e proponesse un contributo scientifico, in rete, da
sottoporre alla discussione. Ciò darebbe modo anche a chi non se la sente
di scrivere mail troppo lunghe (oppure a chi non ha potuto seguire tutto
il dibattito) di dire la sua. Passo parola. Auguri di buon lavoro.
1-10-98, Antonio
Augusto Rizzoli (Venezia):
Quale mai interesse pratico per noi vi sia nella fusione di due società
di psicoterapia cognitivista lo sa unicamente Tullio Carere, che
ringrazio per l'informazione, stimo per la sua lunga discussione del "caso"
e ammiro per la pazienza che ha nel dedicarsi ad argomenti di politica
culturale così remoti in un'Italia psichiatrica, decisamente allo
sbando. [Come diceva oggi il mio collaboratore ed infermiere Livio Guerretta,
"una cosa era Basaglia, altra cosa sono i basagliani"
aggiungendo qualche altro commento che non sono autorizzato a riportare. Questo
per spiegare il termine "sbando"]. Io sono maleficamente
curioso: quanti soci hanno l'AIAMC, la SITCC, e perfino la SPI? Questo ci
illuminerebbe un poco di piu' sulla reale materia del contendere. Sono d'accordo
con Migone, che, invece, e giustamente, sottolinea gli aspetti culturali,
quando dice "l'intera faccenda si riduce a una questione di mercato, cioè
di veri e propri interessi economici che vengono difesi dalle singole
associazioni professionali".
1-10-98, Piero Porcelli
(Bari):
Probabilmente sto per scrivere una boiata, ma la dico cosi' come
mi viene. Ritengo altamente improbabile che una prospettiva
unificazionista di questo tipo possa avere esito positivo, per tutte le mille ragioni
(ed anche di piu') che sappiamo benissimo. In un ipotetico dibattito a tre(i soggetti-societa' coinvolti in questa discussione), o a diecimila
(se teniamo presente tutti gli indotti ed i contrari generati negli anni),verrebbero immediatamente fuori le ragioni per non fare
l'unificazione. Pero' forse (ed e' questa la boiata a cui mi riferivo) esistono due
tipi di integrazione: una interna e l'altra esterna. Mi spiego.
L'integrazione psicoterapeutica interna e' quella che si compie nella mente e nella prassidell'operatore psicoterapeuta. L'integrazione esterna e' invece
quella relativa alle societa', istituzioni, scuole. Le forze e le
motivazioni che animano questi due tipi di integrazione sono molto diverse:
concretezza clinica, consapevolezza critica, onesta' intellettuale giocano nel
motivare l'integrazione interna; potere, denaro, prestigio in quella esterna.
L'integrazione esterna restera' una utopia, anche perche' non mi figuro movimenti di
massa degli psicoterapeuti che spingono i vertici delle rispettive societa'
a muoversi in questo senso. Tutto sommato, e' anche vero che il nostro
lavoro quotidiano resterebbe tale e quale. L'integrazione interna, invece,
potrebbe essere il luogo reale della integrazione psicoterapeutica, o
psicoterapia senza aggettivi? Beh, anche qui, in fondo, cosa accade nella realta'?
Secondo me, accade che la stragrande maggioranza degli psicoterapeuti compie
quotidianamente nella propria prassi professionale l'integrazione poiche' svolge
davvero una psicoterapia non aggettivata. Alcuni la fanno ma non lo dicono
pubblicamente, per motivi tutto sommato comprensibili. Altri la fanno, ma non ne
sono consapevoli. Poi c'e' una sparuta minoranza composta da due specie
diversissime di terapeuti. Un primo gruppo e' composto da colleghi che fanno una
psicoterapia senza aggettivi e lo dicono in pubblico. Sono senza dubbio le persone
piu' oneste e trasparenti, ma anche quelle che sentono meno - per tante
ragioni - il bisogno di appartenenza ad una parrocchia. Il secondo gruppo e'
formato da colleghi che non fanno l'integrazione delle psicoterapie, non lo
fanno davvero, stanno nei loro studi e lavorano con i pazienti veri in carnee ossa proprio come viene detto in pubblico parlando di pazienti
finti o di personaggi piu' o meno romanzeschi. Per questi non c'e'
speranza, e bisogna rassegnarsi. Morale: l'integrazione psicoterapeutica,
interna, e' stata gia' fatta, da anni.
1-10-98, Silvio Lenzi
(Bologna):
A proposito di "Cognitivisti e altri" e dell'articolo +
dibattito tra Sanavio e Liotti sul tema "Trent'anni di psicoterapia
Cognitiva e Comportamentale in Italia" mi preme fare alcune precisazioni.
Premetto che di questi 30 anni ho vissuto direttamente gli ultimi dieci,
avendo frequentato un Training ufficiale quadriennale della SITCC a partire dal1990, che ha visto trai suoi didatti, tra gli altri Guidano, Reda e
Liotti. Devo dire che dell'universo cognitivista con cui sono venuto in
contatto attraverso quel training, ed anche successivamente, non ho trovato
molte tracce nello scritto di Sanavio. Mi riferisco in particolare: 1) al
modello teorico-clinico, adottato mi permetto di dire quasi ufficialmente
dalla SITCC, come testimonia l'impostazione del Manuale di Psicoterapia Cognitiva,
curato da B. Bara per i tipi di Bollati Boringhieri ed uscito nel 1996
(di cui su POL-it è disponibile una recensione
curata dal sottoscritto e per certi versi anche piuttosto critica); 2)
all'impostazione della operatività terapeutica certo in linea -
come sostiene Sanavio - con la prassi cognitiva classica di tipo
beckiano, ma anche caratterizzata di sostanziale modificazioni. Riguardo tali
aspetti nell'articolo di Sanavio non vi sono riferimenti precisi e diretti se
non in modo critico nelle considerazioni conclusive. Si badi che
personalmente condivido pienamente alcuni punti, quali l'osservazione critica
inerente il disinteresse per i cosiddetti "problemi empirici", per esempio
"la documentazione dei risultati e l'implementazione tecnica".
Mi sembra però che, al di là di determinate posizioni più
o meno condivise o condivisibili, dall'articolo non emerga - se non in
negativo - un immagine di alcuni tra i recenti sviluppi nell'ambito del
movimento cognitivista italiano. In questo senso piuttosto che replicare
a specifiche obiezioni e critiche mi permetto, se non altro come
testimonianza personale e quindi in modo sicuramente arbitrario, di segnalare
alcuni momenti significativi che hanno interessato una parte del movimento
cognitivista italiano negli ultimi dieci anni:
1992: Con l'uscita in italiano del volume di V. Guidano: The
Self in Process. Toward a Post-Rationalist Cognitive Theraphy (Il Sé
nel suo divenire. Verso una terapia cognitiva post-razionalistica.
Torino: Bollati Boringhieri, 1992) trova riscontro cartaceo una
esplicita metodologia terapeutica - già ampiamente diffusa in ambito
SITCC - collegata ad un paradigma teorico definito post-razionalista. Con
tale etichetta si vuole indicare l'intenzione di considerare "la
conoscenza dal punto di vista di chi la possiede" e non unicamente nel
senso dell'adeguatezza alla realtà esterna secondo categorie di "vero-falso"
o "razionale-irrrazionale". Le forme conoscitive (tra cui
in primo piano, diversamente da prima, la componente emozionale)
diventano la modalità con cui l'organismo vivente costruisce e mantiene
una coerenza organizzativa nell'ambito delle relazioni interpersonali. La
strategia terapeutica - pur conservando numerose caratteristiche procedurali
della terapia cognitiva classica - è volta alla facilitazione dei
processi di auto-organizzazione e non alla confutazione delle convinzioni irrazionali.
1996: Esce il primo numero dei Quaderni di Psicoterapia Cognitiva,
pubblicazione semestrale edita dalla SITCC e inviata ai suoi 1100 soci.
La rivista ospita articoli monografici e di ricerca, con l'intenzione di
favorire e potenziare la comunicazione tra le persone interessate alle
applicazioni cliniche delle scienze cognitive.
1996: Nasce
l'IPRA, Istituto di Psicologia Cognitiva Post-Razionalista" dall'esigenza del superamento del paradigma rappresentazionale
nelle scienze cognitive. In alternativa all'approccio computazionale, gli
studi condotti nell'ambito dell'IPRA sviluppano la ricerca sui processi di
costruzione del significato personale nel corso del ciclo di vita individuale".
1997: Cresce nell'ambito della SITCC l'esigenza di studi empirici
sul processo terapeutico e l'interesse per lo studio diretto delle
trascrizioni di sedute. Si occupano di questo A. Semerari a Roma, B. Bara a Milano
e F. Bercelli & coll. a Bologna. In particolare, riferendomi al
gruppo di Bologna di cui faccio parte, ci si propone di dare riscontro
empirico alle differenti modalità di conduzione di seduta e di
attuazione delle tecniche (per tentare anche di verificare se è stata realmente
"inventata l'acqua calda", come teme Sanavio, o se sono
presenti elementi di novità rispetto all'approccio cognitivo classico e
di differenziazione rispetto agli approcci analitici). Un lavoro
preliminare pubblicato sulla rivista Quaderni n. 2 suscita all'interno
della SITCC inaspettato apprezzamento e interesse proprio per il suo
carattere di "empiricità" (sorprendendo gli autori e
probabilmente anche Sanavio). In esso, attraverso l'analisi conversazionale di
sedute di didatti che si definiscono costruttivisti, si individuano
importanti differenze metodologiche in particolare nel trattare l'esperienza
soggettiva del paziente.
1998: Si tiene a Siena il VI Congresso Internazionale Sul
Costruttivismo in Psicoterapia. Da segnalare la differenziazione dell'approccio
post-razionalista dal costruzionismo sociale e dagli approcci narrativi (che potremmo
chiamare riferendoci all'articolo di Sanavio post-moderni in senso lato), che
implicano prospettive differenti sui processi di costruzione del significato
personale. Si sottolineano le differenze metodologiche tra terapia "orientata
alla self-reflection" vs. terapie "orientate alla conversazione".
Grazie per l'attenzione.
P.S.: Per dovere di cronaca segnalo che tra le scuole riconosciute dal
ministero nell'articolo di Sanavio non è stata segnalata quella
di Como, gestita dalla SITCC.
1-10-98, Tullio Carere (Bergamo):
Caro Paolo, grazie per la sollecita risposta, che mi riflettere.
Soprattutto le ultime righe del tuo messaggio mi inducono a chiedermi: qual e'
precisamente la direzione da noi - o almeno da me - auspicata? Si puo' trarre
dalla mia mail precedente l'impressione che io desideri la fondazione di una
"Societa' di Psicoterapia punto e basta", in cui tutte le
associazioni attualmente esistenti confluiscano cessando di esistere come tali.
Cosa che, oltre a essere manifestamente irrealistica, non e' nemmeno, per
quanto mi riguarda, desiderabile. Mi affretto dunque a scrivere questa
postilla per dissipare sul nascere un potenziale malinteso. Non mi disturba
affatto l'esistenza di una miriade di scuole e associazioni psicoterapeutiche
- al contrario, trovo che sia un segno di vitalita' e liberta' di
pensiero. Mi disturba invece il settarismo e l'ostacolo alla circolazione e al
confronto di idee che deriva dall'acritica adesione alle rispettive scuole e
associazioni per motivi politico-economici e/o per bisogni di identificazione e
appartenenza. Nessun processo di integrazione e' privo di resistenze, ma mi sembra
essenziale distinguere la giusta opposizione a una pretesa uniformizzante e
negatrice delle differenze (che comunque non mi appartiene) dall'arroccamento
sciovinistico, localistico se non parrocchiale. Questi ultimi aggettivi portano a
una metafora che puo' forse chiarire meglio il concetto. L'Europa e' un
territorio straordinariamente ricco di nazioni, culture e tradizioni. Nessuno
vuole che questo patrimonio sia disperso. Ma e' anche drammaticamente
attuale la necessita' di procedere verso un'integrazione economica e politica
che abbia come obiettivo la formazione di una nuova identita', grazie
alla quale potremo riconoscerci come cittadini europei prima che italiani,
tedeschi o francesi. Da un paio di decenni e' in corso un analogo processo nel
nostro campo, che tende a fare di noi degli psicoterapeuti, prima che dei
freudiani, junghiani o cognitivisti. Circa la meta' degli psicoterapeuti in
tutto il mondo si colloca gia' ora dichiaratamente su posizioni
eclettico-integrative. Se si aggiungono coloro che su queste posizioni si trovano senza
dichiararlo apertamente, la maggioranza e' netta. Eppure a questo movimento
integrativo reale così impetuoso (l'integrazione "interna", come
la definisce Piero Porcelli) non corrisponde il minimo adeguamento
societario-istituzionale (l'integrazione "esterna"). Prendo dunque l'Europa come
metafora per chiarire che cosa mi aspetto e per che cosa mi pare realistico
battersi. Il punto d'arrivo e' una federazione in cui una Carta dei diritti e
dei doveri e una legislazione federale stabiliranno le regole generali
della convivenza dei cittadini europei, lasciando peraltro ampie autonomie
politiche, economiche e culturali agli stati federati. Ma a quell'obiettivo ci
si puo' avvicinare solo per gradi. Analogamente, non mi pare
irrealistico pensare a qualche passo iniziale in senso comunitario nella galassia
delle psicoterapie. Se per esempio persone come Sanavio, Liotti e Petrella
prendessero atto a) del movimento di integrazione reale che e' gia'
impetuosamente in corso e b) delle prese di posizione in senso chiaramente
integrativo da loro stessi espresse, sommando a+b potrebbero sentirsi spinte,
chiamate, o forse anche attratte dall'idea di cominciare a pensare qualche
forma minima e aurorale di aggregazione, organizzazione e governo per lo
smandrappato popolo degli psicoterapeuti, che non ha per ora altro luogo ove ritrovarsi(come tale) che le liste omonime stilate dagli ordini provinciali dei
medici e degli psicologi. Insomma la domanda che vorrei fare alle persone sopradette e': al di la' delle differenze che nessuno si sogna (certamente
non io) di negare, vi riconoscete o no come specie diverse dell'unico
idealtipo "psicoterapeuta"? Se no, chiuso l'argomento (ma allora
perche' parlate di integrazione?). Se si': con tale termine (psicoterapeuta)
vi riferite a un semplice contenitore nominale per cose
irrimediabilmente disaparate (ma allora perche'...), o pensate a una qualche
sostanziale forma di identita' nella diversita' (come per il gatto e l'elefante,
animali diversissimi eppure uniti dalla comune struttura mammaliana)? E
infine se, come spero, avete risposto affermativamente all'ultima domanda:
non vi sembra interessante, ma oserei dire necessitante, l'idea di
metterci a studiare che specie di strani mammiferi sono mai gli
psicoterapeuti? E all'uopo creare almeno una commissione o un gruppo di studio
composto da rappresentanti delle scuole maggiori, e magari anche da qualche
cane sciolto, ma curioso e motivato all'impresa? Non sarebbe questo almeno
un primo nucleo embrionale di una casa comune? Caro Paolo, ti ringrazio
per l'ulteriore attenzione e ti prego, quando trasmetterai il messaggio
precedente agli interessati, di aggiungere la presente postilla.
6-10-998,
Giovanni Liotti (Roma):
Prendo atto con piacere della replica di Sanavio al mio tentativo
di confutare la sua tesi, secondo la quale le due Società
interessate in Italia alle terapie cognitive e comportamentali debbono la loro
distinta esistenza solo a motivi di potere e prestigio personale. Resto
dell'opinione che (anche?) importanti divergenze teoriche e di prassi clinica
abbiano giustificato l'esistenza di due distinte Società, ma, ripeto,
prendo atto con piacere della contro-replica di Sanavio, e del suo
dichiarato interesse per i mondi concettuali dell'etologia e della psicologia
dinamica oltre che della psicologia sperimentale (comportamentista o non
comportamentista).Sono anche contento dei commenti di Carere allo scambio di opinioni
fra Sanavio e me, e al successivo dibattito a più voci
sull'integrazione delle psicoterapie. Contentezza e piacere sono dovute al fatto che
anch'io, da anni, penso che il futuro della psicoterapia stia nella scomparsa
degli aggettivi che oggi seguono questo nome. Accolgo dunque sempre con
soddisfazione la possibilità di condividere questa convinzione con altri
Colleghi. Tutti sappiamo che la possibilità di confronti fra
psicoterapeuti con diversi itinerari formativi e con diversi modelli teorici -
necessaria premessa alla "psicoterapia senza aggettivi" - è
attuabile già in molti contesti. Oltre a quelli pratici menzionati da
Piero Porcelli nella sua mail del 1-10-98, conosco, come molti fra voi, due
contesti internazionali di confronto: la SEPI
(Society for the Exploration of Psychotherapy Integration) e
la SPR (Society for PsychotherapyResearch) [vedi la recensione del Congresso
Europeo della SPR a Cernobbio e il programma del 1°Congresso Italiano della SPR a Salsomaggiore;
vedi anche il sito della sezione
italiana della SPR [SPR-Italy]]. Di quest'ultima
sono membro, traendone continuo giovamento intellettuale (non
politico-economico o di prestigio sociale). Personalmente, inoltre, opero
sistematicamente il confronto fra psicoterapie, oltre che attraverso dialoghi
fruttuosissimi con numerosi singoli Colleghi di diversa formazione, anche attraverso
la partecipazione ai comitati di redazione e scientifici di tre Riviste: Terapia
Familiare (e lì confronto i miei modelli
cognitivo-evoluzionisti con quelli dei Colleghi sistemico-relazionali), Psicobiettivo (ove
il confronto, per la pianificazione di ciascun numero, si svolge a tre:
cognitivisti, sistemici e psicoanalisti), e Psicoterapia (dove il
confronto è, per il momento, soprattutto fra cognitivisti e psicoanalisti).Potrebbe la fusione delle diverse società esistenti (SPI
e varie altre sigle per gli psicoanalisti; SITCC e AIAMC per i
cognitivisti ed i comportamentisti; CIPA e AIPA per gli Junghiani, e via
elencando) facilitare la costruzione di una psicoterapia senza aggettivi, più
di quanto lo facilitino Società come la SEPI e la SPR o riviste
come Psicoterapia e Psicobiettivo? Noi che ci riconosciamo
nel progetto "Psicoterapia e basta", caro Carere, non ne siamo
tutti convinti. Bisogna piuttosto che le Società esistenti, OLTRE
che essere centri di potere (come pare inevitabile), si sforzino di
essere ALMENO ANCHE luoghi di sviluppo e chiarificazione di idee e di prassi
terapeutiche che ritengano proprie e specifiche, per POI consentire che il
confronto con le idee e le prassi di altre Società avvenga.
Evidentemente, se si riconoscesse che non c'è distinzione fra le teorie e le
tecniche a confronto, si procederebbe subito alla fusione delle due o più
società che le propugnano. Ecco, quello che manca al dibattito
originario fra Sanavio e me è un confronto obiettivo delle idee e delle
prassi nate e cresciute in vent'anni all'interno della SITCC, con quelle
nate e cresciute all'interno dell'AIAMC (per intenderci, un confronto
obiettivo del genere non potrebbe essere fatto da me, né da Sanavio da
soli: l'ideale sarebbe che lo facesse una commissione mista di
psicoterapeuti esperti e di teorici navigati, appartenenti in pari misura alla SITCC
e all'AIAMC, nonché ad altre Società o tradizioni scientifiche).Se da tale confronto - operato ad esempio comparando fra loro le
pubblicazioni scientifiche esistenti e i programmi di formazione delle due Società,
e poi sottoponendo il risultato della comparazione al voto delle
Assemblee delle due Società - risultasse la reale sovrapponibilità
fra i contributi della SITCC e quelli dell'AIAMC di cui parla Sanavio,
sarei pronto a propugnare l'immediata fusione fra le due Associazioni.
- Fine
della Sesta ed ultima parte:
- 1. Ezio Sanavio, "Trent'anni di
psicoterapia cognitiva e
comportamentale in Italia"
- 2. TABELLA: Principali tappe dello
sviluppo della psicoterapia comportamentale e cognitiva in Italia
- 3. Commento critico di Giovanni Liotti
- 4. Replica di Ezio Sanavio
- 5. Bibliografia
- 6. Dibattito avvenuto in rete