1. Introduzione
[vedi immagine n° 1: Dürer, Melencolia I; n° 2: Ripa, Malinconia ] Le immagini che avete appena teminato di vedere hanno in comune atteggiamenti, posture e gesti fatti di abbandoni e ripiegamenti su se stessi che, nel nostro modello di cultura, non esitiamo a riconoscere come melanconici.
Anche se l'accostamento di soggetti diversi e con significati così distanti tra loro può apparire discutibile, preferisco prendere l'avvio dalla persistenza delle modalità iconiche, per vedere nel corso della proiezione che cosa si svolge sotto l'apparente costanza del linguaggio non-verbale. La melanconia infatti è un concetto privo di un volto univoco e tale da sottrarsi ad un affrettato schematismo definitorio.
Mi sono rivolta alla melanconia perché seguendo l'evolversi di questa figura nell'orizzonte simbolico e culturale dell'uomo occidentale possiamo ricostruire alcuni passaggi cruciali della nostra storia mentale: come si sono sviluppati la capacità di introspezione e il senso di responsabilità individuale, come si è scoperta la dimensione interiore, come è emersa la soggettività quale la intendiamo comunemente oggi.
Il periodo cui farò riferimento è il Medio Evo. E' qui infatti che prendono forma atteggiamenti mentali, modi di sentire e di pensare nuovi, che daranno vita all'interiorità in senso moderno.
I medici qui presenti - che ringrazio insieme con tutti gli altri per essere venuti - potranno sentirsi delusi, perché nella storia della melanconia che racconterò aiutandomi con le immagini, la medicina finisce con l'avere un ruolo marginale. Ma saranno confortati dal vedere come un concetto, che è nato dalla medicina e dalla medicina ha tratto quelle peculiarità che lo accompagnano ancora oggi, abbia debordato dai suoi limiti originari sino a pervadere tutti i campi della cultura e della quotidianità, mantenendo così intatta la propria vitalità.