3. La melanconia nella medicina medievale
E' incredibile constatare come il paradigma epistemologico in seno al quale vede la luce il concetto di melanconia persista sino al XVII secolo, sino all'avvento cioé della medicina cosiddetta scientifica. I progressi dell'età romana, relativi alla descrizione e classificazione delle malattie, non lo mutano; nè modificano lo statuto della melanconia. La quale trasmigra nella medicina medievale con ritocchi irrilevanti sul piano epistemologico.
Per il medico medievale la melanconia si qualifica come "alienatio mentis sine febre" e si identifica con la patologia psichica per eccellenza.
Così é per Costantino Africano (s. XI-XII), medico dalla vita avventurosa avvolta nella leggenda, il quale scrive un De melancholia. In questo testo, dove l'influenza vicendevole di mente e corpo è centrale, viene ribadita la natura organica del male e respinta qualsiasi suggestione soprannaturale. Costantino è attentissimo alla descrizione di quadri psicopatologici in cui non stentiamo a riconoscere alcuni depressi e psicotici odierni; ma ciò che maggiormente colpisce in lui, e ce lo rende vicino, è l'atteggiamento psicologico raccomandato per accostarsi ai pazienti melanconici e render loro accetta la terapia corporea.
Vediamo alcuni degli interventi sul corpo allora in voga. [vedi immagine n° 3: Cauterizzazione XIII s. ]
Questi finiscono sovente con lo sconfinare nella ciarlataneria, come ben coglieranno artisti e illustratori.
La medicina "biologica" secolare proseguirà per la sua strada, combinandosi via via con influssi astrali, pratiche esoteriche, ricerche alchemiche, come avverrà per i Ficino e i Paracelso che riscopriranno le valenze di creatività e genialità proprie della melanconia, presenti in alcuni trattati dell'Antichità come quello dello Pseudo Aristotele.
Accanto a questo filone per così dire classico, la medicina medievale sviluppa un approccio diverso alla melanconia, che reinterpreta la dottrina umorale alla luce di una visione cristiana del rapporto tra anima e corpo, spostando l'accento sui temperamenti connessi agli umori e privilegiando quindi le tipologie caratteriologiche e gli aspetti psicologici, a scapito del corpo.
Rappresentante emblematica di questa tendenza è Ildegarda di Bingen (s. XI-XII), figura di donna atipica, badessa in contatto con illustri personaggi dell'epoca, teologa, mistica e visionaria, scrittrice di musica ma anche di medicina, medico che non disdegna il ricorso all'astrologia e all'esorcismo. Per Ildegarda la melanconia è un fattore costituivo del genere umano, impresso come eredità dalla colpa originaria di Adamo ed Eva; è un'epidemia (pestis) che si diffonde attraverso il seme dell'uomo e che degenera in patologia ogniqualvolta il cristiano cade in peccato.