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Da un convegno a San Servolo sullo stato dei servizi psichiatrici denuncia contro una proposta sostenuta da Forza Italia

Chi vuole disintegrare la legge 180

E il malato mentale torna recluso nei manicomi.  Anche privati


dai  quotidiani veneti IL MATTINO DI PADOVA, LA NUOVA VENEZIA e  LA TRIBUNA DI TREVISO di giovedì 25 ottobre 2001

Di recente, dalle pagine di Repubblica, Michele Serra ha proposto di istituire dei comitati di "frattempisti" incaricati di vigilare su quello che accade nel frattempo, a margine di fatti che, da oltre un mese, hanno paralizzato l'attenzione dell'opinione pubblica su eventi decisi altrove ma capaci di travolgere la sorte di tutti. Perché, sebbene appaia disdicevole di questi tempi occuparsi delle faccende di casa nostra, qualcuno potrebbe approfittare della nostra pudica disattenzione per fare sciacallaggio. Nel frattempo infatti, nel bel paese, viene approvatala legge delle rogatorie internazionali, abolito il reato di falso in bilancio, tolte le scorte ai magistrati, destituito Tano Grasso, eccetera.

E, nel frattempo, rischia di passare sotto silenzio e di venir approvata una proposta di legge che intende fare piazza pulita della legge 180, la legge che vent'anni fa ha decretato la chiusura dei manicomi svelandone la natura essenzialmente segregativa e repressiva e la morte che vi si coltivava all'interno; una legge che ha mostrato come la cronicità e la violenza dei pazienti psichiatrici fosse il frutto della reclusione più che della malattia e che ha reso possibili nuove e ben più efficaci risposte di salute mentale.

Di questa proposta si è parlato a lungo e inaspettatamente, in un bel convegno organizzato dalla Fondazione San Servolo a Venezia e dedicato a«Istituzioni e disagio mentale»per discutere dello stato dell'arte del lavoro in psichiatria in Italia e nel mondo,di quello che sappiamo della sofferenza mentale e di ciò che occorre per porvi rimedio, di opportunità e limiti dei servizi oggi disponibili sul territorio nazionale, delle molte cose che sono state fatte e di quanto ancora rimane da fare nella direzione tracciata dalla legge. Perché il convegno, scostandosi dall'assetto preordinato, non ha perso l'occasione per esprimere una ferma e inequivocabile denuncia del progetto di riforma della 180,firmato Forza Italia, per smentirne le rozze radici ideologiche e per svelarne gli obiettivi non dichiarati. Il progetto Burani Procaccini, a dispetto di quanto oggi è universalmente riconosciuto, ritiene infatti che una risposta efficace in materia di salute mentale non possa avvenire che ricostituendo i manicomi (chiamati eufemisticamente S.R.A., strutture residenziali ad alta protezione di 50 posti letto), in cui le persone potrebbero restare confinate a vita anche grazie a trattamenti sanitari obbligatori sollecitati, in prima battuta, «da chiunque ne abbia interesse».

Questo confino, reso necessario dalla totale irresponsabilità del "malato di mente"e dalla sua magari latente ma inequivocabile pericolosità, verrebbe poi gestito indifferentemente dalla sanità pubblica e da quella privata e predisposto a partire dall'idea che la "malattia mentale"è prima di tutto un fatto biologico, di stretta e pressoché esclusiva competenza medica tanto che, qualora il medico giudicasse di non prescrivere alla persona la residenza coatta, graverebbe su di lui l'intera responsabilità della vita del paziente,in tutti i suoi aspetti sociali, legali e terapeutici. Un progetto di legge a dir poco grottesco che fatica a nascondere gli interessi che lo muovono, ignorando sistematicamente tutto quello che oggi sappiamo della sofferenza mentale, rimettendo in circolazione lo stigma, la paura, la messa al bando,la riduzione della cura a semplice custodia.

L'idea è quella di sbarazzarsi di una legislatura, come quella vigente in Italia, che è guardata con attenzione da molti altri paesi e ritenuta pionieristica dall'Organizzazione Mondiale della Sanità; una legge che ha preso le mosse dalla necessità di restituire alla persona affetta da disturbo mentale gli stessi diritti di cittadinanza che spettano a qualsiasi cittadino, il diritto alla dignità,il diritto alla scelta, il diritto alla cura, il diritto alla speranza di guarigione, il diritto al futuro. Ma anche il diritto di esistere all'interno di una comunità che, oggi più di ieri,deve fare i conti con una quota sempre crescente di sofferenza mentale e non può più esimersi dal domandarsi se tale sofferenza non si radichi proprio nel proprio modus vivendi, nella propria cultura, in quel profondo analfabetismo emotivo di cui abbiamo già avuto modo di parlare nelle pagine di questo giornale. E' vero che ancora oggi, in molti casi, questi diritti sono solo sulla carta. Che molti luoghi sono a tutt'oggi privi di servizi o dotati di servizi lacunosi,poveri di risorse, rigidamente asserragliati in risposte preordinate che non restituiscono affatto libertà,dignità ,opportunità alle persone affette da questi disturbi. Ma queste carenze non sono imputabili alla 180, una legge quadro che ha dovuto attendere molti anni prima di venir integrata dai provvedimenti legislativi necessari alla programmazione dei servizi e delle strutture alternative al manicomio. Nel frattempo, la miopia,l'impudenza, la totale irresponsabilità amministrativa e politica accompagnate da una grossolana semplificazione del problema della salute mentale,vecchi e nuovi interessi personali e corporativi hanno reso possibili abbandoni,errori,violenze,facendo ricadere sulle famiglie dei pazienti l'intero peso di istituzioni inesistenti,fasulle,arroganti. Oggi solo dove i Servizi continuano impunemente a non esistere, la richiesta di ricostituire i manicomi ritorna con prepotenza.

Altrove e ben più frequentemente, operatori,familiari e pazienti chiedono che divengano vincolanti le leggi esistenti,che la psichiatria smetta di scontare la penuria di risorse,la disattenzione politica, l'arbitrio delle amministrazioni locali e la supponenza di un sapere che in molti casi,al di là delle dichiarazioni d'intenti,continua ad usare il proprio potere sul paziente per non farsene mai davvero carico. E non è un caso che tutti i relatori presenti al Convegno di San Servolo-tra cui anche i rappresentanti dell'Unione Nazionale delle Associazioni di famigliari per la Salute Mentale - lo abbiano unanimemente ribadito. Tutti,nonostante le diverse radici e provenienze (Mario Galzigna, Michele Tansella,Ernesto Muggia,Fabrizio Asioli,Roberto Beneduce, Fausto Petrella, Annamaria Ferruta, Antonello Correale) hanno sostenuto che i Servizi vanno rinforzati come servizi territoriali,che occorre coordinare gli interventi - farmacologici ,relazionali, sociali in una prospettiva integrata che dilati il campo stretto dell'approccio medico specialistico,una prospettiva epistemologica e antropologica insieme che sappia riconoscerei limiti culturali delle nostra tradizionale idea di cura e di guarigione. Che bisogna vigilare sul sapere,sul potere e sull'efficacia delle risposte di salute mentale già sperimentate e inventarne di nuove,guardandosi dall'usura di quella tecnologia umana che in psichiatria è la più importante risorsa disponibile. Che c'è bisogno di sensibilizzare l'opinione pubblica coinvolgendo tutti coloro che queste risposte concorrono a fornirle e tutti coloro che ne sono investiti, andando verso la comunità,sostenendola, aiutandola a comprendere,anziché tornare a voltarle le spalle.
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