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XII COMMISSIONE AFFARI SOCIALI INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di giovedì 31 gennaio 2002
La seduta comincia alle 15,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).
Audizione di rappresentanti dell'ARAP (Associazione per la riforma dell'assistenza psichiatrica), della SIP (Società italiana di psichiatria), dell'AILP (Associazione italiana libero-professionisti psichiatri), della DIAPSI (Associazione difesa malati psichici), di Nuova psichiatria, dell'UNASAM (Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale) e della DIAPSI.GRA (Associazione difesa ammalati psichici gravi).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione del progetto obiettivo «Tutela della salute mentale», l'audizione di rappresentanti di ARAP, SIP, AILP, DIAPSI, Nuova psichiatria, UNASAM e DIAPSI.GRA.
Saluto gli ospiti e li ringrazio per aver voluto corrispondere all'invito rivolto loro dalla Commissione di partecipare alla seduta odierna per recare un contributo all'indagine conoscitiva che inizia oggi. Porgo, anzi, le scuse della Commissione per il disguido circa l'orario dovuto a problemi logistici di cui mi assumo personalmente la responsabilità.
La Commissione ha deliberato, a scopo di istruttoria legislativa, un'indagine conoscitiva sull'attuazione del progetto obiettivo «Tutela della salute mentale». Tale indagine – che auspico possa essere quanto più ampia ed estesa possibile - dovrebbe consentirci, in un campo tanto importante e sicuramente molto variegato, di conoscere le varie opzioni in campo nonché le diverse proposte che possono venire da chi è maggiormente impegnato in quest'area della salute.
L'onorevole Burani Procaccini è stata nominata relatrice della proposta di legge n. 174, concernente la prevenzione e la cura delle malattie mentali.
MARIA BURANI PROCACCINI. Signor presidente, intervengo solo per comunicare che l'onorevole Luana Zanella, del gruppo parlamentare dei Verdi, mi ha incaricato di porgere le sue scuse perché non è presente per ragioni di salute che le impediscono di seguire i nostri lavori, di cui, comunque, daranno conto I resoconti stenografici.
Anch'io desidero salutare e ringraziare gli ospiti della Commissione e dichiarare, spero anche a nome dei colleghi, tutta la disponibilità ad ascoltare la vostra esposizione anche perché la riforma di una legge così importante quale è stata la n. 180 del 1978 deve essere, il più ampiamente possibile, condivisa, dovendo affrontare uno degli argomenti di ampio allarme sociale più sentiti dalla nostra società in genere. Preannuncio, fin da ora, la più ampia disponibilità, mia come relatrice del progetto di legge n. 174, a recepire, ove sia possibile, i contributi che vorrete portare nel dibattito; anzi, data la limitatezza del tempo, la Commissione valuterà eventuale materiale scritto ed ogni altra documentazione utile per la stesura finale del testo del progetto di legge.
PRESIDENTE. Considerato l'alto numero di interlocutori presenti per ogni singola associazione invitata a partecipare nella seduta odierna all'indagine, darò la parola ad un rappresentante di ciascuna. Non abbiamo limiti temporali teorici, ma in questa prima fase sarà difficile fare intervenire tutti. Nel corso del dibattito e, soprattutto, in sede di replica, vi sarà certamente spazio per gli interventi di tutti.
Do ora la parola ai nostri ospiti.
MARCELLA VANNI, Rappresentante dell'ARAP. Desidero anzitutto portare i ringraziamenti di tutti i soci ARAP ai deputati che - presentando proposte di legge al fine di consentire la cura anche ai malati che non riconoscano di essere tali - hanno infranto un tabù che dura da 23 anni, da quando è entrata in vigore la legge n. 180 del 1978. Allora tutti applaudimmo all'onorevole Basaglia; credo non vi sia stato nessuno che non abbia salutato con favore la chiusura di manicomi, il progetto di dare dignità al malato di mente. Oggi, però, è anche importante che l'opinione pubblica sappia cosa è successo dopo l'entrata in vigore di quella legge; mi riferisco per esempio alla nascita di numerosi piccoli manicomi familiari, soprattutto per la cura di malati non consenzienti, quelli più gravi, che rifiutano I trattamenti sanitari. Quando si lamenta la mancata applicazione della legge n. 180 si dimentica che, invero, essa, nella sua filosofia, è stata attuata. Vi è, infatti, anche secondo tale normativa, il momento del trattamento sanitario obbligatorio che interviene quando il malato entra in crisi e, quindi, viene condotto in una struttura per essere sottoposto a trattamento; inoltre, permane la libertà di scelta per quella categoria di malati che pur non andando in crisi sono ugualmente molto gravi.
Il trattamento sanitario obbligatorio, come sappiamo tutti, si effettua negli ospedali generali presso il reparto diagnosi e cura: vorremmo sapere perché non si possa effettuare prima un'osservazione del malato, ovvero perché non si possa tenere in osservazione il malato, senza trattamento farmacologico, per capire in quale direzione orientare l'intervento.
Vorrei svolgere un'altra breve considerazione; noi apprezziamo molto l'impegno dell'onorevole Lumia e di altri deputati sulle condizioni dei manicomi. Abbiamo visto, anche attraverso la televisione, immagini raccapriccianti. Però, sarebbe anche opportuno effettuare qualche sopralluogo nei reparti diagnosi e cura degli ospedali generali dove, talvolta, i malati vengono «legati».
Quanto all'aggiornamento ed alla modifica della legge n. 180, nel corso di questi 23 anni, gli altri paesi europei hanno continuamente aggiornato la normativa nel settore; in Italia, ciò non è stato possibile, pur essendo noti i disastri avvenuti in questo periodo. Non vi è stato un minimo di umiltà per verificare se vi fosse qualcosa da migliorare: qualsiasi legge era perfettibile, ma non la n. 180.
La nostra è un'associazione apolitica; forse, siamo stati invisi e malvisti in tutti questi anni, perché quando si dovevano denunciare aspetti sul cattivo funzionamento del settore, quando il servizio non prendeva in carico il malato - che invece doveva essere preso in carico -, abbiamo agito e l'abbiamo potuto fare perché la nostra associazione è formata solo da familiari di malati di mente; non abbiamo, infatti, operatori esterni nella nostra associazione, che è costituita –ripeto - solo da familiari di malati di mente. L'associazione è apolitica ma ha, nel suo ambito, diversi soci che manifestano simpatia per lo schieramento di sinistra.
Ebbene, costoro, su tale specifico problema, vivendo quotidianamente una tragedia familiare, non riescono a capire perché il loro partito non prenda in considerazione quanto sta succedendo.
La legge n. 180 del 1978, tra l'altro, parla espressamente di protezione e difesa dei più deboli; noi, per quanto possiamo constatare nell'ambito dell'associazione, vediamo che proprio i più deboli non sono protetti. Al riguardo, voglio portare la mia esperienza personale.
Mio figlio era destinato al ricovero presso l'ospedale psichiatrico giudiziario; poiché disponiamo di possibilità economiche, per far fronte a tale situazione molto pericolosa, siamo ricorsi ad un avvocato che ha compreso la situazione ed è riuscito ad evitare il ricovero. I figli di alcuni dei nostri associati sono stati ricoverati all'ospedale psichiatrico giudiziario perché non hanno avuto questa possibilità dal punto di vista sia economico, sia culturale: tutto ciò non significa proteggere I più deboli.
Vorrei porre una domanda: è civile lasciare che un malato sia abbandonato alla deriva, che sia deriso quando cammina per strada, che subisca abusi se è una ragazza o che rimanga incinta e le venga sottratto il figlio, perché malata di mente? È civile tutto ciò? Non lo crediamo. Abbiamo trascorso notti insonni e giorni
nella disperazione, vedendo il proprio caro in preda alla follia e non potendo far nulla per aiutarlo. Ci siamo sentiti dire che bisognava aspettare, perché il malato ha i suoi tempi; passano i mesi e gli anni, il malato si cronicizza e non c'è più nulla da fare. A volte ritengo che sia criminale non poter intervenire durante l'insorgere della malattia, quando si sa che alcuni farmaci possono aiutare queste persone. È noto che la schizofrenia insorge tra i 16 e i 18 anni e poiché non si può intervenire, si può soltanto restare a braccia incrociate ad aspettare che il ragazzo se ne renda conto, ma, in questo modo, egli non si recherà presso il centro di salute mentale e non si sottoporrà ad alcun intervento, né di cura né di psicoterapia. Bisogna aspettare che si convinca: chi lo convincerà? Durante le
riunioni che si sono svolte presso le consulte, è stata lanciata l'accusa, in particolare nei confronti dei genitori dell'ARAP, di non volersi fare carico dei propri figli: reputo tale accusa una vergogna. Se avessimo questa intenzione, avremmo potuto abbandonare i nostri figli per strada, come succede a tanti che non hanno famiglia, oppure a chi ha visto dissolversi i legami familiari a causa della malattia. Non è giusto rivolgerci un insulto di questa natura: crediamo che per abbattere lo stigma sia necessario, in primo luogo, curare il malato, anche se egli non è consenziente.
Vorrei ancora chiedere: perché i soldi impiegati per ricoverare i pazienti presso cliniche private convenzionate non sono stati utilizzati per creare cliniche pubbliche? Forse perché l'articolo 64 della legge n.180 del 1978 vietava nuove strutture psichiatriche? L'emergenza psichiatrica esiste ed i centri di salute mentale inviano i pazienti presso le strutture che operano nel settore, perciò è indispensabile che la struttura pubblica offra osservazione, diagnosi e cura per il tempo necessario.
Vorrei concludere invitando i componenti la Commissione a mettere da parte la propria collocazione politica ed a lavorare insieme per ricercare una soluzione ai gravi problemi che ho descritto, limitando i danni ed aiutando veramente chi è affetto da gravi patologie.

CARMINE MUNIZZA, Presidente della SIP. Ringrazio la Commissione per averci concesso l'opportunità di discutere dei problemi della psichiatria.
Vorrei dividere il mio intervento in tre parti, la prima delle quali concerne una brevissima descrizione della società italiana di psichiatria: rappresentiamo 6.000 soci e costituiamo la massima espressione degli psichiatri italiani, soprattutto di quelli che lavorano presso i servizi pubblici (per il 90 per cento). La nostra associazione è organizzata in sezioni regionali, presenti in tutte le regioni: solo la sezione della Valle d'Aosta è associata a quella del Piemonte e quella della Lucania con la sezione della Puglia. Siamo dunque consapevoli di quanto accade nel nostro paese e, poiché siamo una società scientifica, tendiamo a produrre ricerca riguardo l'organizzazione psichiatrica in Italia. Qualche tempo fa ho avuto un incontro con il presidente Palumbo, al quale ho illustrato la situazione ed ho presentato una sintesi della ricerca, che consegno anche ai membri della Commissione. Ho avuto un incontro anche con l'onorevole Burani Procaccini, che si è svolto molto piacevolmente nelle terre piemontesi, per cercare di capire come affrontare i problemi del nostro settore.
Svolgo la seconda parte del mio intervento sullo stato di attuazione dell'assistenza psichiatrica nel nostro paese, fornendo alcuni dati elaborati dal centro studi e ricerche in psichiatria della nostra associazione ed alcuni dati prodotti dall'Istituto superiore di sanità.
Per quanto riguarda la disponibilità delle strutture, nel nostro paese esistono 320 servizi psichiatrici di diagnosi e cura, per un totale di oltre 4.000 posti letto; 65 case di cura private per un totale di 5.600 posti letto; 1.341 strutture residenziali, sia pubbliche che private, per un totale di 17.343 posti letto; 257 posti in day hospital, 645 centri di salute mentale, 481 centri diurni, 433 imprese sociali che occupano circa 4.000 persone.
I numeri sono noiosi, ma ho voluto citare queste cifre per dimostrare l'impegno del nostro paese rispetto al problema della salute mentale. Tale impegno non indica una situazione in cui non esistono problemi, ma segnala che un percorso è iniziato relativamente da poco tempo: tutta la sanità del nostro paese ha oltre un secolo di storia mentre la psichiatria di comunità risale al 1978, ovviamente con tutti i problemi che si sono avuti.
La regolamentazione ha inizio con il primo progetto - obiettivo nel 1996: sono dunque trascorsi pochi anni. A mio avviso, non tiene conto della realtà chi pensa che un organizzazione tanto complessa possa trovare realizzazione completa in così pochi anni.
Nell'organizzazione psichiatrica del nostro paese lavorano circa 30.000 persone di cui oltre 5.000 medici, 1.800 psicologi, 16.000 infermieri professionali, molti assistenti sociali, per una spesa totale stimata dai 4 ai 5.000 miliardi. Non si può, dunque, affermare che non esista assistenza psichiatrica di comunità; essa ha una propria storia molto caratterizzata, che inizia con l'opera grandiosa di Franco Basaglia, che ha coinvolto direttamente gli psichiatri.
Vi lascio alcuni dati di tale ricerca, effettuata su tutto il territorio piemontese - quindi, ventidue dipartimenti di salute mentale - nonchè, a campione, sui centri di
Genova, Como, Bolzano, Trieste, Venezia, Modena, Roma, Napoli e Catania. Si è cercato, quindi, in qualche modo, di approfondire il fenomeno sul piano nazionale, utilizzando una metodologia internazionale; l'indagine ha avuto un finanziamento da parte della Comunità europea, del Ministero e della regione
Piemonte. Perciò, le risorse pubbliche hanno, in qualche modo, concorso a finanziare la ricerca, con la quale, tra l'altro, si è cercato di mappare le aree attraverso indicatori socio-demografici. Si è, cioè, cercato di mappare le strutture presenti in quell'area e di definire i livelli di specializzazione delle prestazioni prestate.
Ribadisco il discorso degli indicatori socio-democrafici dell'area perché, molto spesso, si parla di un finanziamento asettico del 5 per cento rispetto alla situazione nazionale: ebbene, è un gravissimo errore riferire ciò senza ulteriori specificazioni. Credo si debba pensare a finanziamenti legati ad indicatori di deprivazione sociale. Lasciatemi dire che sono nato in un paese della Calabria nel quale i pazienti psichiatrici usufruivano di una rete che permetteva loro una qualità di vita diversa da quella di cui godono nella città di Torino, luogo dove svolgo la mia attività. Quindi, credo che i finanziamenti vadano connessi ad indicatori di deprivazione sociale quali i tassi di disoccupazione, la solitudine di vita, il superamento di una certa età e quant'altro. Fatte tali precisazioni, dall'indagine emerge che la continuità assistenziale è realizzata attraverso l'operato del centro di salute mentale ed è prevalentemente interna al dipartimento. In qualche modo, il dipartimento di salute mentale, dove esiste, cerca di dare risposte abbastanza complessive a tutto il percorso del paziente psichiatrico, avendo come fulcro e punto di coordinamento il centro di salute mentale.
L'organizzazione ha maturato esperienze di gestione in una logica di costi coerenti con il principio della contribuzione economico-finanziaria; il dipartimento di salute mentale ha un budget specifico. L'organizzazione per la salute mentale è fortemente unitaria, con componenti strettamente integrate tra loro: le agenzie, cioè, sono collegate ed il percorso del paziente grave - dal centro di salute mentale al servizio psichiatrico di diagnosi e cura, alla eventualità della struttura comunitaria, al centro diurno - ha un punto di riferimento, che è il centro di salute mentale. Anche l'integrazione con i distretti è abbastanza funzionale e tendenziale.
L'organizzazione assorbe risorse finanziarie che variano dal cinque al dieci per cento delle risorse disponibili per l'azienda. Mi spiego meglio: in una situazione come quella della regione Piemonte, Torino centro ha un volume di spese per il settore psichiatria che ammonta al 7,9 per cento del budget dell'azienda; a Tortona, che è un paesino ridente dell'alessandrino, la spesa è del 2,8 per cento. Le situazioni, cioè, sono differenti, anche perché a Torino centro, ad esempio, arrivano grandi flussi di immigrazione.
Pertanto, la psichiatria ha realizzato condizioni organizzative di gestione e di erogazione dell'assistenza avanzate rispetto allo stato di sviluppo disponibile, in genere, per i servizi sanitari di livello territoriale e per quello ospedaliero. Vorrei ricordare, in questa sede, che la sanità pubblica, nel nostro paese, sta apprendendo dalla psichiatria il modo di connettere insieme ospedale e territorio, che è il futuro dell'organizzazione sanitaria. Infatti, con le maggiori aspettative di vita e l'invecchiamento progressivo della popolazione, non si può pensare di dare una risposta eminentemente ospedaliera. Ovviamente, se tali sono i punti di forza, esistono tuttavia anche alcuni punti critici. L'organizzazione tende a conservare la sua situazione di isolamento marcando confini che rischiano di trasformare una condizione positiva per l'evoluzione dell'assistenza psichiatrica in una condizione negativa di mancato conseguimento di ulteriori obiettivi di sviluppo. In qualche modo, essa ha costituito quasi un mondo a sé stante che ha difficoltà a collegarsi con le altre realtà della sanità.
L'elemento più preoccupante consiste nella circostanza che l'organizzazione, a mio avviso proprio perché si è occupata molto della necessità di organizzare nuovi servizi, ha guardato meno alla qualità; quindi, uno dei grossi problemi che ha l'organizzazione della salute mentale consiste nello sviluppare un percorso di qualità all'interno delle strutture dove si lavora. Giustamente ricordava chi mi ha preceduto che bisogna, in qualche modo, verificare cosa succede anche là dove i dipartimenti siano completi. Perciò, un invito che la società italiana di psichiatria rivolge alla Commissione è quello di procedere di nuovo a verifiche a campione sui dipartimenti di salute mentale nel nostro paese. La società italiana di psichiatria è disposta ad offrire i propri tecnici alla Commissione perché si possa valutare insieme cosa sta succedendo. Tale è lo stato complessivo nel nostro paese; sicuramente, dunque, esistono non soltanto situazioni ottimali ma anche elementi critici di un certo spessore.
Rispetto alle proposte di legge, soprattutto alla n. 174, presentata dall'onorevole Burani Procaccini, la società Italiana di psichiatria ha emesso un comunicato che indirizzo al presidente e a tutti i membri la Commissione in cui ha preso posizione su tale aspetto. Considerata la sua importanza, ne do lettura: «La guerra di religione, che si è accesa a proposito della legge n. 180 solo in minima parte è espressione di difficoltà e contrasti interni al mondo della tutela della salute mentale; in larga misura, invece, essa è il prodotto di conflitti e contrapposizioni ideologiche che a quel mondo sono estranei». Il comunicato, poi, continua rilevando che «al di là degli schieramenti politici ed ideologici, noi riteniamo che la legge n. 180, confermata dalla legge n. 833 del 1978, non sia il soggetto appropriato per una guerra di religione.
Osservo, infatti, che tale legge, pur essendo nata in un momento politico particolare e pur essendo stata generata, in misura significativa, da un movimento politicamente connotato, ha una valenza sul piano tecnico e socioculturale e una visibilità a livello internazionale che il mondo politico di oggi non può ignorare.
La legge n. 180 è una legge-quadro che fissa alcuni principi generali di cui i più significativi sono: il superamento degli ospedali psichiatrici; l'integrazione dell'assistenza psichiatrica nel servizio sanitario nazionale; l'orientamento prevalentemente territoriale dell'assistenza psichiatrica; la limitazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ad alcune situazioni ben precisate. Si tratta di principi largamente condivisi dagli operatori della salute mentale e, ci sentiamo di affermare, anche dagli utenti e dalle loro famiglie. Il superamento degli ospedali psichiatrici, che per anni e parso a molti impossibile, è oggi una realtà che tutti considerano irreversibile; inoltre, non si può negare che, grazie alla legge n. 180, la maggior parte degli italiani abbia imparato ad avere nei
confronti delle patologie mentali un rispetto ed una tolleranza maggiori rispetto al passato.
La legge n. 180, confermata dalla n. 833 del 1978 , delegava alle regioni il compito di individuare le strutture per la tutela la salute mentale e l'inadempienza di diverse regioni ha creato, per molti anni, una situazione di incertezza e confusione. Tuttavia, nel 1994 e nel 1999, due progetti obiettivo, emanati con decreto del
Presidente della Repubblica, hanno definito, in maniera chiara ed articolata, come la tutela della salute mentale debba svolgersi, quali siano le strutture nelle quali i dipartimenti di salute mentale debbano articolarsi, quante debbano essere tali strutture e quanti utenti debbano accogliere.
Le strutture previste dai progetti obiettivo sono state realizzate solo in parte, gli organici dei dipartimenti di salute mentale rimangono carenti ed il disagio delle famiglie e delle persone con patologie mentali gravi è assai serio in molte regioni del paese. Tra i presidi elencati nei progetti obiettivo vi sono anche le strutture residenziali destinate a far fronte ai bisogni di lunga assistenza delle persone con patologie mentali gravi. Sono previste strutture residenziali a vari livelli di protezione per situazioni di diversa gravità; è, altresì, prevista la partecipazione del privato, sociale ed imprenditoriale, allagestione di tali strutture, mentre il numero massimo di posti letto è fissato in venti. Le proposte di legge attualmente all'esame del Parlamento mettono in discussione tre aspetti principali dell'attuale organizzazione dell'assistenza psichiatrica: il numero e le caratteristiche delle strutture residenziali; il ruolo rispettivo del pubblico e del privato nell'assistenza psichiatrica; i luoghi e le modalità di attuazione del trattamento sanitario obbligatorio. Si tratta di problemi che, a nostro parere, è legittimo sollevare.
Mi pare che il primo punto sia già stato superato; la società italiana di psichiatria si impegna a fornire sugli altri due punti un documento scritto, poiché abbiamo avviato due gruppi di lavoro che hanno realizzato due elaborati; attendiamo la riunione del consiglio direttivo per definirli meglio.
Vorrei sottolineare che il trattamento sanitario obbligatorio rappresenta la parte più delicata della psichiatria. Gli psichiatri non vogliono sottrarsi né agli aspetti di «controllo» che la loro professione comporta (bisogna capire come metterlo in atto), né ai bisogni di cura dei pazienti, siano essi consenzienti o meno (si tratta di
bisogni reali) e neppure alle richieste delle famiglie. Dobbiamo raggiungere un equilibrio tra le esigenze espresse dai diversi soggetti: il paziente, nel rispetto della sua libertà e dignità, le famiglie, con i compiti di cura di cui si fanno carico, la collettività, che ha bisogno di sicurezza . Deve essere molto chiaro che quello che si
sottrae ad uno di questi attori, lo si concede agli altri: se ci preoccupiamo eccessivamente del controllo sociale, rischiamo di perdere la dignità e la libertà del paziente e lo stesso accade nel caso del carico familiare; credo che una società civile debba considerare l'articolazione complessiva di tali esigenze.
Lascio volontariamente sullo sfondo gli operatori ed i decision maker; tutti gli attori debbono ricercare un punto di equilibrio, che la legge n. 180 del 1978 aveva provato a stabilire e può darsi che essa debba essere superata (non è un feticcio) e la società italiana di psichiatria è disponibile a collaborare, ma nello spirito del rispetto dei bisogni di questi attori.
Credo che esista uno strumento tecnico che viene poco utilizzato (ne domando la ragione): l'Osservatorio nazionale della salute mentale. Bisogna decidere se potenziarlo oppure escluderlo: potrebbe essere importante un tavolo dove convogliare le varie istanze, per trovare un accordo sui vari problemi.
Secondo la società italiana di psichiatria il problema non consiste tanto nel varare una nuova legge, quanto nel regolamentare in modo chiaro le varie esigenze presenti: sarebbe auspicabile un regolamento di quanto già esiste, senza troppo stravolgere la situazione; se ciò non fosse possibile, potremmo continuare a
discutere per trovare un punto d'incontro.
Insistiamo poiché il livello su cui i problemi emergono maggiormente sono relativi al trattamento di pazienti non consenzienti, sul fatto che dovremmo tentare di trovare un punto di equilibrio che tenga conto dei bisogni di tutti gli attori.

MARIA BURANI PROCACCINI. Terremo senz'altro presenti le osservazioni che vengono avanzate, perché questo è il nostro compito.

ALBERTO PETRACCA, Rappresentante dell'AILP. Ringrazio il presidente ed i componenti la Commissione per l'invito che ci è stato rivolto. La nostra associazione è giovane, è sorta da soli 5 anni, raccogliamo circa 600 psichiatri che praticano la libera professione. Al contrario di quanto è sempre accaduto in passato, abbiamo sentito da diversi anni l'esigenza di assumere un ruolo, non soltanto individuale, in grado di rappresentare le istanze delle varie componenti dell'assistenza psichiatrica in Italia.
La legge n. 180 rappresenta un patrimonio della psichiatria, ha spostato il centro dell'assistenza nel territorio, nella comunità (è un dato importante); ha smantellato una struttura fatiscente e sorpassata, ormai custodialistica come l'ospedale psichiatrico che era anche fisicamente distaccata dai poli sanitari dell'assistenza; ha introdotto la psichiatria nell'ospedale generale ed ha reso possibile considerare le malattie mentali veri e propri disturbi. Questo, secondo noi, sono aspetti importanti della legge n. 180, che oggi può essere migliorata ma solo dopo un'accurata valutazione e dopo convincenti e giustificate evidenze in merito alla qualità di cura e assistenza, tenendo conto dei suoi punti di debolezza.
Vorremmo sottolineare un aspetto concernente la libertà di scelta del medico e del luogo di cura, presente nella Costituzione. Recentemente anche il TAR del Lazio, giudicando un ricorso che avevamo presentato riguardo la prescrizione di un importante antipsicotico (la clozapina) e delle limitazioni esistenti nella prescrizione di tale farmaco a livello della pratica privata, ha fornito una ben precisa indicazione, precisando che: «nel nostro ordinamento il diritto alla salute trova esplicazione attraverso la combinata ed equilibrata utilizzazione di strutture e professionisti pubblici e privati. Ne deriva che, anche per quanto riguarda la cura delle patologie psichiatriche sarebbe necessario porre sullo stesso piano e facilitare un'integrazione tra prestazioni svolte in ambito pubblico e privato».
Questa indicazione è presente nel codice deontologico dei medici e nella legge n. 180, che al primo comma dell'articolo 1 cita il diritto del paziente a compiere una scelta per quanto riguarda il luogo di cura anche in relazione al trattamento sanitario obbligatorio. In questo senso riteniamo importante che, in relazione a
possibili modifiche di riforma dell'assistenza psichiatrica della legge n. 180, si delinei il diritto del malato a non essere discriminato. Purtroppo tale diritto oggi spesso non è rispettato; ad esempio, per numerosi farmaci, alcuni dei quali sono stati ricordati (farmaci antipsicotici di nuova generazione, di grande importanza per un ambito ristretto di pazienti che possono averne necessità, rispetto all'assistenza psichiatrica in generale), nonostante l'abolizione delle note 71 e 71-bis risalente ad un anno fa, sono state reintrodotte una serie di limitazioni legate ad una interpretazione della normativa a nostro avviso dubbia che impediscono ad un paziente di scegliere liberamente il proprio medico, in modo da ricevere cure moderne, adeguate, internazionalmente riconosciute dalla comunità scientifica come valide, efficaci e con minori effetti collaterali. Tutto ciò deve essere obbligatoriamente sottoposto al vaglio della struttura pubblica, perché, in caso contrario, il paziente deve farsi carico del costo complessivo della cura.
Ciò, a nostro avviso, costituisce una limitazione notevole perché va contro un altro principio fondamentale presente nella legge n. 180 del 1978 e nell'assistenza psichiatrica, quello della continuità terapeutica. Riteniamo importante che un paziente possa essere seguito in maniera continuativa dal proprio medico,liberamente scelto, anche attraverso la possibilità di un accesso integrato ai servizi pubblici. Per tali motivi, riteniamo sia altresì importante cercare di trovare forme organiche di collaborazione ed incontro tra i servizi pubblici di assistenza psichiatrica e la pratica privata. Ciò, a nostro avviso, consentirebbe al paziente di poter usufruire di un approccio completo ed ampio, tale da non limitarne, appunto, il diritto a scegliere medico e luogo di cura; il ruolo della pratica privata, del resto, viene assumendo un'importanza sempre maggiore.
I progressi delle neuroscienze e della psicoterapia, negli ultimi dieci-quindici anni, hanno determinato una serie di cambiamenti molto importanti; in primo luogo, molti disturbi sono diventati curabili, pur non essendolo stati per l'innanzi. Si è, quindi, ampliata molto la domanda di salute emergente dalla società; ricordo, alriguardo, che, se, da un lato, le forme psicotiche e schizofreniche hanno una prevalenza annuale inferiore all'uno per cento, dall'altro, considerando tutte le alter patologie, che comprendono i disturbi dell'umore, in tutte le forme, anche le più gravi nonché i disturbi bipolari, d'ansia, del comportamento, quelli legati ad uso di sostanze o all'alcolismo -, le percentuali sono decisamente più elevate. Gli studi più recenti ci dicono che la prevalenza complessiva annuale di tutti questi disturbi arriva ad essere vicina al 30 per cento. Tutto ciò fa capire, quindi, come vi sia una grande domanda di salute mentale in Italia.
Il presidente della SIP, in un editoriale dell'ottobre scorso de Il Sole 24 Ore, riconosceva una realtà di fatto e cioè che in Italia non solo il 55 per cento delle richieste di assistenza in acuto, ma anche una larghissima quota delle patologie croniche vengono soddisfatte dal «privato». Inoltre, persino l'assistenza a livello ambulatoriale - non è stimata esattamente ma le percentuali, anche internazionali, sono, in questo senso, molto chiare - è decisamente davvero ampia. Negli Stati Uniti, uno studio recente su un certo numero di psichiatri, ha dimostrato come l'undici, il dodici per cento di essi - circa 12.000 - svolgono attività privata. La ricerca ha altresì rivelato che il trend, dal punto di vista delle categorie diagnostiche, vede nella professione privata soprattutto un target, costituito dalla patologia dell'infanzia, dell'adolescenza e dalla patologia dei disturbi legati all'uso di sostanze.
Ebbene, adesso sappiamo che tali problematiche - sia per l'insorgenza precoce sia per le complicanze legate all'uso di sostanze sia, infine, per altro ancora -hanno, potenzialmente, la prognosi peggiore. Quindi, l'intervento che la pratica privata compie - non solo in Italia ed in altri paesi occidentali - ha carattere anche preventivo. Oggi, infatti, nell'esercizio della professione privata, è vieppiù maggiore la possibilità di riuscire ad intervenire su patologie che se non venissero trattate adeguatamente - se non avessero, quindi, una risposta concreta in tutta Italia - costituirebbero certamente un ulteriore motivo di aggravio per l'assistenza pubblica. Tutto ciò, quindi, richiede, a nostro avviso, una collaborazione organica tra le strutture, i servizi pubblici e l'offerta del «privato». Si tratta, del resto, di un aspetto che il progetto obiettivo 1998-2001 prevedeva in più punti, teorizzando proprio un patto per la salute mentale, patto nel quale dovevano essere rappresentate tutte le varie componenti dell'assistenza psichiatrica italiana tra le quali anche, appunto, i servizi privati.
Anche la nostra associazione si propone di raggiungere un'integrazione ed una collaborazione reciproca affinché il paziente possa scegliere liberamente il proprio medico usufruendo, alla bisogna, a seconda della patologia in corso, delle strutture private o di quelle pubbliche. A tale scopo, occorre vi sia un'omogeneità nel modo in cui il paziente viene trattato nonché la possibilità di interscambio e di informazione - che deve essere strutturale - tra il medico che lo ha in terapia e i servizi pubblici. In questo senso, proprio affinché la qualità ed il controllo dell'assistenza a livello privato non siano, come è sempre stato finora, lasciate a se stesse, chiediamo, per esempio, che anche per la professione privata vengano applicate le normative sulla formazione continua. Quindi, i crediti previsti con riferimento al medico della struttura pubblica andrebbero estesi anche alla struttura privata; dovrebbe, quindi, venire assicurato un controllo di qualità di quanto il «privato», oggi, è in grado di offrire.
Di tutto ciò dovrebbero tenere conto le proposte di riforma della legge n. 180 del 1978, proposte che abbiamo esaminato e le nostre considerazioni le abbiamo riportate in un testo scritto. In esso si fa riferimento ad aspetti che vanno dal trattamento sanitario obbligatorio - aspetto che, nel «privato», ci vede spesso coinvolti direttamente e per il quale pure si rende necessaria, dunque, un'integrazione - alle problematiche relative alle strutture residenziali, specie se di media o lunga degenza (a nostro avviso, l'anello debole dei servizi psichiatrici pubblici), alle questioni riguardanti la formazione, l'aggiornamento e la ricerca. Su ciò abbiamo predisposto un testo scritto che consegnamo alla Commissione per non prolungare oltre i tempi del nostro intervento.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Vorrei anzitutto precisare che il professore Nicola Lalli si scusa ma, per urgenti motivi clinici legati alla cura dei suoi pazienti, non è potuto intervenire. È presente il collega Tropeano, anch'egli rappresentante della medesima associazione.
Lasciamo a disposizione della Commissione del materiale informativo; chiederei, quindi, al presidente se consente a me e al dottore Tropeano di svolgere due distinti interventi, pur osservando il limite di tempo convenuto.

PRESIDENTE. Sta bene, ma i tempi restano quelli indicati.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Farò una brevissima premessa, mentre il dottore Tropeano fornirà alcune indicazioni sull'esame dei dati.
Desideravo prospettare un'analisi delle cause - e so che l'espressione può scandalizzare - del largo insuccesso della legge n. 180 del 1978. Confesso il mio imbarazzo, costituendo, noi, una piccola associazione, di fronte alla SIP ed alle altre associazioni. Spero che la dimensione non rappresenti un handicap rispetto ai contenuti; si sa, del resto, che i cambiamenti avvengono, spesso, ad opera di minoranze che poi diventano maggioranze. Quindi, pur con tutto il dovuto rispetto, non voglio dare l'impressione di un'eccessiva insicurezza: la nostra piccola associazione vuole esprimere, infatti, il suo parere personale.
Vorrei innanzitutto che il dibattito ha assunto toni pirandelliani: l'onorevole Burani Procaccini ha presentato un testo criticato e criticabilissimo, ma ha dimostrato un notevole coraggio politico. Qualcuno ha paventato guerre di religione: purtroppo, la psichiatria è stata, e continua ad essere, oggetto di guerra di religione, ma nel senso esattamente opposto a quello indicato poc'anzi. Dopo vent'anni si sono evidenziate gravi carenze nell'assistenza, che non possano essere solo espressione di cattiva volontà di operatori ed amministratori, bensì la dimostrazione di difetti strutturali della normativa. Ogni accenno a modifiche della legge n. 180, che rappresenta un totem ed un tabù, scatena, di norma, reazioni viscerali e l'accusa di riscoprire il «manicomialismo». Dobbiamo considerare in modo laico la famosa legge n. 180 e metterla in discussione: se il quadro dell'assistenza oggi è largamente insufficiente rispetto ai bisogni, dobbiamo dire che essa deve essere modificata, non marginalmente, ma nella sostanza e la proposta di legge dell'onorevole Burani Procaccini ha questo senso.
Vi ringraziamo dell'opportunità che ci è stata offerta con l'invito odierno, che riteniamo molto utile ma, forse, un solo incontro non è sufficiente per tracciare un quadro completo.
Come chiariremo in seguito, la discussione sul progetto obiettivo non esaurisce minimamente la questione: se assumiamo il presupposto che il progetto obiettivo non ha funzionato, non tanto perché non è stato applicato, quanto perché è strutturalmente inadeguato dato che possiede un certo retroterra legislativo, il tema principale non è il progetto obiettivo ma la modifica della legge.

GIUSEPPE TROPEANO, Rappresentante di Nuova Psichiatria. Credo sia vero quanto affermato dal collega Inzerilli: stiamo discutendo di un tema assolutamente incandescente, poiché durante gli ultimi due anni, in cui la nostra giovane associazione ha incontrato tutte le associazioni di familiari, il punto nodale della discussione è stato sempre...

MAURA COSSUTTA. Siete operatori universitari o ospedalieri?

GIUSEPPE TROPEANO, Rappresentante di Nuova Psichiatria. Siamo essenzialmente medici ospedalieri, seppure docenti di scuola di specializzazione universitaria.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova Psichiatria. Vorrei capire il significato di questa domanda.

GIUSEPPE TROPEANO, Rappresentante di Nuova Psichiatria. La domanda dell'onorevole Cossutta è ispirata al giusto desiderio di conoscere meglio la connotazione dell'associazione. È assente oggi, purtroppo, il professor Lalli, primario di psichiatria universitario, il dottor Giovanni Inzerilli è l'ex direttore del dipartimento di salute mentale di Latina, da lui diretto per trent'anni, mentre io sono medico ospedaliero: sono dunque rappresentate tutte le agenzie psichiatriche.
Il punto nodale è il seguente: abbiamo o no, all'interno del progetto obiettivo del novembre 1999, uno strumento di legge sufficiente a creare una psichiatria dignitosa in Italia? Riguardo ciò si sono avuti scontri appassionati: è necessario capire, come accennava il dottor Inzerilli, se vi sono motivi contingenti (una mancata applicazione delle norme) oppure strutturali.
Vorrei svolgere alcune considerazioni riguardo i dati che il professor Munizza ha citato che mi sembrano importantissimi. I centri di salute mentale, in media, sul territorio nazionale sono in numero maggiore di quello previsto dallo standard del progetto obiettivo, così come le strutture residenziali: in provincia di Trento i
posti residenziali sono 841 per 10 mila abitanti, 8 volte superiori agli standard. Si tratta di un dato sconcertante, che indica che anche in una provincia dove notoriamente il progetto obiettivo (che, ripeto, è un'ottima e condivisibile dichiarazione di intenti) è stato realizzato, emerge dalla comunità il bisogno di strutture protette ben superiore a quello previsto.
Un altro dato importante è stato citato dal professor Munizza in relazione agli SPDG: manca circa un terzo dei posti letto previsti. La degenza ospedaliera psichiatrica rappresenta il punto più basso toccato dall'ospedalizzazione medica italiana: su circa 10 mila posti letto, il 45 per cento è gestito dalla struttura pubblica, il restante 45 per cento è gestito da 65 cliniche private. Questo enorme impatto dell'ospedalità privata - che non trova riscontro nelle altre specialità medico chirurgiche per le quali, se non sbaglio l'80-84 per cento delle strutture è pubblico, mentre il restante è privato - deve indurre alcune riflessioni.
La prima riguarda l'articolo 64 della legge n. 833 del 1978 (ex legge n. 180 dello stesso anno), che fa esplicito divieto di erogazione di assistenza psichiatrica alle cliniche convenzionate che, con una certa ipocrisia, sono state ridefinite cliniche neuropsichiatriche. Tralascio di sottolineare (è a conoscenza di tutti gli psichiatri, dei pazienti e dei loro familiari) la drammaticità della situazione della degenza ospedaliera: tre giorni fa il ministro della sanità ha citato gli ospedali italiani come luoghi che si avviano a essere evitati anche dagli zingari. Possiamo immaginare cosa siano i nostri servizi psichiatrici, dove zingari ed extracomunitari vengono senz'altro ricoverati e dove invece fasce diverse di pazienti, forse più fortunate o più sfortunate non trovano disponibilità.
Vorrei citare il problema dell'epidemiologia e della raccolta di dati, giustamente tenuto in grande considerazione dalla Sip, di cui mi onoro di far parte.
L'epidemiologia psichiatrica non si può basare sui dati di cronaca perché non porterebbe molto lontano. Ricordate le polemiche seguite all'affermazione dell'ex ministro Veronesi, nel febbraio 2001, riguardo il numero di dieci milioni di famiglie coinvolte nell'assistenza? È incerto il numero di nuovi casi, forse seimila, di esordio psichiatrico.
Da tutto ciò è agevole capire che nella raccolta di dati psichiatrici si sottostimi, forse, il problema; proprio in questi giorni, infatti, si parla di circa un milione di persone che ricorrono al famigerato sistema astrologia-maghi-guaritori televisivi. So, al riguardo, che il Parlamento, sia pure attraverso leve indirette, ha anche intenzione di arginare il fenomeno, perlomeno sugli schermi televisivi. Di questo milione di persone - lo sappiamo tutti, anche se si tratta di una evidenza non corroborata da dati precisi - molti sono affetti da veri disturbi, spesso neanche lievi.
Parlavo poc'anzi di gruppi più fortunati di psichiatri ma sappiamo tutti che, anche in alcune zone dove il progetto obiettivo viene applicato, i più abbienti preferiscono le cliniche psichiatriche; basti considerare l'incidenza di pazienti italiani nelle cliniche ubicate nelle zone di confine tra l'Italia e la Svizzera, nei pressi di Locarno e via dicendo. Non parlo, poi, di quei pazienti che conoscono il loro tragico momento di celebrità nelle trasmissioni televisive di «Chi l'ha visto».
Mi avvio a concludere ricordando, tra l'altro, professore Munizza, che la stessa società italiana di psichiatria, l'11 ottobre 2001, ha stigmatizzato, con un documento, le gravi inadempienze nell'attuazione del progetto obiettivo. Non starò a citarne parte del contenuto, del resto facilmente consultabile sul bollettino n. 2 del dicembre 2001.
Onorevole Burani Procaccini, come ho già avuto modo di esprimere in altre sedi, ritengo necessario, proprio nell'ambito di una futura prossima devolution regionale, varare una nuova legge-quadro, migliore dell'attuale che, dopo vent'anni, potrebbe, ormai, rivelarsi inadeguata; anch'io mi auguro, dunque, che nei prossimi incontri - in un futuro non lontanissimo - sia all'ordine del giorno la necessità di una nuova legge.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Sottrarrò ancora pochissimo tempo per completare il discorso del collega (Commenti). L'ho detto in premessa: non vogliamo approfittare della pazienza dei presenti. Si è convenuto di intervenire per venti minuti ed io mi sono largamente tenuto al di sotto di tale limite. Non accetto siffatte rimostranze dai convenuti: in questa sede, è il presidente che decide.

MAURA COSSUTTA. Si era convenuto che parlasse un solo rappresentante per associazione.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Non capisco perché, quando si leva qualche voce dissenziente dall'andazzo generale, poi debba succedere tutto ciò; è un atteggiamento assai significativo, che, oltretutto, fa perdere tempo.

PRESIDENTE. La prego di continuare la sua esposizione.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Il progetto obiettivo è stato attuato molto parzialmente; non poteva essere diversamente, per due motivi fondamentali. Anzitutto, esso non aveva forza normativa e, quindi, era affidato alla buona volontà degli amministratori; in secondo luogo, non aveva copertura finanziaria (Commenti).

PRESIDENTE. Colleghi, lasciamo concludere al dottor Inzerilli la sua esposizione. Poi, vi sarà lo spazio per aprire un dibattito al riguardo, con le vostre domande e le relative eventuali repliche.

GIOVANNI INZERILLI, Rappresentante di Nuova psichiatria. Mi compiaccio, presidente, che le mie parole suscitino tali reazioni: si vede che toccano punti dolenti.
Il progetto obiettivo non aveva copertura finanziaria, tant'è che i direttori generali cercano di trovare residui da destinare alla psichiatria ma, al di là di ciò, quand'anche vi fossero state le risorse e si fosse trattato di disposizioni vincolanti, quel progetto non poteva partorire servizi adeguati ai bisogni dell'utenza, perché nelle maglie la legge impedisce, con clausole più negative che positive, il decollo di modelli di servizio corrispondenti anche ai più semplici bisogni dei pazienti. Non mi dilungo sui vari punti illustrati nelle proposte allegate alla documentazione consegnata. Vorrei semplicemente sottolineare due aspetti dai quali si evince la contraddittorietà della normativa recata dalla legge n. 180 del 1978, poi confermata dalla legge n. 833 dello stesso anno. Si è fatto un gran baccano a proposito dell'obiettivo di equiparare all'assistenza prevista per tutti gli altri pazienti quella disposta per i malati mentali. Ebbene, aspetto ancora che qualcuno mi spieghi perché, alla psichiatria, sia vietato realizzare, negli ospedali generali, divisioni psichiatriche secondo la stessa normativa e le stesse modalità valide per gli altri settori. Ci troviamo, credo, in presenza di una nuova discriminazione; se, però, non vi fossero state tali limitazioni, la situazione, oggi, sarebbe ben diversa.
Un altro aspetto abbastanza kafkiano della situazione risiede nella circostanza che il progetto obiettivo non spenda una parola sulle case di cura neuropsichiatriche; quindi, per esso, non esistono quando, invece, sappiamo che coprono, come ha detto il dottore Tropeano, più del 50 per cento della degenza.
Ricordo, inoltre, che per le case di cura non è previsto alcun limite massimo di posti letto anche se sappiamo benissimo che la media oscilla tra i 60 ed i 120 posti. Ci si straccia la vesti, ma nessuno si azzarda ad infrangere il tabù dei famosi 20 posti letto, limite, invece, sussistente per altre strutture. A tale proposito, si deve riconoscerlo, «si stanno dando i numeri»: da dove è nato il limite di 20? Da quali esigenze tecniche? Le case di cura possono tranquillamente operare con 60, 100, 150 posti letti mentre, invece, le strutture alternative legali pubbliche ne possono avere al massimo venti. Sono aspetti sconcertanti che, chiaramente, nascono direttamente da una certa impostazione e, dobbiamo dire, anche ideologica della legge. Quindi, per questo motivo, ci siamo permessi - anche se non siamo né parlamentari né un'associazione dai grandi numeri - di elaborare anche noi una proposta di modifica.

ERNESTO MUGGIA, Presidente di UNASAM. Anzitutto, desidero consegnare alla presidenza una relazione sui temi oggetto dell'audizione.
Ringrazio la Commissione di averci voluto ascoltare; senza spirito polemico alcuno, porgo un ringraziamento particolare all'onorevole Burani Procaccini per avere destato l'attenzione del paese sulla questione della salute mentale. Come leggerete nella nostra relazione, l'UNASAM è, in qualche modo, associata ecertamente in totale accordo con l'associazione DIAPSI.GRA, qui rappresentata dalla dottoressa Lugli Andretta. Abbiamo ritenuto utile unire i nostri sforzi per rappresentare la voce delle famiglie nel modo più ampio possibile, essendo le nostre due associazioni le maggiori del paese.
Detto ciò, vorrei chiarire che, se avessi conosciuto il testo della relazione del dottore Munizza, probabilmente il mio discorso sarebbe stato ancora più breve perché mi trovo in totale accordo con quanto da lui affermato. Non ho riscontrato, invece, la stessa sintonia rispetto agli interventi successivi.
Mi limiterò a scorrere brevemente la relazione, quella - come ho gia detto - testè consegnata alla presidenza della Commissione; invero, troppo lunga per poterla leggere integralmente, ma spero che verrà considerata con la dovuta attenzione.
Dopo la presentazione delle nostre associazioni, vogliamo attirare la vostra attenzione sulla apartiticità delle famiglie che rappresentiamo e sulla modalità con cui da sempre le rappresentiamo. Nutriamo il massimo rispetto dei partiti politici e della loro attività, ma ci confrontiamo con le istituzioni e quindi accogliamo famiglie a cui non chiediamo nessuna tessera.
Sorvolo sulla sintesi che abbiamo prodotto riguardo il nostro impegno operativo, fino alla conferenza nazionale, cui abbiamo fornito un importante contributo realizzativo.
Riconosciamo la necessità di un intervento diffuso riguardo alcuni capitoli importanti: la presa in carico di giovani che rifiutano la propria condizione di malato e la revisione in termini di regolamento, senza la necessità di una nuova legge, delle procedure di trattamento sanitario obbligatorio, che preferiamo pensare preceduto da un accertamento sanitario obbligatorio con relativo invito alle famiglie e al paziente ad accedere ai servizi in modo volontario, senza escludere, in caso di necessità, un intervento obbligatorio. In sostanza, riconosciamo il bisogno diffuso di un intervento, dovuto anche ai tempi esigui con cui si sta dispiegando, come diceva il dottor Munizza, la riforma sanitaria nell'intero territorio del paese: non siamo molto d'accordo sull'impianto delle proposte che abbiamo potuto esaminare; siamo, ovviamente, disponibili ad ogni collaborazione.
Illustrerò brevemente il capitolo più importante della nostra relazione, che riguarda le proposte. Questo ventennio non è passato invano; il superamento degli ospedali psichiatrici, salvo qualche residua resistenza, si è concluso. Si è realizzato lo sviluppo di un associazionismo consapevole e partecipe che costituisce un elemento importante per il buon funzionamento delle strutture e, in genere, per il miglioramento della qualità della vita del paziente e di sostegno alle loro famiglie. La nostra presenza oggi ne è testimonianza e prova: venti anni fa non sarebbe stata pensabile.
In varie località sono stati costituiti centri diurni, dove sono state effettuate esperienze originali e significative in tanti settori di attività. Laboratori per la formulazione di progetti, personalizzati o di gruppo, di natura sanitaria, sociale, culturale, con un fiorire di iniziative, le più diverse e rilevanti con risultati tangibili nell'avviamento al lavoro, nella realizzazione di interventi di imprenditorialità. Purtroppo, questi esempi sono ancora scarsi rispetto ai parametri stabiliti nel progetto obiettivo nazionale.
Sono sorte comunità terapeutiche riabilitative nell'ambito pubblico e privato, anche se poche rispetto ai parametri indicati nei progetti obiettivo, e non uniformemente diffuse sul territorio nazionale, in alcune delle quali il livello qualitativo raggiunto è pienamente soddisfacente, anche in riferimento ai risultati conseguiti.
È facile contestare i numeri citati in precedenza perché, ovviamente, il bisogno di posti letto è infinito se non si esercita la psichiatria sul territorio: il problema è che la psichiatria moderna non prevede di mantenere i pazienti a letto: la misura fondamentale da attuare è la cancellazione dei posti letto, riducendoli agli standard indicati. La psichiatria comunitaria prevede che le persone stiano in piedi, rientrino nella comunità, trovino un lavoro e venga combattuto lo stigma: la persona sofferente di disturbi mentali è uguale alle altre; terminata la crisi, auspicabilmente, tornerà dalla sua famiglia ed alla sua attività. Non bisogna polemizzare sul numero di posti letto; è chiaro che in una clinica dove ci sono 50 o 100 posti letto non si esercita psichiatria comunitaria ma psichiatria di intrattenimento: questo ci vede assolutamente contrari, perché abbiamo a cuore un progetto terapeutico individuale, di riabilitazione e reinserimento sociale. I nostri figli e i nostri fratelli stanno meglio perché li abbiamo seguiti, con o senza l'aiuto della psichiatria territoriale che, quando è presente, lavora bene ed è la nostra più fraterna compagna di strada e quando manca o lavora male sarà sempre da noi sollecitata e spinta per operare meglio: come potrà confermare la dottoressa Lugli Andretta, questo è il senso del nostro impegno.
In maniera incontrovertibile, la legge di riforma non costituisce ostacolo al perseguimento di buona qualità e conseguimento di risultati positivi, mentre è la sua inapplicazione o distorsione a determinare insoddisfazione e proteste, danni e sofferenze che, purtroppo, restano impuniti in mancanza di strumenti di vigilanza e sanzionatori. Nessuna legge può essere ben applicata in assenza di finanziamenti e se non si interviene a sanzionare chi non la applica.
Sono intervenuti strumenti terapeutici nuovi di riconosciuta efficacia nel settore farmacologico, che devono essere introdotti e diffusi nella terapia delle malattie mentali effettuata nelle varie strutture. Ci associamo nel sottolineare le difficoltà esposte da chi ci ha preceduto nella diffusione di farmaci di seconda generazione: tutti noi abbiamo potuto osservare il disastro che producono fiumi di Serenase, che oggi non è più necessario se non per malintese economie.
Questo non deve più succedere perché esistono medicinali più potenti e meno dannosi: se il paziente non ha tremiti o altre conseguenze negative, è molto più disponibile ad assumere i farmaci.
Non vi è dubbio che a sollecitare e determinare certi risultati abbiano concorso, laddove attuate, le linee guida indicate nei progetti obbiettivo 1994-1996 e 1998- 2000 e su quest'ultimo, invitiamo a compiere alcune riflessioni. Si è trattato di un progetto elaborato nel corso di oltre due anni, presso l'osservatorio istituito dal Ministro della sanità, con la partecipazione più rappresentativa ed ampia che si potesse immaginare: Istituto superiore di sanità, conferenza Stato-regioni, organismi scientifici autorevoli, associazioni nazionali di diverse tendenze, esperti, associazioni di familiari e volontariato.
Due anni di lavoro, cinque diverse elaborazioni ed infine il decreto del Presidente della Repubblica n. 174 del 10 novembre 1999. Qualcuno dice che esso non ha valore di legge: pregherei qualche giurista di dimostrare il contrario.
Purtroppo, anche questo progetto obiettivo non ha prodotto i risultati annunciati ed attesi; le ragioni principali sono ascrivibili al fatto che, pur essendo il progetto nazionale strumento di grande valore tecnico e normativo, mancava di due elementi fondamentali per essere vitale: una norma vincolante e disposizioni in ordine al finanziamento. In altri termini è come se la Ferrari è perfetta, ma manca il carburante per partire.
Le nostre associazioni chiedono che il lavoro, le esperienze, le realizzazioni del passato non vadano disperse: dalla conferenza nazionale, dall'Alto Adige alla Sicilia, abbiamo visto esempi di cose ben fatte. Chiediamo che le conclusioni cui è giunta la prima conferenza nazionale per la salute mentale trovino attuazione (purtroppo, il cambio di legislatura ne ha interrotto alcune) e che il progetto obiettivo 1998-2000 venga integrato nella parte carente ed inadeguata rispetto a particolari esigenze: ad esempio, modi e siti per effettuare il trattamento sanitario obbligatorio (che siamo disponibili a rivedere dopo vent'anni), presa in carico di pazienti cosiddetti non collaborativi, provvedimenti necessari per rispondere alle esigenze del «dopo di noi». Quanti genitori sono angosciati da quanto succederà dopo!
Il citato progetto obiettivo andrebbe anche integrato attraverso la previsione della copertura assicurativa dei rischi per disturbi di salute mentale, copertura che nessuna assicurazione, oggi, è in grado di offrire. Si dovrà stabilire, però, con precisione un termine iniziale di decorrenza che consenta un aggancio alla prossima legge finanziaria per quanto attiene al finanziamento.
A tutti questi fini, sarebbe opportuno provvedere alla costituzione, o ricostituzione, dell'osservatorio presso il Ministero della sanità - purchè ridotto all'essenziale quanto a numero di componenti, altrimenti, se pletorico, non può servire ad alcunchè -, in metodica e consensuale intesa con la conferenza Stato-regioni al fine di evitare possibili dualismi e rischi di dissensi con le regioni medesime. Oramai, il federalismo è andato talmente avanti che sarebbe assurdo proseguire l'iter di un progetto di legge statale se poi tale impegno venga vanificato dalle regioni. Queste ultime si confronteranno sul tema il prossimo 6 febbraio e presumo che sosterranno argomenti analoghi.
L'autonomia regionale, ormai, è sancita dalla legge di riforma del titolo V della Costituzione e dal referendum confermativo. Il termine dovrebbe essere contenuto entro sei mesi; andrebbe riconsiderata la misura dell'intervento finanziario, originariamente indicata almeno nel 5 per cento del finanziamento regionale; come diceva il dottor Munizza, andrebbe commisurata, sempre in sede regionale, ai programmi per la salute mentale specifici delle singole aziende. Si deve dare vita, soddisfacendo un'esigenza già emersa in sede di conferenza nazionale, ad organismi intergovernativi o, in sede regionale, interassessoriali, al fine di concordare gli interventi su temi complessi - ad esempio, prevenzione, informazione, lavoro, sostegno alle famiglie - e realizzare l'indispensabile integrazione socio-sanitaria coinvolgendo nel merito gli enti locali.
Non abbiamo citato, per carità di patria, l'esempio degli ospedali psichiatrici giudiziari; al riguardo, in tale ambito, nonostante l'urgenza assoluta, sappiamo benissimo che occorrerà ancora molto lavoro.
Bisogna sviluppare la partecipazione democratica degli organismi sociali cooperanti e, in particolare, la consulta dipartimentale; in ogni dipartimento di salute mentale si dovrebbe istituire una consulta. Questa, già presente in alcune regioni, andrebbe estesa in campo nazionale per contribuire al raggiungimento delle finalità indicate nel progetto obiettivo, con particolare riguardo alla programmazione; infatti, come si può provvedere se non si stabiliscono neanche i programmi?
A livello regionale centrale, poi, dovrebbero costantemente essere svolte attività di monitoraggio della spesa, del numero e della tipologia di prestazioni e della loro qualità; altrimenti, non si può conoscere quanto avviene nel paese. In questo senso il lavoro della SIP è molto avanzato, ma non è ancora sufficiente.
Nel frattempo, per l'anno corrente, nelle more dell'accoglimento della nostra richiesta o dei suggerimenti che interverranno per consentire al Parlamento di effettuare le sue scelte finali - e al fine di evitare il blocco delle attività in corso o da assumere da parte delle aziende sanitarie locali, incerte sul da farsi ed in attesa delle novità -, dovrebbe essere confermata la validità dell'attuale progetto obiettivo e delle determinazioni importantissime della conferenza Stato-regioni del 18 gennaio 2001.
Confidiamo ed auspichiamo che il Parlamento, nella sua saggezza, operi le scelte più opportune e si faccia promotore di una politica per la salute mentale che stia a cuore non solo ai diretti interessati ed alle loro famiglie, ma a tutta la società italiana perché la cultura di una società si misura da come tratta i suoi malati e non da altro.
Per concludere, le associazioni chiedono di essere riconvocate su temi più specifici - TSO, assicurazioni e via dicendo - prima che si provveda a qualsiasi iter di modificazione dell'attuale legislazione. L'esperienza vissuta in prima persona in questi anni ci autorizza e ci impegna a proporci quali interlocutori ineludibili. Ho così sintetizzato il documento consegnato alla presidenza che è firmato dalla dottoressa Lugli Andretta per l'associazione DIAPSI.GRA e da me medesimo in rappresentanza dell'UNASAM.

ANNA ROSA LUGLI ANDRETTA, Presidente nazionale di DIAPSI.GRA. Signor presidente, vorrei far notare che - rappresentando le due associazioni, insieme, un grande numero di malati e di familiari - abbiamo voluto dare alla Commissione la possibilità di esaminare un documento comune ma, come presidente nazionale di DIAPSI.GRA, non ritengo che la lettura che l'ingegnere Muggia ne ha dato rappresenti anche il mio intervento personale. Dunque, vorrei, senza peraltro, voler diminuire il valore del documento comune, rivendicare uno spazio di autonomia della mia associazione.

PRESIDENTE. Quando successivamente interverrà, nessuno le vieterà di sviluppare le sue osservazioni al riguardo.

ANNA ROSA LUGLI ANDRETTA, Presidente nazionale di DIAPSI.GRA. Presidente, potrebbe essere opportuno consentirmi di intervenire subito.

PRESIDENTE. Le darò senz'altro la parola non appena sarà intervenuta la dottoressa Gozzellino.

GRAZIA GOZZELLINO, Rappresentante di DIAPSI. Signor presidente, onorevoli deputati, la DIAPSI è un'associazione di familiari di malati psichici e di volontari, nata nel 1988 a Torino. È presente in tutto il Piemonte ed in Valle d'Aosta con sedi specifiche e sul resto del territorio italiano attraverso il sito www.sospsiche.it che ha dei referenti in ogni regione.
Per quanto riguarda l'assistenza psichiatrica in Piemonte, secondo la nostra opinione, la legislazione attuale è carente, perché non prevede responsabilità precise, oggettive nonchè sanzioni per gli inadempienti, tant'è che il progetto obiettivo non è stato mai attuato completamente; inoltre, mancano le risorse non essendoci la copertura finanziaria.
È prevalso - e prevale oggi, più che in passato - il disinteresse ed il disimpegno per il funzionamento dei servizi pubblici psichiatrici, abbandonati a loro stessi secondo la filosofia del lasciar fare. Quest'ultima può, invero, così riassumersi: non ti do quello che mi chiedi e di cui hai bisogno ma in compenso non ti controllo; quindi, tacitamente, ti lascio fare quello che vuoi. Di conseguenza, anche gli operatori psichiatrici più solerti possono trovarsi nella condizione di dover fronteggiare difficoltà e rallentamenti sul piano operativo che si ripercuotono, ovviamente, e loro malgrado, sui malati. Il risultato della disfunzione del sistema viene sopportato dalle famiglie che, non aiutate, si ritrovano sulle spalle pesi assolutamente insostenibili.
Per quanto riguarda i centri di salute mentale - che sono, o almeno dovrebbero essere, il fulcro e la struttura portante dell'assistenza psichiatrica -, essi non si attivano facendosi carico dei problemi psichiatrici della popolazione assistita. Per dare un'idea e per delineare tale servizio, ne richiamo alcune caratteristiche: il servizio, nella maggior parte dei casi, almeno per quanto riguarda il Piemonte, è aperto dalle 9 alle 17, dal giovedì al venerdì con chiusura il sabato e la domenica; le visite domiciliari sono assicurate dai medici solo in casi eccezionali.
La routine del servizio si basa su un bacino di utenza costituito per lo più da pazienti cronici che richiedono ormai spontaneamente l'aiuto del servizio, mentre perdura un atteggiamento di attesa passiva nei confronti di malati non collaborativi e di casi che vengono segnalati ma non presi in carico; il suddetto centro non collabora come dovrebbe con gli altri servizi all'interno dello stesso dipartimento e con i servizi socio-sanitari del territorio, tendendo a formare un circuito chiuso (non mi sto riferendo alla totalità dei casi).
Il centro diurno costituisce il punto più dolente del sistema assistenziale, in quanto manca, prima di tutto negli operatori, la preparazione professionale per accompagnare il malato nel difficile e lungo percorso riabilitativo e di reinserimento sociale, mediante la condivisione dei suoi problemi, cioè della sua quotidianità. Esso è frequentato da chi ha la determinazione di andarvi: spesso non esistono attività programmate efficienti, congrue e durature, per le varie tipologie di pazienti; è carente lo spirito di accoglienza, non si fa distinzione tra paziente giovane ed anziano, tra patologie lievi e gravi, tra malati acuti e cronici.
Tende, quindi, a formarsi un circuito chiuso che non è sufficientemente coordinato con gli altri servizi: per tutte queste considerazioni i malati rimangono nelle loro case oppure vagano nel territorio.
Gli SPDC ed i posti letto in Piemonte sono sufficienti; tuttavia, si rilevano parecchie disfunzioni: i locali, salvo lodevoli eccezioni, non sono adatti a garantire la privacy del paziente e sotto molti aspetti non sono a norma. I posti sono occupati per il 50 per cento da malati cronici, che non avrebbero bisogno di ricovero ospedaliero - ricoveri impropri con alti costi - ma di una collocazione residenziale diversa; essi accolgono una popolazione abitudinaria e stabilizzata di malati che vanno dalla famiglia all'ospedale e viceversa. I posti letto sono sempre occupati ed i casi acuti non ricevono il ricovero, di cui hanno reale necessità. A volte accade che i malati sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio durante il sabato e la domenica finiscano fuori provincia (non succede di rado) o addirittura fuori regione (raramente).
Per quanto riguarda le strutture residenziali, sono presenti nella nostra regione diverse strutture con un numero sufficiente di posti letto, ma è difficile accedervi per gli elevati costi che le Asl non intendono, ed ora non possono, sostenere. Si tratta per il 50 per cento di strutture private che in questi anni hanno sopperito alla mancanza di quelle pubbliche e che mirano, come è ovvio, a raggiungere obiettivi di lucro (il privato non offre prestazioni gratuite); non sempre ricevono il controllo dal pubblico servizio inviante previsto dalla legge, controllo che di solito non è gradito da chi non offre una qualità adeguata alla normativa vigente.
Purtroppo, ancora oggi, molti malati vivono in queste strutture in una situazione di parcheggio, senza un progetto personale verificato nelle tappe intermedie di rischio e, non avendo possibilità di difendersi, sono alla mercè del personale della struttura in un sistema chiuso. Episodi drammatici come quelli di San Gregorio
Magno di Napoli potrebbero verificarsi, non solo in Piemonte.
Per migliorare una situazione che potremmo definire pericolosa, la nostra associazione, insieme ad altre 30 associazioni ed organismi operanti in ambito psichiatrico, ha elaborato un documento che illustra 18 punti di fondamentale importanza per la discussione parlamentare sui progetti di riforma della legge n.
180 del 1978, che consegno ai membri della Commissione.
Vorrei illustrare i punti di maggiore rilevanza: in primo luogo la malattia mentale deve rimanere di competenza sanitaria ed i finanziamenti destinati alla psichiatria devono essere aumentati fino a raggiungere il livello dei paesi europei più evoluti (10-11 per cento del fondo sanitario nazionale); la ricerca deve essere finanziata con budget diversi da quelli destinati alla psichiatria.
Si ribadisce il diritto alle cure per tutti i malati psichici, con particolare attenzione per quelli consapevoli e non collaboranti i quali, se non curati, rischiano di cronicizzare la malattia.
Esiste la ferma necessità della presa in carico del DSM. La visita domiciliare dello psichiatra deve essere richiesta, oltre che dal malato, anche da un familiare e deve essere esperita entro le ventiquattro ore, come accade con il medico di base: perché per lo psichiatra questo vincolo non esiste?
Il malato ed il tutore hanno diritto di scegliere liberamente il medico.
Bisognerà definire con attenzione il tema delicato del ricovero e del trattamento sanitario obbligatorio, che non può essere esaurito elencando quattro punti.
Chiediamo che i servizi psichiatrici di diagnosi e cura assumano il ruolo di pronto soccorso psichiatrico presso l'ospedale generale, sede del DEA, che risponda a tutte le emergenze anche mediante interventi domiciliari urgenti per i casi di crisi acute, accogliendo il paziente volontario o sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio per un breve tempo (ad esempio 72 ore), per poi trasferirlo in una struttura d'osservazione. Queste persone vengono ora trattenute sedate per sette giorni, per poi fare ritorno a casa, senza aver capito nulla; il paziente, invece, potrebbe essere trattenuto nel momento della fase acuta, trasferito in una struttura dove indagare la natura del problema, per poi stabilire la cura adeguata, destinarlo ad una comunità oppure ritornare in famiglia. Crediamo che sia troppo breve la permanenza di sette giorni in una SPDC.
Per quanto riguarda le strutture residenziali, chiediamo la formazione obbligatoria degli operatori con un budget vincolato: le cooperative predispongono insufficienti corsi di formazione per gli addetti, molti dei quali scelgono questa attività - che dovrebbe essere considerato quasi una missione - per sfuggire alla disoccupazione.
Non è mai stato attivato un piano di prevenzione, che è invece indispensabile perché la malattia mentale può essere conosciuta all'esterno solo attraverso il mezzo televisivo; sappiamo che quando uno psichiatra cerca una sistemazione per i malati mentali in un comune condominio, le persone che vi abitano hanno paura di essere uccisi. Bisogna perciò fare informazione e prevenzione, in modo che si sappia che se il malato sarà curato non assumerà determinati comportamenti.
Proponiamo il monitoraggio e le sanzioni: si deve operare un controllo sull'effettiva attuazione dei servizi. Non crediamo corretto un controllo effettuato solo dalla Asl, dal medico inviante, oppure da un Asl rispetto ad un'altra, in modo autoreferenziale; bisogna inoltre prevedere sanzioni per le inadempienze, che devono essere erogate solo per gravi motivi. Crediamo importante l'inserimento lavorativo, anche se non è possibile per tutti i malati. Per le famiglie conviventi o con un membro malato, si devono prevedere supporti psicologici, psicoeducazionali, antistress e sussidi finanziari.
Se il malato convivente non collabora, si rende necessario un costante sostegno infermieristico, anche perché, in genere, sussiste un conflitto tra il familiare ed il malato; se non subentra un supporto psicologico che lo sani, diventando impossibile la convivenza, si rendono necessarie un'abitazione separata dalla famiglia e la presenza di un infermiere che somministri le medicine.
Ma dovrei anche ricordare l'iniziativa «Dopo di noi», una consultazione obbligatoria per definire programmi adeguati sul territorio, un osservatorio epidemiologico.
Cosa si è fatto, ad esempio, delle aree e degli edifici degli ex ospedali psichiatrici? Se si sono venduti, dove è finito il ricavato? Occorre, al riguardo, più chiarezza.
Auspichiamo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari perché si devono prevedere strutture alternative, con finanziamenti aggiuntivi. Inoltre, ribadiamo la necessità di prevedere sanzioni penali per i direttori generali delle ASL ed i direttori dei DSM inadempienti. Oggi sembra quasi di assistere ad una partita di tennis con il rimbalzo delle responsabilità, ma deve potersi individuare un responsabile.
ANNA ROSA LUGLI ANDRETTA, Presidente nazionale di DIAPSI.GRA. Ringrazio anzitutto la Commissione e, in particolare, il presidente per non avere, per così dire, ceduto alla mia piccola intemperanza dandomi subito la parola; sono contenta di intervenire dopo che tanti colleghi, e da diverse angolature, hanno esposto la situazione.
Non è un caso se la mia associazione abbia scelto di chiamarsi «Difesa ammalati psichici gravi»: noi difendiamo chiunque sia debole, vittima di dogmi o santoni.
La DIAPSI.GRA, nata nel 1981, è stata la prima associazione a difesa di malati psichici e, conseguentemente, delle loro famiglie. L'ho sempre definita - del resto la considero tale ancora oggi, dopo tanti anni - un'associazione apartitica; oggi, però, non la qualifico più apolitica in quanto penso che l'attività da me svolta in tutto questo tempo rappresenti una politica sanitaria che nasce e si esprime dal sociale: nel 1984, infatti, ero già componente di una commissione ministeriale.
L'area della salute di cui ci occupiamo esprime, invero, la generalità dei bisogni dell'uomo; attraverso la mia esperienza - che ho arricchito ancora di più occupandomi di una comunità terapeutica riabilitativa - sono giunta, oggi, a potere valutare (sia pure, non essendo una psichiatra, indirettamente) i possibili esiti di interventi terapeutici e devo dire che si ottengono esiti migliori soprattutto quando si lavora veramente con elevata capacità professionale. Essendomi presa in carico i casi più disperati, rifiutati dal territorio, posso benissimo dimostrarvi e documentarvi quali siano stati i risultati quando la professionalità si è davvero espressa nel rispetto della dignità dell'uomo, nel rispetto del malato nonchè nel riconoscimento, per la riabilitazione, dell'importanza dell'abbattimento dei costi.
Non voglio fare propaganda né alla mia persona, né alla mia iniziativa, né, tanto meno, alla mia associazione, anche se essa la meriterebbe tutta. Voglio parlare piuttosto, con brevi ma incisive parole, della necessità di una seria considerazione della domanda, dei costi e dei benefici. Tali aspetti, non difficili da comprendere nella loro inportanza, sono suscettibili di essere facilmente affrontati con studi di fattibilità. Ciò significa che con semplici interventi legislativi, per quanto caratterizzati da un elevata qualità della stesura, non si risolverà mai niente; anzi, si potrebbe aumentare la contrapposizione tra sostenitori di opposte tesi. Riterrei più produttivo se ci si occupasse di finanziamenti, che non devono essere faraonici e, tuttavia, dovrebbero essere adeguati a schiudere la possibilità di seguire percorsi di fattibilità. Naturalmente, come diceva bene il dottore Munizza, tali finanziamenti debbono essere calibrati sulla base di una valutazione dei vari livelli di assistenza e delle diverse situazioni sociali presenti nelle nostre regioni. Credo che ottemperare a tutto ciò costituisca il primo dovere per un Parlamento e per questa Commissione, in modo che i cittadini possano veramente ritenere che sussista la volontà politica di provvedere e non soltanto l'enunciazione di intenzioni tesa a quietare gli animi di chi soffre da 23 anni.
I finanziamenti completeranno le strutture mancanti solo se seguiranno ad una valutazione e ad una quantificazione seria, basata sulla verifica del numero ed anche della «qualità» delle strutture: la qualità impone dei costi, ma ha anche un ritorno.
Constato che le espressioni, le esternazioni e le proposte avanzate dalle associazioni di familiari vanno tutte nella stessa direzione, accomunate, forse, dalla stessa origine, una sofferenza, lunga 23 anni, per un peso familiare per il quale si sono trovate soluzioni solo molto relative. Quindi non posso dissociarmi da quanto è stato già detto dai componenti di tali associazioni; anzi, trattando l'argomento con un taglio differente, vorrei confortarli e aggiungerei anche che sono assolutamente cosciente del fatto che si debbano rafforzare le richieste del cittadino.
Tutti gli altri temi illustrati rientrano pure essi nel capitolo «qualità». Mi riferisco, ad esempio, alla formazione seria del personale, non improvvisata, una formazione di qualità. A tale proposito chiamo in causa la responsabilità degli istituti universitari che tale formazione non l'hanno mai impartita. Lo dico con forza, perché la mia valenza professionale mi consente una valutazione di questo genere: bisogna occuparsi maggiormente degli aspetti di formazione e di prevenzione, argomenti sottovalutati, che pochi conoscono, così come il problema della riabilitazione.
Auspico un atto politico che avrebbe un grande significato: una campagna contro lo stigma. Se lasceremo il malato di mente (che come tutti gli altri ha bisogno di un contatto sociale) prigioniero di un'etichetta che lo descrive come tale, nessuna struttura e nessuna professionalità riuscirà a cambiare la situazione.

CARLO VOLPI, Vicepresidente dell'UNASAM. Desidero ringraziare l'onorevole Burani Procaccini, con la quale ho già avuto un incontro, e darle atto di aver evidenziato un problema che negli ultimi anni era quasi tenuto nascosto.
Dissento con grande lealtà non dagli obiettivi, ma dal metodo della proposta di legge; non comprendo come si possa pensare ed agire quasi che in questi 20 anni non fosse accaduto nulla; siamo rispettosi dei partiti e delle loro funzioni, ma non possiamo che rivolgerci alle istituzioni, agli enti locali e al Parlamento.
Presidente, per due anni abbiamo atteso che l'osservatorio desse vita al progetto obiettivo tenuto nascosto; dopo cinque diverse edizioni è stato aggiunto il 5 per cento, una percentuale prima tolta e poi ripristinata, creando un grande senso di disagio ed una protesta: circa 70-80 province aspettano risposte democratiche a questa richiesta. Abbiamo detto ai cittadini di aspettare, perché esistevano problemi, ma il progetto obiettivo avrebbe indicato la soluzione ed il modo in cui finanziarla. Abbiamo affrontato assemblee e proteste chiedendo fiducia nello Stato e nella politica; abbiamo partecipato ad una grande manifestazione a Roma, il 17 novembre del 1999, dove 1.200 persone urlavano questo slogan: chi ha visto il progetto obiettivo? Esso, infatti, era scomparso e non se ne parlava più.
Dobbiamo riporre fiducia nelle istituzioni (in un osservatorio cui partecipano eminenti personalità), nell'Istituto superiore di sanità, nei «baroni», nei tecnici. I rappresentanti delle associazioni, infima minoranza dell'assemblea, hanno chiesto di stabilire regole per le regioni, una linea, una forza: abbiamo preteso che I contenuti del progetto venissero trasfusi in un decreto del Presidente della Repubblica: ora se ne contesta la validità.
Signor presidente, si chiede rispetto per le istituzioni? Allora non si possono deludere i cittadini; il progetto è un documento importante, certamente emendabile: propongo, con grande spirito di collaborazione, di discuterne insieme per rispondere ad alcune esigenze e correggere alcuni errori. Sappiamo che vi sono carenze, ma non possiamo cancellare il passato. Nella psichiatria vi sono tre grandi categorie: gli agnostici, a cui non importa nulla, i distruttori, che protestano contro tutto, i costruttori, come voi.
Abbiamo detto cose diverse, ponendo al centro con un solo obiettivo: l'ammalato e le famiglie. Le risposte alle sofferenze non hanno colore politico e se il Parlamento vuole essere credibile deve dare risposte obiettive.
Onorevole Burani Procaccini, sono rammaricato (ma senza malevolenza) per il fatto che alla richiesta delle famiglie in merito al 5 per cento si sia risposto, in sede di approvazione della legge finanziaria con 198 voti favorevoli e 248 contrari: capiamo il momento difficile, ma vorrei chiedere di riconsiderare tale posizione, perché senza risorse non si curano i malati.
Vorrei sottolineare alcune questioni da sottoporre all'esame dei membri della Commissione: non credo sia opportuno riscrivere la legge n. 180 del 1978; l'osservatorio dovrebbe riunirsi, raccogliendo le istanze tecniche, lasciando libertà alle equipe di stabilire la cura ed i tempi ad essa necessari. È indispensabile stabilire una programmazione per i finanziamenti, alla quale i familiari rivendicano il diritto di partecipare. Ogni regione ed ogni ente locale presenta problemi specifici: ad esempio a Roma abbiamo aperto 27 centri diurni attraverso l'ente locale. Presidente, la invito a visitarli: difficilmente distinguerà il paziente dal tecnico.
Rivolgo un invito a non polemizzare, ma a raggiungere concordemente gli obiettivi con una buona politica in grado di rispondere all'urgenza dei problemi. Molti di noi hanno vissuto il dramma tremendo della solitudine tra il 1978 ed il 1980: questa donna, la dottoressa Anna Rosa Lugli Andretta, ha svolto un ruolo che nessuno le può negare, coraggiosamente, da sola. In questo spirito, ripeto, dobbiamo lavorare insieme, senza polemiche, per dare risposte ai bisogni dei malati di mente e delle famiglie.

GIROLAMO DI GILIO, Rappresentante dell'UNASAM. Sono presidente dell'associazione regionale per la salute mentale del Lazio, che aderisce all'UNASAM.
Desidero intervenire perché la nostra associazione è una delle più rappresentative ed importanti nel territorio nazionale, anche se mi riconosco nella relazione che è stata svolta dal dottor Muggia.
Tengo a menzionare alcuni dati che non sono stati ricordati - scientemente o per dimenticanza - nelle pur molto documentate relazioni testè ascoltate, tra le quail particolarmente condivido quella esposta dal professore Munizza, che anzi ringrazio, per averci voluto dare un contributo di scienza oltre che di medicina. Il 70 per cento dei pazienti affetti da malattie mentali, grazie agli strumenti terapeutici oggi disponibili, può guarire o migliorare sensibilmente, tanto da poter essere reinserito nella vita sociale e lavorativa: è un dato che va tenuto presente. Sono cruciale, a tale fine, la precocità della diagnosi e l'immediato trattamento terapeutico devono seguire all'esordio stesso della malattia. Ciò presuppone servizi territoriali che prendano in carico il paziente in maniera efficace e immediata, mettendo in atto tutti i provvedimenti terapeutici. Per tale via, si conseguirebbe un notevole risparmio, evitando, ad esempio, numerosi ricoveri; va, peraltro, aggiunto, al riguardo, che, se è vero che il ricovero ha una sua importanza nella cura del malato, anche in caso di trattamento sanitario obbligatorio, è altrettanto vero però che nel percorso terapeutico del paziente solo un momento assolutamente trascurabile. Quindi, quanto dobbiamo offrire al paziente è altro; mi riferisco, in particolare, al progetto di legge Burani Procaccini, che propone strutture residenziali assistite (cinquantamila posti letto, se non erro).

MARIA BURANI PROCACCINI. Lei ha già sentito il professor Munizza, al riguardo.

GIROLAMO DI GILIO, Rappresentante dell'UNASAM. Sì, ma ugualmente le dico che, non essendo essenziale, il momento del ricovero va integrato con una serie di misure antecedenti e successive. Dobbiamo, quindi, offrire al paziente un insieme di misure; in tale direzione è, del resto, orientato il progetto obiettivo nazionale, progetto che, come già si è evidenziato, manca solo di essere attuato.
Quale rappresentante dei familiari di pazienti, credo di dovere svolgere ancora una considerazione in merito al TSO. Può sembrare che sostenga una tesi avventata ma, a mio avviso, non è importante modificare le procedure burocratiche. Alla fine, infatti, nel nostro paese, esse rivestono sempre un ruolo solo formale, consentendo, di fatto, troppo facilmente il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio; in tale senso, non vi è garanzia che basti.
I nostri SPDC, ad esempio, potrebbero essere definiti con una espressione che, per doveroso decoro, non voglio pronunciare in questa nobile sede. Bisogna, dunque, che si provveda a garantire che il trattamento sanitario obbligatorio sia effettivamente efficace ed ineccepibile sotto tutti i punti di vista.

IGNAZIO CIANFANELLI, Rappresentante dell'ARAP. Ritengo sia compito dell'associazione denunciare quale sia la situazione attuale in maniera da fornirvi un quadro di riferimento preciso. Il termometro, lo abbiamo avuto le rare volte in cui siamo riusciti a partecipare a trasmissioni televisive: in quelle occasioni, il siamo stati «tempestati» di telefonate per più giorni, da persone che condividevano le nostre posizioni di denuncia di una situazione drammatica delle famiglie in tutto il territorio nazionale. Ciò deve essere ben chiaro, altrimenti, il nostro è un vuoto esercizio retorico. Non voglio demonizzare la legge n. 180, siamo, però, certi che, per assicurare la cura dei pazienti non collaborativi, tale legge vada modificata, del resto, non abbiamo alternative. Nelle condizioni attuali aumentano – ed aumenteranno sempre - i pazienti non collaborativi; per trasformarli in pazienti collaborativi è necessario un rapporto continuativo, ma la legge non assicura tale continuità di rapporto e non vi è alcuna probabilità che esso si verifichi.
Inoltre, vorrei fare riferimento alla recente dichiarazione del procuratore della Repubblica della Corte d'appello di Roma, secondo la quale al 30 giugno 2000 il numero di reclusi nelle carceri del territorio laziale è di 5.888, di cui una quota elevata è composta da tossicodipendenti e disagiati psichici. Sono dati non di parte, che dovrebbero far riflettere.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano porre domande.

MAURA COSSUTTA. Desidero anzitutto ringraziare veramente tutti gli ospiti della Commissione; questi incontri sono interessanti perché ci consentono di approfondire il tema dell'indagine. Ho una sola amarezza nell'osservare come, certe volte, le proposte eclatanti e provocatorie siano più utili del lavoro meno spettacolare e non provocatorio che si porta avanti da tanti anni. Lo dico perché nella scorsa legislatura - e oggi sono presenti molti degli stessi membri componenti la Commissione - abbiamo lavorato duramente su tali questioni. La proposta di legge in esame, infatti, ha determinato uno shock - e dunque è stata provocatoria - per la qualità del progetto medesimo, ma sulla psichiatria mai il Parlamento aveva lavorato quanto nella scorsa legislatura.
Avevamo deliberato e svolto un indagine conoscitiva impegnativa; ero, all'epoca, vicepresidente del comitato di controllo per il superamento degli ospedali psichiatrici presieduto dall'onorevole Carlesi e abbiamo visitato tutte le regioni. Abbiamo così potuto capire le situazioni attraverso questa esperienza ed il dibattito svoltosi. Abbiamo compreso che si trattava di un processo faticoso, quello della chiusura, che implicava alti costi. Abbiamo impattato nelle resistenze di interessi economici concreti ed anche in errori di autoreferenzialità. Abbiamo fatto una forzatura nella legge finanziaria, circa la chiusura degli ospedali psichiatrici, perché avevamo capito, dopo la visita nelle regioni, che dovevamo intervenire subito o sarebbe andato avanti un modello deviato, cioè una stortura di quello che aveva ispirato la legge n. 180.
Veniamo così al dunque: non credo che l'autoreferenzialità e gli errori, che pure vi sono - siano imputabili al modello. Ha perfettamente ragione la dottoressa Lugli Andretta circa il discorso della qualità. L'alternativa che si pone è tra il modello e la correzione degli errori: questa è la domanda di fondo che dobbiamo porci con molta serietà perché nutro la preoccupazione che sia il processo di aziendalizzazione, sia il federalismo, sia alcune scelte di politica sanitaria effettuate in alcune regioni, stiano cambiando il modello.
I piani sanitari regionali, non solo quelli del Piemonte, comprendono cliniche neuropsichiatriche che sono, dal punto di vista del modello, illegittime. Lo vogliamo dire o non lo dobbiamo dire? Ha ragione perfettamente il collega - anch'io sono un medico - nel ricordare che i manicomi privati non sono chiusi: vi sono le cliniche neuropsichiatriche ancora aperte; allora, il primo punto è stabilire le sanzioni ed i poteri sostitutivi. Al riguardo, dobbiamo chiederci se, alla luce del nuovo articolo 117 della Costituzione, possiamo ancora intervenire. Se non affrontiamo tale punto, approveremo una legge bandiera, provocatoria ma in realtà poi le regioni non ne terranno conto ed ogni piano sanitario nazionale seguirà una logica di modifica non dall'interno del modello, sebbene del modello.
Onorevole Burani Procaccini, dall'approccio seguito nella tua relazione, si inferisce che sta cambiando la cultura di riferimento dietro il modello. La previsione di 4 ore di ricreazione obbligatoria segue la logica - che dobbiamo superare - della manicomialità.

MARIA BURANI PROCACCINI. Va detto a loro, non a me.

MAURA COSSUTTA. Onorevole Burani Procaccini, lei lo ha scritto. La «manicomialità» è contenuta anche nel DSM, nel CSM, nel DH; il punto di fondo è la qualità, di cui parlava la signora Lugli Andretta; si è peccato di autoreferenzialità.
Esiste un problema sindacale oppure di frustrazione del personale? Risolviamo i problemi, ma non gettiamo via il modello per non guardare la verità. La presa in carico del malato grave è un obiettivo della legge n. 180 e del modello DSM: se non si è affrontato tale problema significa che si è lavorato male.
Ci troviamo in una fase di restaurazione culturale in cui tutti i malati sono cronici e lo diventano perché sono abbandonati dai servizi. Sono pronta a discutere, così come lo ero nella sede della conferenza nazionale; invece di approvare progetti di legge ispirati da una logica di restaurazione custodiale, ho avanzato ai membri della Commissione la proposta di svolgere un'indagine conoscitiva sul progetto obiettivo, in merito alla ragione per la quale non ha funzionato. Poniamo sotto esame, ognuno dal proprio punto di vista, gli aspetti problematici ma non gettiamo via il modello perché non renderemmo un buon servizio ai nostri malati e familiari.
AUGUSTO BATTAGLIA. Vorrei svolgere alcune brevi riflessioni, perché ritengo che il confronto odierno sia stato estremamente utile; esso ci suggerisce un metodo di lavoro che, forse, può produrre alcuni risultati. Ho ascoltato gli interventi, in ognuno dei quali credo sia contenuta una parte di verità; conosciamo tutti, per esperienza diretta o indiretta, la complessità e le difficoltà del fenomeno della malattia mentale e siamo consapevoli dei limiti della situazione attuale, incontrati soprattutto dalle famiglie e dagli operatori dei servizi, quando non hanno condizioni e strutture per poter intervenire nella maniera più idonea.
Dobbiamo, però, chiarire quanto in questi anni si è costruito: prima il dottor Volpi, nel suo intervento, ha distinto tra chi distrugge, chi costruisce e gli agnostici. In questi anni, credo abbia prevalso la cultura della costruzione, con tutti i limiti che permangono: essa si è affermata e ha realizzato servizi, in misura minore o maggiore. Dobbiamo difendere il valore di questa cultura, cercando di capire come sia possibile continuare a costruire, senza nasconderci i problemi per i quail sono necessarie risposte efficaci.
Credo di aver colto alcuni punti che meritano approfondimenti: come si sviluppa e si realizza un trattamento sanitario obbligatorio? È sufficiente l'attuale modello o bisogna perfezionarlo, articolarlo, rivederlo, precisarlo? È stato sollevato il problema dei malati non collaborativi, questione che è necessario risolvere.
Dobbiamo capire se il problema della qualità degli interventi nasce dalla mancanza di professionalità: il modello può essere giusto ma si possono creare dei guasti se chi lo realizza non possiede gli strumenti culturali e professionali adeguati.
Esiste, inoltre, il problema delle strutture private, in relazione alle quali è necessario stabilire un rapporto con le regioni: non siamo autosufficienti, dobbiamo lavorare insieme alle regioni, che hanno una responsabilità maggiore rispetto a quelle del Parlamento.
Credo sia sbagliato combattere guerre di religione, discutendo ideologicamente per dividersi sulla base di principi fondamentali, senza interessarsi alla concretezza quotidiana.
Potremmo istituire una sede di approfondimento delle questioni sollevate, che meritano attenzione perché nascono dall'esperienza concreta, selezionando quelle prioritarie e ricercando le soluzioni a partire dagli strumenti esistenti. Il progetto obiettivo deve essere migliorato, articolato, integrato?
Dovremmo lavorare per raggiungere questi traguardi. Il tema delle risorse finanziarie è importantissimo perché ci può aiutare a risolvere altri problemi.
Non voglio sollevare polemiche politiche rispetto alla legge finanziaria ed alla questione del 5 per cento, peraltro ormai approvata. Poiché condividiamo l'obiettivo di finanziamenti più certi, potremmo cercare di capire in sede di Commissione (anche tramite confronti con il ministero dell'economia), quale possa essere il percorso attraverso il quale raggiungerlo.
Potremmo inoltre valutare la necessità di precisare alcuni aspetti legislativi, non per rimettere in discussione il lavoro compiuto (in questo caso dovremo ricominciare daccapo), ma per individuare le situazioni che richiedono alcuni aggiustamenti. Se invece ragioniamo a partire dai cambiamenti che dobbiamo produrre, senza analizzare i fatti concreti, ci facciamo trascinare da polemiche e contrapposizioni che non ci consentono di conseguire alcun risultato. Vorrei capire se da parte delle associazioni può esservi condivisione sul percorso che ho delineato.

CARMELO PORCU. Innanzitutto ringrazio i colleghi e gli illustri ospiti intervenuti per aver accettato il nostro invito.
Entrando nel merito della questione alla nostra attenzione sottolineo che di solito la società civile, che i nostri ospiti rappresentano, si pone in una posizione di suggerimento critico rispetto al mondo politico. Però, devo dire che oggi soltanto con l'ultimo intervento del signor Cianfanelli noi, che siamo da questa parte della barricata, siamo stati riportati alla realtà; quella realtà che io vivo personalmente tutti i giorni e che vede un disagio profondo sia dei malati di mente sia delle famiglie di questi. Riguardo a tale problema sono tra quelli che propone un approccio non ideologico, in quanto ho sempre sostenuto che, chi vive in prima persona, questi problemi non vuole ideologia ma pretende una soluzione concreta.
Proprio per questo non vedo perché oggi non si debba porre mano alla legge Basaglia (la n. 180 del 1978), tenuto conto che dal 1978 il mondo è oggettivamente cambiato; sono perfettamente d'accordo con chi sostiene che, con tale norma, Basaglia ha avuto il merito storico di chiudere i manicomi (questo nessuno lo
nega), ma non anche il merito di riconoscere l'errore grave di chi sosteneva che la pazzia non esisteva ma era semplicemente frutto dell'ideologia. Questo approccio ha provocato disastri che non sono imputabili direttamente a Basaglia, ma sono riferibili a molti suoi allievi o suoi interpreti che non lo hanno compreso bene. Proprio per evitare che in futuro ci siano altri disastri, anche di segno avverso, dobbiamo seguire un approccio laico e non confessionale per questo tipo di problemi. Da parte mia sono per i processi personalizzati, perché ritengo che non ci sia un malato di mente uguale ad un altro malato di mente: a me non interessa, come diceva Mao Zedong, se i gatti sono neri o sono rossi, l'importante è che prendano i topi.
Signor Cianfanelli, i sui malati chiedono di essere curati in strutture decenti e di non essere abbandonati; a tale proposito faccio l'esempio di una mia amica di Sassari che ha un'invalidità civile e psichica del 70 per cento, la quale era inserita nei primi posti della graduatoria riguardante le categorie protette al fine di ottenere un posto di lavoro; dopo dieci anni di permanenza in tale graduatoria, quando ormai era sul punto di essere assunta, la commissione medica l'ha convocata proponendogli, in ragione della sua percentuale di invalidità, una pensione di 450 mila lire mensili; lei ha accettato, e pertanto è stata cancellata dalla graduatoria e costretta a vivere con una pensione di 450 mila lire mensili.
Dobbiamo comprendere che bisogna affrontare tale problema senza alcuna riserva mentale; con questo non nego la continuità con quanto di positivo ha fatto nella precedente legislatura l'altra maggioranza, anche perché la maggior parte di quegli interventi in campo sociale e sanitario sono stati approvati all'unanimità, discutendone in questa sede e, conseguentemente, tutti ce ne siamo assunti le responsabilità, nel merito e nel demerito, perché tutti quanti vi abbiamo collaborato. Adesso vorremmo continuare con questo tipo di rapporto costruttivo, anche perché se il problema della pazzia, in questo paese, fosse stato un problema risolvibile o facile l'avremmo già risolto.
L'altro giorno ho partecipato ad una mostra presentata da anziani malati di mente (la cosiddetta arteterapia) che vivono in una struttura protetta a Sassari, dando vita ad un'iniziativa bellissima. Anche se mi rendo conto che ci sono momenti in cui anche l'istituzionalizzazione ha una sua utilità, non posso accettare passivamente che essa diventi una pratica generalizzata, perché nel momento in cui un malato di mente viene tolto dal nucleo familiare ed inserito in un istituto o in una clinica viene privato di qualcosa che fa parte di sé stesso; però, nello stesso tempo, non vorrei si sostenesse che non si deve assolutamente procedere a nessun tipo di trattamento in nome di principi astratti. Le situazioni sono difficili, complicate, terribili, perché chiamano in causa anche la dignità della persona; infatti, l'approccio da noi seguito è di tipo costruttivo e, in tal senso, non penso che la collega Burani Procaccini abbia prima svolto un discorso soltanto provocatorio, bensì ha raccolto un'istanza proveniente da un determinato settore del mondo che si occupa della salute mentale, ponendola coraggiosamente all'attenzione di tutti, allo scopo di fornire, insieme a me e agli altri colleghi che hanno lavorato su questo tema, un valido contributo alla soluzione del problema.
Quindi, sicuramente recepiremo tale questione e vi saremo vicini, però il nostro approccio deve essere, quanto più possibile, realistico e non ideologizzato.

MARIA BURANI PROCACCINI. Ho ascoltato attentamente quanto ha detto nel corso del suo intervento l'onorevole Porcu, così come altrettanto attentamente ho seguito gli interventi dei rappresentanti delle varie associazioni, alcuni dei quali ho avuto già modo di incontrarli in altre occasioni, venendo così a conoscenza sia
dei loro suggerimenti sia delle loro contestazioni.
Per quello che mi compete, come relatrice di un testo di legge unificato, vi posso fin da ora assicurare che in esso sarà presente quanto voi avete suggerito e quanto proporrà chi sarà audito in questa sede dopo di voi nonché le proposte che saranno depositate nella nostra Commissione.
Vorrei anche ricordarvi che, nonostante siano trascorsi 23 anni dalla sua approvazione, la legge Basaglia n.180 del 1978 non è ancora approdata ad uno sbocco definitivo (in Francia dopo tre anni le leggi vengono sottoposte a revisione). Ci siamo peraltro anche serviti di progetti obiettivo.
I progetti obiettivo hanno il difetto fondamentale di rimandare alle leggi finanziarie l'approvazione di stanziamenti, corrispondenti, nel minimo, ad almeno il 5 per cento, di volta in volta necessari nell'ambito della spesa sanitaria. Non sempre, però, dette leggi sono in grado - vuoi perché si rendono necessari interventi straordinari, vuoi per altre ragioni, vuoi anche perché si considera la spesa sanitaria nazionale alla stregua di un buco nero da evitare - di soddisfare le esigenze del settore.
È, perciò, necessaria una legge che, da un lato, raccolga le istanze dal basso e, dall'altro, risponda anche alle istanze del mondo scientifico, così da costituire, nell'insieme, un punto di riferimento per le regioni. È ovvio che dobbiamo ormai tenere conto di quanto fanno le regioni ma è necessaria una legge che trovi le risorse vincolandole a quel settore. Noi finalmente - lo sa il collega Battaglia - ci stiamo attivando piuttosto bene perché nella precedente legislatura è stata approvata una legge specifica a sostegno dell'infanzia. Si tratta della legge n. 285 del 1997, che, estrapolando le risorse dalle varie leggi finanziarie e vincolandole, permette, attraverso progetti presentati dalle regioni e dai comuni, di potere intervenire a favore dell'infanzia.
È necessario venire incontro alle esigenze del malato non con parziali modifiche della normativa di settore ma, piuttosto, attraverso una legge specifica che rechi la copertura del proprio finanziamento, che, in altri termini, si regga sulle proprie gambe. Essa, certo, non potrà offrire una soluzione definitiva; del resto, se si riterrà opportuno, prevederemo una clausola di verifica a scadenza triennale. Non si vuole a tutti i costi legare una legge ad un nome, ad una Commissione, ad una maggioranza: tutto passa, i nomi si dimenticano e anche noi, siamo deputati pro tempore, transeunti.
Non ho voluto soltanto gettare un sasso in uno stagno; ho cercato di raccogliere un grido di dolore - per il quale mi sono afflitta già negli anni della passata legislatura - che urge si addivenga a risultati concreti. Ho incontrato tutte le associazioni; ho sentito tantissima gente; ho capito che qualcosa andava fatta. Il progetto obiettivo, evidentemente, non basta come non basta una legge che pure ha avuto - nessuno lo disconosce - grandissimi meriti. È stupido, al riguardo, pensare che vogliamo cancellare il passato, quasi togliere la lapide ad una strada per mutarne il nome. Guardiamo alla Francia, dove si mantiene il passato ad un tempo con il futuro.
Non sono usa, solo perché una legge proviene da una certa area politica e quindi, per così dire, ha un'etichetta politica, a criticarla. Se mi conducessi così, sarebbe davvero immorale. Vi ho parlato con apprezzamento - del resto, diedi, anch'io, un voto favorevole alla sua approvazione - della legge n. 285 del 1997, varata, nella precedente legislatura, da colleghi dell'allora maggioranza.
Si deve provvedere, ed anche in tempi rapidi, ad una modifica della legge n. 180 del 1978, certo non senza l'apporto vostro, con la massima e totale apertura.
Tale apertura, rivolta anche verso interlocutori che operino nel settore, è condivisa dal presidente Palumbo e da tutti i colleghi. La legge che vogliamo approvare dovrebbe essere la più condivisa e partecipata possibile, anche dal basso.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti i partecipanti per il loro importante contributo. La nostra disponibilità sarà massima; nessuno tra noi ha preconcetti politici o ideologici su problemi tanto importanti. La nostra, al riguardo, è una Commissione un po' particolare perché, affrontando temi connessi alla salute - io, oltretutto, sono un medico - non può avere preconcetti politici e, al contrario, deve confrontarsi con chi, giornalmente, vive i problemi e costituisce, per ciò stesso, una fonte di saggezza. Costoro danno un contributo fondamentale all'elaborazione di leggi in tale settore. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,55.

Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

COLLABORAZIONI

Poche sezioni della rivista più del NOTIZIARIO possono trarre vantaggio dalla collaborazione attiva dei lettori di POL.it. Vi invitiamo caldamente a farci pervenire notizie ed informazioni che riteneste utile diffondere o far conoscere agli altri lettori. Carlo Gozio che cura questa rubrica sarà lieto di inserire le notizie che gli farete pervenire via email.

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