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XII COMMISSIONE
AFFARI SOCIALI

INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di martedì 12 febbraio 2002

La seduta comincia alle 11,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione di rappresentanti dell'AVAP (Associazione volontariato assistenza psichiatrica), della SOPSI (Società italiana di psicopatologia), della SIPTECH (Società italiana di psicotecnologie e clinica dei nuovi media), dell'Associazione italiana psichiatri Abruzzo e Molise, della SIRP (Società italiana di riabilitazione psicosociale) e di Psichiatria democratica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione del progetto obiettivo «tutela della salute mentale 1998-2000», l'audizione di rappresentanti dell'AVAP (Associazione volontariato assistenza psichiatrica), della SOPSI (Società italiana di psicopatologia), della SIPTECH (Società italiana di psicotecnologie e clinica dei nuovi media), dell'Associazione italiana psichiatri Abruzzo e Molise, della SIRP (Società italiana di riabilitazione psicosociale) e di Psichiatria democratica.
Saluto i nostri ospiti, i professori De Marco e Di Giannantonio, rispettivamente presidente della SIRP e vicepresidente della SIPTECH, e i dottori Emilio Lupo e Giuseppina Gabriele della segreteria nazionale di Psichiatria democratica, e li ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Do loro la parola, in modo che possano svolgere le rispettive relazioni introduttive.

FERDINANDO DE MARCO, Presidente della SIRP. Signor presidente, la Società italiana di riabilitazione psicosociale ha redatto un documento che pongo alla vostra attenzione, ricordando che la SIRP si ispira a principi scientifici che guidano e dovrebbero guidare la buona pratica clinica, ed a principi etici e sociali universali che rivendicano per tutti gli individui il diritto di accedere alle risorse e alle opportunità per godere di una vita piena.
Queste scelte iniziali comportano che la SIRP, come società scientifica, ed i suoi soci, come operatori della salute mentale, hanno il compito aggiuntivo di combattere il pregiudizio ed il discredito che, spesso, complicano i problemi legati alla disabilità psichica, che perdurano anche a guarigione avvenuta.
D'altro canto, chi si occupa di riabilitazione risulta eticamente e professionalmente meno gravato dall'imperativo di rispondere all'acuzie quotidiana e si confronta di più con il clinico. In tal modo, egli può - ma si potrebbe dire deve - guardare al proprio assistito non con l'assillo di rilevarne una patologia, ma con il disegno di scoprirne i lati sani da dispiegare e rafforzare.
In questo atteggiamento, l'operatore della riabilitazione è sostenuto dall'evidenza che gli aspetti patologici eclatanti della malattia mentale necessitano di cure specialistiche urgenti e intense, che occupano un intervallo temporale di gran lunga più breve di quello di una costruzione di un positivo e di una prospettiva di vita.
Pertanto, è intenzione della SIRP, se essa è intesa come una società scientifica, dare un contributo, cercando di sottolineare quanto era già venuto a mancare nell'ultimo progetto obiettivo, cioè gli aspetti della riabilitazione.
Probabilmente in quel progetto obiettivo si è sottolineato un po' troppo il discorso della cura e della residenzialità, anche postacuzie e cronica, ma forse si è sottolineato poco il valore scientifico della riabilitazione, per cui noi intendiamo fornire dei suggerimenti in questo senso: è importante che qualunque progetto di legge implichi essenzialmente tutti i percorsi terapeutico-riabilitativi che possono essere graduati e che vedono presenti, in maniera integrata, la sanità, il sociale e tutti gli altri attori presenti sul territorio.
La Società italiana di riabilitazione psicosociale, quindi, ritiene che l'attuale legislazione in materia psichiatrica rispecchi i principi generali della psichiatria moderna, come enunciati nei documenti dell'Organizzazione mondiale della sanità e applicati nella maggioranza dei paesi occidentali, cioè il superamento degli ospedali psichiatrici, l'integrazione dell'assistenza psichiatrica nella medicina generale e l'orientamento prioritariamente territoriale. La SIRP favorisce le iniziative innovative pubbliche e private che privilegiano la convergenza pluriprofessionale, la presa in carico e la partecipazione dell'utenza all'interno della cornice dipartimentale dell'organizzazione dei servizi.
La rete dei servizi, pubblici e privati, è una realtà. La frontiera attuale della riabilitazione sembra essere il perfezionamento della presa in carico socio-sanitaria, con la capacità da parte di un operatore, sempre più facilitatore-responsabile, di accompagnare il paziente attraverso la rete, verso mete di cui diventi progressivamente più consapevole e protagonista.
Non da ultimo la SIRP continua ad attribuire elevata priorità alla formazione ed alla ricerca, campi in cui, fin dalla sua fondazione, si è impegnata allo sviluppo e all'affermazione dei principi e della pratica della riabilitazione nel nostro paese.
Bisogna sottolineare, inoltre, che spesso e volentieri i vari progetti obiettivo non hanno avuto in tutte le parti d'Italia un riscontro particolare. Ci sono realtà, come per esempio quelle del Lazio, che mi toccano personalmente, in particolare quella del dipartimento di salute mentale di Latina, che non è ancora stato istituito né regolamentato: è una assurdità tremenda che alle porte di Roma non ci sia un dipartimento di salute mentale regolamentato e organizzato, perché ciò porta, a cascata, a un degrado di tutti i servizi psichiatrici, siano essi pubblici o privati.
Questa è, nella mia veste di presidente della Società italiana di riabilitazione psicosociale, anche una disamina di quello che sta succedendo in altre parti d'Italia, dove un accento particolare sulla distrettualizzazione dei dipartimenti di salute mentale non ha fatto altro che disgregare, ancor di più, l'assistenza psichiatrica e farla afferire a distretti che sono impreparati, incapaci e non in grado di affrontare tutta la problematica della salute mentale.
Credo che un progetto di legge debba per forza individuare, in ambito nazionale - e non regione per regione, tenendo anche conto delle specificità regionali, questo sì -, il modo per arrivare ad una omogeneizzazione dei servizi e ad una assistenza psichiatrica che non possa essere diversa a seconda della zona considerata. Questo significa far stanziare alle aziende ASL un budget dedicato solo ed esclusivamente al dipartimento di salute mentale, con una contrattazione con il direttore del dipartimento e una rendicontazione effettiva di tutto quello che si può spendere, anche in termini di elevazione culturale; infatti la SIRP si propone questi due grandi obiettivi: elevazione culturale e lotta allo stigma e formazione permanente del personale, che continua a mancare nelle nostre regioni.

EMILIO LUPO, Segretario nazionale di Psichiatria democratica. Signor presidente, onorevoli deputati, voglio innanzitutto ringraziarvi per l'invito che ci è stato rivolto e ricordare che Psichiatria democratica è una società scientifica che esiste da trent'anni e che annovera tra i suoi iscritti operatori di tutte le branche in tutte le parti del paese.
Voglio anche dire subito che Psichiatria democratica stamane non sciorinerà dati sulla salute mentale, che credo possano essere reperiti dovunque, tantomeno indicare scorciatoie o semplificazioni in un settore, come quello della salute mentale, così delicato e complesso.
Ci appare, invece, più opportuno ed utile riflettere con voi sugli straordinari progressi di questi ultimi vent'anni, sulle tantissime cose che, ovviamente, sono ancora da fare, nonché sul ruolo e le responsabilità che ciascuno dovrà assumere non certo, a nostro avviso, per stravolgere la vigente normativa nazionale costituita dal progetto obiettivo nazionale e da quelli regionali, bensì per migliorare quanto è stato così faticosamente realizzato negli ultimi vent'anni.
Coloro che conoscono la storia e le pratiche di Psichiatria democratica sanno bene che noi non crediamo alle formulette magiche e, come dicevo, alle scorciatoie, bensì alla fatica di tutti i giorni, alla creazione di aree di solidarietà, all'allargamento della partecipazione alla questione psichiatrica, la quale non può e non deve assolutamente interessare e coinvolgere solo i tecnici, ma ampliare il suo interesse e le sue aree di influenza; insomma, la psichiatria non deve essere solo una questione scientifica ma anche sociale.
È noto a tutti che sulla legge di riforma psichiatrica, nel corso di questi anni, sono stati consumati fiumi di inchiostro; abbiamo infatti assistito a discussioni defatiganti e letto interventi intrisi di pericoloso dilettantismo e di pregiudizi, con l'unico intendimento di creare nuove forme di riserva umana, lontane dai contesti sociali, dalle nostra città e dai nostri paesi.
Tutto ciò ha prodotto, in alcuni ambienti, notevole disinformazione su quanto di positivo si produceva in varie realtà e talora si è finito per istigare un allarme sociale - anche attraverso i media - che, per fortuna, non ha trovato spazio tra la nostra gente.
Credo si possa affermare che l'ampio quadro che si dispiega davanti a noi ci conferma che la legge di riforma del 1978 costituisce una pietra miliare della società contemporanea dal punto di vista scientifico, culturale ed umano. Se la memoria è un dovere - come ammonisce Primo Levi - non si può aver già dimenticato come era disastrosa l'assistenza psichiatrica in Italia prima della riforma: l'abbandono dentro le strutture asilari e l'oblio fuori di esse. Nel mentre, la verifica operativa, dal 1978 in poi, ha svelato le coperture ideologiche che, come una sorta di guerra santa, senza confini, si è periodicamente portata avanti.
Ancora una volta noi intendiamo rispondere soltanto con i fatti, evitando di essere trascinati in dispute che non ci interessano affatto e che risultano essere funzionali, esclusivamente, a coloro che non hanno a cuore i processi di emancipazione degli utenti psichiatrici, delle loro famiglie e dei tanti operatori che con essi, quotidianamente, si sforzano di creare condizioni di vita sempre più autonome e rispettose dei diritti dei singoli.
Ragionando, appunto, sulla legge di riforma, un gruppo di utenti di una associazione di una regione del sud Italia, la Puglia, ci ha tenuto a ribadire i quattro punti che i dispositivi delle leggi n. 180 e n. 833, entrambe del 1978, intendono garantire: il diritto alla cittadinanza, alla salute, alla prevenzione, cura e riabilitazione e il diritto ad un inserimento sociale e lavorativo, con soddisfazione dei bisogni primari quali la casa e la solidarietà dell'ambiente circostante. È solo su ciò che noi intendiamo confrontarci e le proposte di legge presentate si indirizzano nella direzione opposta a quella che i fruitori pugliesi enunciavano.
Signor presidente, onorevoli deputati, noi tutti discettiamo sugli utenti psichiatrici ma, vi chiediamo: è in calendario l'audizione anche delle loro associazioni od ancora una volta i tecnici, da soli, decideranno per tanti? Vogliamo augurarci che ben presto saranno invitati ed ascoltati.
A proposito dei fatti che abbiamo potuto registrare: è un dato incontestabile che in tutta Italia si sono sviluppate teorie e pratiche che hanno reso praticabili modalità di approccio alla sofferenza mentale di tipo preventivo-terapeutico-riabilitativo basate sulla centralità della persona attraverso la presa in carico di tutti i suoi bisogni. Lo sviluppo del territorio, che noi riteniamo centrale ed anche insostituibile, fa i conti da sé: servizi aperti 365 giorni l'anno, centinaia di residenze territoriali, centri di accoglienza diurna e di riabilitazione attivati e funzionanti su tutto lo stivale e numerosissimi utenti inseriti nella cooperazione sociale, che dispongono di un reddito. Non devono essere dimenticate, inoltre, le numerose associazioni di auto-aiuto e di familiari di utenti, che si affiancano ai servizi pubblici, che costituiscono un interessante sviluppo in realtà piccole e grandi, rendendo fruibile il «sapere pratico», e che hanno restituito dignità a coloro che soffrono.
Noi, che continuiamo a citare Norberto Bobbio, vogliamo ricordare quanto affermava all'atto della promulgazione della legge n.180 del 1978, ovvero che essa costituiva l'unica riforma nata dalla pratica. Ed allora, ci chiediamo, perché cambiarla? Per quale motivo riproporre una psichiatria senz'anima e senza futuro e non invece sostenere ed aiutare la crescita e lo sviluppo di una salute mentale della dignità e dei diritti ? Questo paese è riuscito a fare a meno dei manicomi; perché ora qualcuno ne richiede la riapertura sotto mentite spoglie? Questa scelta di civiltà e di progresso, ci chiediamo, da ritenersi una conquista, non di parte, ma collettiva, non deve assolutamente più appartenerci? Perché?
Per questi motivi, Psichiatria democratica contrasterà con forza, con tutti gli strumenti democratici a sua disposizione e senza tregua, la creazione di nuove concentrazione di uomini e donne in disagio. Quei 50 posti letto che, secondo il dispositivo proposto, dovrebbero ospitare giovani, adulti ed anziani con ridotta autonomia rappresentano, per Psichiatria democratica, un nuovo universo concentrazionale che la storia e le pratiche hanno bocciato; quindi, va respinto con fermezza.
Contrasterà anche la rinascita di pronto soccorso psichiatrici: la psichiatria non ha bisogno di statuti speciali, ma di spazi di vita e di integrazione reale oltre che di risorse umane e finanziare adeguate distribuite sui territori. La necessità di investire di più nella salute mentale è ribadita anche nell'ultima risoluzione della Organizzazione mondiale della sanità, che la definisce come una componente integrale del benessere della popolazione. La nostra associazione si opporrà, inoltre, alla creazione di una sorta di gran giurì che decida della vita degli utenti nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura: la legislazione attuale, che individua nei sindaci, quali capi di una comunità, il punto di riferimento nella proposta di intervento sanitario e nei giudici tutelari i custodi delle procedure di intervento sono, a nostro avviso, più che sufficienti. Da ultimo, contrasterà il tentativo di ridurre il peso del servizio pubblico che, invece, deve restare il committente in un paese come il nostro, ribadendo la propria vocazione solidaristica senza abdicare a favore del privato.
In conclusione, ci pare più utile agli utenti, ai loro familiari, talora lasciati soli a gestire situazioni complesse e difficili, e ai tanti operatori strenuamente impegnati sul campo che il Parlamento, piuttosto che demolire quanto di importante, e tra mille difficoltà, si è costruito fino ad ora, si impegni per definire, come abbiamo richiesto già prima della conferenza nazionale per la salute mentale, alcuni temi che sto per enunciare (avanzo, qui, semplici proposte). Mi riferisco, innanzitutto, ai parametri nazionali di accreditamento per i servizi e le strutture della salute mentale. In secondo luogo, ad una sempre maggiore integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali, sostenuta da congrui stanziamenti economici al fine di ridurre la medicalizzazione e favorire lo sviluppo di pratiche di inclusione sociale e di lotta a tutte le forme di disagio, di esclusione e di espulsione. In terzo luogo, allo sviluppo di nuove strategie economiche che puntino alla creazione di opportunità di lavoro dignitose ed innovative. Inoltre, all'approvazione della legge sull'amministratore di sostegno quale strumento operativo di tutela ed emancipazione del cittadino-utente che, a nostro avviso, rappresenta una scelta di civiltà; a tale proposito, vale la pena ricordare che, nella trascorsa legislatura, le forze politiche avevano concordato un testo che non ha visto la luce solo a causa dello scioglimento delle Camere e ciò fa ben sperare per una rapida e positiva risoluzione. Riteniamo necessaria, altresì, la predisposizione di un percorso che conduca al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari nonché la ricostituzione dell'osservatorio nazionale per la salute mentale quale strumento agile di lavoro, che privilegi la presenza di coloro che sono realmente impegnati con l'utenza, senza discriminazione alcuna.
Al Parlamento chiediamo anche un impegno perché vigili ed intervenga laddove si rendesse necessario, affinché le regioni recepiscano con urgenza, attraverso atti deliberativi, il progetto-obiettivo che, peraltro, a nostro avviso, deve essere immediatamente prorogato, così come lo stanziamento di almeno i1 5 per cento del fondo sanitario. Vi chiediamo, inoltre, di stimolare ma anche di aiutare i comuni affinché riservino nel proprio bilancio adeguati fondi per l'attivazione di alloggi sociali, cooperative integrate, assegni di lavoro, imprese sociali, centri diurni e così via.
Signor presidente, onorevoli deputati, questo è quanto chiediamo a voi ed al Parlamento intero: non un ritorno indietro, agli anni bui della segregazione e dell'abbandono ma la difesa strenua ed il sostegno alle tantissime esperienze italiane ed il pieno appoggio a coloro che non ce l'hanno ancora fatta.
L'Italia, che è un paese senza manicomi, deve essere orgogliosa di questa sua prerogativa e battersi ed avere un ruolo forte e propulsivo se vuole essere veramente una nazione moderna, affinché forte della propria esperienza di comunità possa contribuire alla costruzione di un'Europa senza manicomi.

MASSIMO DI GIANNANTONIO, Vicepresidente della SIPTECH. Vorrei cercare di trasmettere alcuni stimoli alla Commissione, a partire dalla duplicità della mia esperienza clinica e scientifica, in quanto insegno all'Università cattolica del Sacro cuore e attualmente dirigo un centro di salute mentale all'interno di un dipartimento di salute mentale.
Vorrei quindi portare alla vostra attenzione i problemi che riguardano, in qualche modo, il rapporto tra l'impostazione classica utilizzata per affrontare il tema della malattia mentale e la possibilità di affrontare la sofferenza ed il disagio mentale sfruttando appieno tutti i nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia e dall'avanzamento scientifico, che pongono in essere un modo nuovo di curare, aumentando di molto la potenzialità clinica, terapeutica e preventiva degli strumenti nelle mani degli psichiatri.
A partire dalla nostra esperienza di psichiatri che si occupano delle nuove tecnologie, occorre pensare che un certo modo di affrontare la sofferenza e la malattia mentale incasellato e cristallizzato tra lo schema aprioristico della difesa, in qualche modo, della specificità del malato mentale e la cristallizzazione dell'approccio, che può essere di volta in volta o esclusivamente socio-riabilitativo oppure biologistico, appare un modo di affrontare la sofferenza mentale superato sia dal punto di vista scientifico sia da quello socio-politico e culturale.
Quello del malato mentale è un problema complesso, dove vengono modificati ed alterati i tre registri fondamentali attraverso i quali funziona un essere umano, il primo dei quali è rappresentato dalla dimensione biologica, perché sfido chiunque dei colleghi ad affermare che non vi sia una modificazione biologica nella malattia mentale, soprattutto in quella grave.
In secondo luogo vi è il registro psicologico, che risulta profondamente alterato, perché l'unicità e la singolarità dell'esperienza umana di ogni paziente è assolutamente diversa da tutte quelle altre.
Infine, ma non certo di minore importanza, vi è il contesto socio-ambientale, culturale ed economico nel quale il paziente svolge e matura la propria esperienza esistenziale; qualora tale contesto presenti condizioni di severo svantaggio e di difficoltà, allora non fa che aumentare la vulnerabilità del soggetto e le sue difficoltà a reggere le sfide che vengono dalla società e che qualche volta sono assolutamente distruttive.

Occorre, quindi, fare un passo avanti per il definitivo superamento di una contrapposizione che diventa antistorica e antiscientifica e considerare la possibilità di un approccio per la sofferenza ed il disagio mentale che tenga conto, contemporaneamente, di questi tre elementi: biologico, psicologico e socio-ambientale.
Questo discorso, che sembra essere un cappellino di natura universitaria, molto più teorico che pratico, in realtà ha delle profonde, oggettive ed importanti ricadute dal punto di vista della realtà clinica e della prassi terapeutica quotidiana.
Cominciamo a sottolineare il fatto, per esempio, che nel nostro paese vi è una frattura non ancora sanata, originatasi al tempo delle leggi nn. 180 e 833 del 1978, che hanno determinato una spaccatura tra il mondo universitario, dove viene formato lo specialista che è chiamato in qualche modo alla supervisione della gestione complessa del caso clinico, e quello che avviene nel sistema sanitario nazionale con il diretto contatto con i pazienti.
Fino a quando non si supererà questo vulnus originario, per il quale ad una formazione teorica staccata, nella grande maggioranza dei casi, dall'esperienza diretta della clinica, segue poi l'immissione dello specialista nel servizio sanitario nazionale, per cui egli deve praticamente ricominciare da capo ad utilizzare una serie di strumenti che poco ha imparato e maturato sulla sua pelle, non si supererà uno dei problemi che origina le maggiori conseguenze dal punto di vista della formazione e della gestione clinica terapeutica.
Per quanto riguarda la situazione attuale - mi rivolgo alla Commissione, che è in grado di legiferare hic et nunc, oggi -, voi dovete sapere che dopo la piena attuazione della legge Bindi c'è stata una proliferazione di strutture residenziali e semiresidenziali, dove per legge occorre la presenza degli psichiatri.
Ebbene, oggi in Italia c'è un'assoluta mancanza di psichiatri, perché la programmazione effettuata dall'allora Ministero dell'università e della ricerca scientifica non ha tenuto conto di questa riforma, per cui nel territorio si è provveduto ad attrezzarsi con una serie di strutture, che però mancano di specialisti, perché l'università non è in grado sfornarne a sufficienza rispetto alle modificate esigenze sul territorio. Questo rappresenta, quindi, un altro dei temi da affrontare, perché spesso provvediamo ad operare riforme e cambiamenti senza verificare le conseguenze ed essere assolutamente capaci di prevedere quello che può accadere.
Per quanto riguarda la formazione, sappiamo che a livello nazionale c'è una situazione a «pelle di leopardo»; ci sono delle zone in cui la formazione viene eseguita esclusivamente da un punto di vista biologico: pensiamo per esempio all'esperienza di Pisa, per cui il malato viene identificato soltanto come un poveretto che ha cellule che sfarfallano e mediatori sbagliati e che, quindi, deve essere solamente seppellito di pillole, così come esistono altre esperienze di formazione nazionale dove la radice della malattia mentale viene considerata in tutt'altro modo.
Questa eterogeneità, nell'esperienza per esempio degli Stati Uniti d'America, è stata assolutamente cancellata. Come diceva giustamente Ferdinando De Marco, occorre garantire un livello formativo paritario in tutta la nazione, cioè che esista un board certificato nazionale, per cui l'esperienza possa essere fatta nella sede che si preferisce, però poi ci deve essere un momento di verifica nazionale. Attraverso tale verifica la qualità e la capacità dell'operatore, che deve essere inserito nel sistema sanitario nazionale, devono essere, per quanto possibile, certificate e adeguate alle esigenze di tutto il territorio nazionale, senza creare zone di profonda diversità, che creano scompensi, contraddizioni e quei viaggi della speranza che certamente non sono possibili né ammissibili in un paese che fa parte a pieno titolo e diritto dell'Europa.
Per quanto riguarda il discorso dell'integrazione delle conoscenze, è estremamente importante che si riesca a capire che l'aspetto terapeutico è un discorso che deve integrare la dimensione della psichiatria dinamica, biologica e di quella riabilitativa, mentre questo è un tema che, oggi come oggi, è lasciato alla volontà autonoma di formazione dei singoli operatori e delle singole aziende sanitarie.
Voi sapete, perché lo avete visto, quale sia stato il gigantesco tira e molla alla partita di ping pong relativa all'educazione medica continua, per cui non si riusciva a capire chi doveva essere il soggetto che erogava la formazione e quali dovevano essere i requisiti; dapprima si era pensato di appaltare la formazione medica continua anche a provider privati, che quindi potevano avere interessi più o meno nascosti, poi si è deciso di tornare ai provider rappresentanti dalle società scientifiche e dalle aziende sanitarie locali.
Ora il problema è che, se non si mette a punto un progetto di formazione continua degli operatori, che abbia un livello di integrazione delle conoscenze che dia al paziente il meglio che la scienza psichiatrica mondiale ha espresso, allora noi continueremo a fare una psichiatria che qualche volta ha l'odore dell'ideologia.
Accanto al problema dell'odore dell'ideologia - e credo di ricordare qualcosa che tutti conoscete - ricordo che recentemente la Francia ha istituito, presso la Presidenza della Repubblica, una commissione per lo studio della riforma dell'assistenza psichiatrica, prendendo a modello la riforma italiana. Noi che operiamo nell'università, frequentiamo i congressi europei e mondiali e ci rechiamo annualmente presso la American psychiatric association, siamo continuamente interrogati dai colleghi europei ed americani, che appaiono profondamente stimolati, interessati e molto colpiti dal modello della nostra riforma psichiatrica perché ci riconoscono, con molta franchezza, il coraggio di aver compiuto un passo, chiudendo gli ospedali psichiatrici, che altrove, nelle varie realtà nazionali, ancora non è stato compiuto completamente. Nel tenere presente la complessità della situazione psichiatrica italiana, dobbiamo notare con lucidità e coraggio quali siano le zone di luce, senza fingere di non vedere quelle di ombra e di non compiuta realizzazione.
Quanto al problema del superamento della contrapposizione stereotipa dei vari modelli culturali, è importante sottolineare come questa danneggi esclusivamente il paziente. È indispensabile avere la possibilità di realizzare pienamente, nei dipartimenti di salute mentale dove è prestata l'assistenza psichiatrica, strumenti più moderni di monitorizzazione e di controllo di quanto accade al paziente. Dalla psichiatria americana mutuiamo due concetti che ritengo estremamente importanti, quelli del case management e del desease management. In una parola, non è vero che i malati mentali siano tutti uguali, non è affatto vero che un malato, soltanto perché soffre, sia identico ad un altro e che l'etichetta sia uguale per tutti. La psichiatria dispone di un notevole background culturale e scientifico, ha la possibilità di distinguere una sofferenza dall'altra e, ancorché non sia onnipotente, di stabilire un percorso ed un progetto terapeutico diversificato caso per caso, utilizzando sia le tecniche di riabilitazione sia i nuovi farmaci - perché esistono acquisizioni farmacologiche moderne che consentono protocolli terapeutici diversificati rispetto sia al recente sia al lontano passato - e c'è, inoltre, la possibilità di monitorare. Perciò, se l'équipe predispone un progetto per un determinato paziente, non è vero che esso sia identico per un altro o per un altro ancora.
Su questo bisogna cominciare interrogarsi. La panacea, le risposte univoche o il semplice «vogliamo bene» al paziente non è certamente più accettabile in termini sia scientifici sia di pratica clinica verificata. È opportuno dotare i dipartimenti di salute mentale ed i luoghi dove si eroga l'assistenza di strumenti moderni, creare un registro nazionale dei casi e predisporre la verifica ed il controllo continuo della qualità per individuare dove siano i miglioramenti oggettivi, i nodi delle équipes, quali siano i lati positivi e quelli negativi dell'assistenza psichiatrica. Continuiamo, quindi, a riflettere sugli aspetti positivi della nostra attività ma troviamo anche il coraggio di riconoscere e di smettere di attuare quelle pratiche che non funzionano e che continuiamo a seguire soltanto perché ci siamo abituati ad esse e non abbiamo riflettuto abbastanza sul come e sul perché le dobbiamo attuare.
Nella mia veste di direttore di un centro di salute mentale sono gravato da una serie di compiti centomila volte superiori alle potenzialità mie e dei miei collaboratori. Dovrei occuparmi di prevenzione, di riabilitazione, dovrei distinguere le gestioni del caso acuto e di quello meno difficile, dovrei gestire comunità alloggio, comunità protette e dovrei effettuare una serie di controlli sui pazienti che si trovano in strutture gestite dal privato imprenditoriale e dal privato sociale. Si tratta di una serie di compiti largamente superiori - diciamoci la verità - alle potenzialità dei dipartimenti in questo momento. Allora, cerchiamo di capire come dobbiamo implementare la potenzialità reale dei dipartimenti di salute mentale e assumiamoci il compito di procedere a verifiche continue e reali sul destino e sul percorso dei pazienti dimessi da ospedali psichiatrici, attualmente affidate a strutture ubicate sul territorio e sulle quali, a causa della distanza dal dipartimento di salute mentale, la verifica continua della qualità e della gestione dei fondi erogati è assolutamente insufficiente. Chiunque abbia avuto a che fare con un paziente che soffre sa che può migliorare sempre e comunque, purché si abbia il minimo di capacità clinica, il minimo di motivazione e quel minimo di umiltà per cercare di aspettare da lui quello che può fare.

PRESIDENTE. Invito gli intervenuti a lasciare a questa Commissione, o a farle pervenire successivamente, eventuali documentazioni integrative o relazioni di cui siano in possesso.
Nella seduta di oggi erano anche previsti gli interventi di rappresentanti dell'AVAP (Associazione volontariato assistenza psichiatrica), della SOSPI (Società italiana di psico patologia), e della Associazione italiana psichiatri Abruzzo e Molise che, tuttavia, non sono presenti.
Pertanto, invito, i colleghi che lo desiderino ad intervenire.

LUANA ZANELLA. Non mi sembra opportuno, adesso, intervenire o interloquire. Desidero, invece, invitare la presidenza e l'intera Commissione a dotarsi di una vera e propria fotografia dell'esistente. In effetti, ritengo ciò molto importante, anche a seguito degli interventi di oggi e, in particolare, dell'ultimo che abbiamo ascoltato - molto articolato e che mi ha molto sollecitata - al fine di verificare, intanto, in che modo la cosiddetta riforma sia stata attuata. Mi riferisco alla cosiddetta riforma perché non è stato quello l'unico atto normativo ma se ne sono succeduti altri, anche a livello locale, regionale e così via. Perciò, bisogna sapere quale è lo stato dell'arte, se vogliamo apportare miglioramenti. Anche nelle proposte di riforma rispetto alle quali la forza politica cui appartengo - la coalizione dell'Ulivo - si è già dichiarata molto critica riconosco la buona fede e la volontà migliorativa dell'esistente. Non so se sia necessario lo strumento legislativo a questo scopo.
Personalmente, penso che molti passi possano essere compiuti senza arrivare ad una discussione che può portare ad una votazione, in Assemblea, che, talvolta, può sfuggire al controllo, conducendo a risultati, magari, diversi da quelli che ci siamo augurati di raggiungere. Ritengo che la volontà dei parlamentari che si sono cimentati in questa problematica così complessa e così cruciale sia quella di migliorare l'esistente nell'ambito della salute mentale. Perciò, se noi disponessimo di una fotografia di esso, probabilmente, anche il livello del nostro dibattito e del confronto politico potrebbe raggiungere un'altra dimensione. La proposta di legge presentata dall'onorevole Burani Procaccini, ad esempio, basata sull'estensione a tutto il territorio delle misure residenziali e semiresidenziali, quantomeno in alcune regioni, rischia di essere anticipata dalla realtà. Non parlo solo di regioni governate dal centro destra; credo, infatti, che se prendessimo le statistiche relative, per esempio, all'Emilia Romagna, queste mostrerebbero una presenza considerevole di strutture di accoglienza.
Anche il problema della formazione, che è stato sollevato, mi sembra effettivamente fondamentale; probabilmente si tratta di un settore in cui bisognerebbe effettivamente intervenire.
Non abbiamo, invece, in questa sede affrontato il problema del TSO, che è un altro dei temi affrontati dalle proposte riforma e rappresenta, altresì, un nodo oggettivo con cui dovremo confrontarci. Insomma, ci sono punti cruciali che devono assolutamente essere oggetto di attenzione e, se necessario, di miglioramento e di intervento, mentre ce ne sono altri relativamente ai quali, a mio avviso, si tratta in fondo di consolidare l'esistente e di intervenire eliminando le strozzature e le distorsioni presenti nell'attuale sistema.

MARIA BURANI PROCACCINI. Vorrei ringraziare gli auditi e chiedere loro se possono lasciare alla Commissione i dati tecnici e scientifici di cui sono in possesso e le loro riflessioni, perché nel momento in cui andremo a valutare la possibilità di redigere un testo unico, che possa affrontare le varie problematiche che a mano a mano emergono - cito, per esempio, quella della necessità di un'interconnessione molto più stretta tra il mondo scientifico e quello dell'assistenza psichiatrica oppure le questioni relative alla prevenzione e alla riabilitazione -, occorrerà l'organicità di un progetto comune, che poi possa essere interpretato dalle regioni, rimanendo però comune, per evitare che si verifichi quella sorta di «mantello del leopardo» per cui vi sono poche isole felici sparse qua e là.
Ha ragione la collega Zanella, con cui sono d'accordo, però nella precedente legislatura questa Commissione ha già svolto un lavoro che ci ha permesso di raccogliere dati. Possiamo e dobbiamo reperirne altri, perché è giusto partire da dati certi - anche attingendo al Ministero della sanità -, per colmare la mancanza di informazioni relativamente all'ultimo anno e mezzo, in cui certamente sarà cambiato qualcosa e, quindi, dobbiamo vedere in quale maniera ciò è avvenuto.
Detto questo, però, penso che senz'altro si dovrà arrivare ad una legge organica. Vorrei che fosse chiaro, nella mente di tutti, che nessuno di noi si sogna di dire che la riforma psichiatrica di 22 anni fa è da buttare al vento; questo non lo dice e non lo dirà mai nessuno! Quella riforma, infatti, è stata un punto fermo, che - magari compiendo una grossa forzatura, perché una forzatura andava fatta - ha comunque portato la psichiatria italiana in un pianeta che forse allora era troppo avanzato e che, indubbiamente, aveva bisogno di una serie di interconnessioni che non ci sono state.
Però sono passati 22 anni e ci sono dei problemi; credo, quindi, che molto realisticamente e serenamente, con l'apporto di tutti, si debba arrivare ad una proposta di legge che abbia al centro il paziente, come giustamente avete detto anche voi, nel momento in cui questa persona, che rimane persona anche durante la malattia, possa addirittura tornare ad essere inserita a pieno titolo nella vita sociale, con tutte le possibilità di realizzazione che la società ha il dovere di mettergli a disposizione.
Detto questo non ho che da ringraziarvi e dirvi che noi proseguiremo le nostre audizioni, dopodiché, certamente, riascolteremo alcuni di voi, in particolare quelli che hanno fornito osservazioni tecniche precise, perché non vogliamo fare una legge contro qualcuno: vi è infatti un unico desiderio che proviene da tutte le parti politiche, cioè quello di fare una cosa giusta, il più umanamente possibile, tenendo presente che dobbiamo pensare alla persona che vive un fortissimo disagio, anche quando questo non appare. Tutti insieme dobbiamo arrivare alla migliore meta possibile.

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per ricordare ai presenti che questa Commissione nella scorsa legislatura si occupò di questo problema, attraverso una serie di audizioni e, addirittura, effettuando visite in periferia per rendersi conto dello stato dell'arte, dell'attuazione della riforma del 1978 e per avere uno spaccato della realtà psichiatrica. In questo inizio di legislatura l'intenzione è quella di continuare a verificare se ci siano attuazioni complete oppure no e se dobbiamo procedere, come diceva l'onorevole Burani Procaccini, ad una verifica, anche legislativa, della legge n. 180 del 1978, volta ad eliminare le distorsioni che si fossero eventualmente evidenziate.

GIUSEPPE CAMINITI. A proposito dell'esigenza di avere il polso della situazione, la mappatura della situazione attuale, vorrei sottolineare un aspetto importante che è stato ben trattato dal professor Di Giannantonio e che riguarda i tre momenti di approccio al malato psichiatrico, che mi hanno molto colpito: biologico, psicologico e ambientale.
Mi pare di aver capito, dalle sue parole, che ci sia una disparità di trattamento in campo nazionale; questo non mi sembra un passaggio di poco conto in quello che dobbiamo andare a fare, perché non basta sapere quanti centri di accoglienza e quanti medici ci sono nelle strutture che assistono questi malati psichiatrici, dato che per risolvere tale problema basta semplicemente un'operazione contabile.
Il professor Di Giannantonio ha detto - se ho capito bene - che, allo stato attuale, l'approccio terapeutico più moderno e confacente alle conoscenze di cui disponiamo oggi è un approccio triplice (biologico, psicologico ed ambientale), che è quello praticato nelle nazioni molto avanzate, come gli Stati Uniti o l'Inghilterra, per esempio.
Noi desidereremmo sapere, dato che ora si entra nel merito del rapporto tra medico e malato, in quanti centri di salute mentale in Italia è praticato questo approccio terapeutico di trattamento, oppure se sia praticato solamente nell'università o nel reparto diretto dal professor Di Giannantonio.
Mi sembra un passaggio di importanza fondamentale, il punto attorno al quale tutto ruota. Lo vedo dal punto di vista dell'organizzazione: mettendosi di buona volontà, in qualche modo l'organizzazione si realizza. Tuttavia - lo affermo nella mia qualità di medico - rimane fondamentale il rapporto tra medico e malato e l'approccio terapeutico con esso. Possiamo avere le migliori organizzazioni, le più perfette possibili e immaginabili, ma se questo approccio è sbagliato tutto il resto rimane una cornice priva di significato e che non fornisce risultati. Perciò le domando in che condizioni sia l'Italia da questo punto di vista.
Vorrei, da ultimo, complimentarmi per la relazione che ci è stata illustrata.

GIULIO CONTI. Intervengo in qualità di rappresentante del gruppo di Alleanza nazionale. Innanzitutto, vorrei effettuare alcune precisazioni proprio nel senso di affermare e confermare che l'approccio a questa legge non dovrà essere ideologico, né in un senso né nell'altro, altrimenti tireremmo l'ideologia a seconda dei periodi storici nei quali viviamo. Questo mi pare molto positivo. Voi conoscete la mia posizione in merito alla proposta di legge A.C. 174, presentata dall'onorevole Burani Procaccini, ai pericoli in essa insiti e riecheggiati anche in altre proposte. D'altro canto, non posso essere cieco - sono un medico anch'io - sul male e sul bene prodotto dalla legge n. 180 del 1978. Negli ultimi anni della mia vita da universitario, a Parma, ricordo che lo slogan di alcuni cortei organizzati dai partiti di sinistra era: «vogliamo la 180». Era un modo per snaturare una legge che aveva molto di positivo: organizzare un corteo politico ispirato ad una legge manicomiale mi pare che fosse una esagerazione, come poi è stato dimostrato. Forse, i tempi imponevano quel tipo di approccio con la sanità, che a molti ha confuso le idee.
Questa mia premessa la ritengo necessaria rispetto ai temi che sto per trattare, seppure brevemente. Innanzitutto, in base alla disamina cronologica di quanto è stato affermato questa mattina, il progetto unico nazionale è un discorso, secondo me, poco sostenibile alla luce delle leggi attualmente in vigore. Se si parla di devolution, di affidamento della sanità ad ogni singolo assessore regionale, mi pare che questo sia un sogno e, secondo me, anche un errore. L'assessore ideologizzato in senso negativo rispetto alla legge vigente che cosa volete che faccia? Se avesse un approccio razionale, di buonsenso e non ideologico, potrebbe riconoscere le note positive e valutare quelle negative per modificarle in meglio. Al nostro buon senso, come classe politica, credo molto poco. Credo molto, invece, alla prevenzione e, soprattutto, all'impatto elettorale che possiamo avere, alla risposta in termini di voti di una determinata scelta. Perciò, potete rendervi conto di quale sia la mia posizione.
Tuttavia, ritengo che, se effettuiamo un'analisi obiettiva di noi stessi, dobbiamo riconoscere che quanto sto affermando in questo momento è cosa reale; ma da essa dobbiamo prendere le distanze, soprattutto analizzando il tema della malattia mentale. Non vorrei che l'ideologia del libero mercato diventasse l'ideologia della libera cura del malato mentale. Voi capite che cosa succederebbe: significherebbe «privatizzare» il malato mentale, con tutte le conseguenze possibili, rispetto alle quali sono contrario. Altrettanto, non ritengo il completo affidamento alle strutture esistenti, al sistema sanitario nazionale, nel modo in cui oggi si avvicina alla malattia mentale, un modo valido, non dico per la soluzione al problema perché, a mio avviso, è impossibile risolverlo radicalmente, ma per avere un approccio positivo nei confronti di questa malattia, nel senso di migliorare le condizioni, le strutture, la prevenzione, l'aggiornamento e così via. Se si sostiene che tutto è già da tempo risolto, è inutile procedere agli aggiornamenti di cui ho molto sentito parlare.
Mi sembra giusto che il modello italiano sia studiato negli altri Stati perché, nel nostro paese, sono stati chiusi i manicomi. Forse, bisognava aspettare di più, bisognava creare prima le strutture che sono mancate dopo. Questo è un discorso realistico che credo debba essere valutato positivamente perché, se procediamo alla riforma, questo tipo di strutture non potranno essere create all'improvviso o in tempi brevi.
Mi sono riproposto una domanda su un tema che è stato soltanto sfiorato, e cioè quello della copertura finanziaria di questa legge. Se fosse approvato, il provvedimento presentato dall'onorevole Burani Procaccini necessiterebbe di diecimila o ventimila miliardi (ipotizzo una cifra). Credo che sia illusorio soltanto pensare di realizzare una struttura ogni 80-100 mila abitanti che contenga 50 ospiti, con tutte le attrezzature di cui dovrebbe essere dotato, in realtà un minimanicomio. Non voglio entrare nel merito di che cosa dovrà essere tale struttura, però ritengo che questo progetto non sia possibile attuarlo. Il nostro ministro, non più tardi dell'altro ieri, ha affermato di voler chiudere tutti gli ospedali piccoli esistenti in Italia e non di volerli trasformare in strutture residenziali per assistenza continuata. La realtà dovrà essere valutata, quando procederemo ad esaminare il provvedimento, che prevalga la tesi dell'una o dell'altra proposta di legge. Si tratta di un discorso di fondo che dobbiamo fare a noi stessi altrimenti questo tipo di legge diverrebbe un incentivo ad aprire tante belle case private. Di solito, parlo in italiano e tutti mi capiscono. Non sono contrario all'apertura di tante case private per i malati di mente. In Abruzzo ce ne sono già molte e possiamo osservare i risultati provenienti da questa regione che, a mio avviso, è un modello, portato avanti prima dalla sinistra e poi da noi.
Inoltre, non ho ben capito se il modello protocollo terapeutico, certamente di origine ministeriale o assessorile, sia un dato positivo o negativo. Essendo stato affermato che ogni tipo di malattia mentale non è uguale all'altro, e mi pare che sia così per quasi tutte le malattie, non si può pensare al protocollo terapeutico per curare malattie che sono diverse o abbastanza diverse. Ho condotto una battaglia contro i protocolli terapeutici che si sono succeduti, da anni, in tutte le leggi finanziarie. È vero che in nome del risparmio si può stabilire una terapia a seconda che il paziente soffra di nefrite, sia malato di mente o sia depresso: si può risparmiare molto, soprattutto sulla competenza e sull'uso del medico. Gli psichiatri che ci sono bastano e avanzano, sono anche troppi, se ci si basa sul principio che il protocollo terapeutico è inevitabile, che deve essere seguito e che ad esso ci si deve attenere. Perciò, la mia terza questione è se sia o meno considerato un fatto positivo - non ho ben capito - il modello del protocollo terapeutico.
Non ho ascoltato nulla sull'eziopatogenesi della malattia, anche perché credo che questo sia un discorso che non riguardi questa Commissione, perlomeno non tutti i suoi membri, mentre invece avrei voluto che si fosse parlato un po' di più della questione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO).
In proposito chiedo il vostro parere, anche se capisco di fare una domanda un po' demagogica, ma che è abbastanza utile nella prospettiva di dover legiferare sul TSO, su cui nutro profondi dubbi dopo aver letto le proposte di legge che sono state presentate. Questo TSO lo possono chiedere tutti, anche il passante! Questo tipo di libertà nella richiesta del TSO mi crea molti problemi, quindi penso che sarà un argomento da discutere molto a lungo, mentre purtroppo lo stiamo facendo poco.
Perciò invito i colleghi a porre questa domanda a tutte le società scientifiche e ai gruppi che ascolteremo, perché ritengo che sia un argomento importante dal punto di vista popolare e della comprensione generale di questo provvedimento, per capire quando e quanto - cioè per quante volte - sia utile e quello che debba seguire ad un ricovero del genere, qualora dopo una settimana sia tutto risolto, anche se non credo che lo sia.
Mi pare, quindi, che la critica alla legge n. 180 del 1978 sia evidente, ma d'altro canto credo che sia una assurdità effettuare un TSO a chi dà fastidio! Credo che su queste cose occorra una riflessione nel momento in cui si decida di modificare la vecchia legge.
Per quanto riguarda la questione della singola volontà dell'operatore della ASL, dei provider privati e delle società scientifiche e quant'altro, credo che sia inevitabile questo discorso delle volontà differenziate a seconda delle strutture, delle competenze e dell'operatore, in questo caso del medico.
Per tornare al discorso dei protocolli, infatti, non credo proprio che possa esserci uniformità di approccio a questo tipo di malattia - su questo possiamo discutere in eterno -, perché l'ASL certamente ci dirà che «meno ricoveri fate, più somministrate terapie indifferenziate, meno costano queste terapie, più siete bravi», perché ormai la logica perversa è questa!
Mi pare che questo sia un discorso da tenere in conto, nei confronti del quale il medico si debba porre in modo critico, perché all'operatore sanitario che ottiene un premio a fine anno per il risparmio realizzato - bisogna che queste cose ce le diciamo -, non interessa se si spende di più per la malattia mentale, per quella tubercolare o per un altro tipo di malattia, perché comunque ha interesse a spendere di meno.
Non so se le moderne tecnologie di cui si parlava poc'anzi e le moderne scoperte anche di tipo farmacologico per curare questa malattia vadano d'accordo con i prezzi; penso che la dinamica dei prezzi sia in aumento, di pari passo con la ricerca e con i miglioramenti della tecnologia, mentre quella del risparmio sia in discesa.
Chiariamoci bene queste cose e quando ne parliamo facciamolo con buonsenso, ma anche sollevando le opportune critiche, in tutte le regioni, siano esse governate dal centrodestra o dal centrosinistra, perché questo è il grande problema che dobbiamo affrontare e nei confronti del quale abbiamo spesso idee preconcette; essere preconcetti di fronte a questa patologia significa trascurare un malato che, rispetto ad altre malattie, si trova in una posizione di grande debolezza, per cui chi lo prende in cura è gravato di una grande responsabilità nei suoi confronti.
Dobbiamo tenere presente anche questo, perché prima ho sentito che bisogna voler bene a questo malato - ritengo che si debba voler bene a tutti i malati! -, ma questo malato è più debole di altri; i malati di cancro e di AIDS si trovano forse in condizioni ancora peggiori, però questo tipo di malato, certamente, non ha nessuno che lo ha molto a cuore. Io credo che anche i familiari spesso non l'abbiano molto a cuore; alcuni se ne prendono cura per senso di responsabilità, alcuni per familiarità, però non credo che il malato di mente faccia piacere averlo in casa: penso che l'episodio dell'altro giorno, quello della donna pugliese che ha ammazzato la bambina perché colta da un raptus, sia stato una pugnalata al discorso del malato mentale libero di uscire di casa o da una casa protetta o da una struttura residenziale e assistenziale (SRA), dove ficchiamo tutti dentro e buonanotte.
Questo discorso lo sto facendo con molto senso di responsabilità, nei confronti sia dei nostri alleati sia della sinistra e delle associazioni che pensano che la legge n. 180 del 1978 non debba essere modificata né rivista. Penso, quindi, che dobbiamo muoverci tutti insieme con la volontà di arrivare ad una soluzione positiva, che significa migliorare la situazione attuale. Del resto questa è una Commissione in cui non ci sono mai stati grossi scontri, a parte questo e tranne alcune occasioni, come ad esempio quella rappresentata dal decreto legislativo n. 229 del 1999, ma spesso lo scontro era più con il ministro che non sui contenuti della legge.
Mi pare, quindi, che questo sia un dato di fatto, un'ammissione importante che io faccio, ma che hanno fatto anche altri colleghi di altri schieramenti politici.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

GIULIO CONTI. Occorre marciare verso la nuova legge, ascoltando molto chi ci viene a dare consigli ed estremizzando il meno possibile il dibattito, perché i rapporti di forza sono chiari e, se si votasse politicamente, credo che non arriveremmo a una buona legge; io mi batterò perché non si voti politicamente ma dal punto di vista scientifico, medico, umano e della solidarietà umana.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per consentire loro di rispondere alle domande poste.

GIUSEPPINA GABRIELE, Componente della segreteria nazionale di Psichiatria democratica. Vorrei interloquire con l'onorevole Conti, che con il suo intervento ha dimostrato, 22 anni dopo, che la questione della legge n. 180 del 1978 e della riforma psichiatrica non è più utilizzabile come una questione ideologica.
Nonostante io faccia parte di una associazione che storicamente si è connotata per essere vicina alla sinistra - lo dico perché è giusto essere chiari in queste circostanze -, non posso che dire che l'intervento dell'onorevole Conti è assolutamente condivisibile, perché le sue affermazioni sono inoppugnabili da un punto di vista scientifico.
Per quanto riguarda la questione del TSO, la cui decisione è affidata al sindaco e al giudice tutelare - che sono gli unici garanti, in questo momento, dell'applicazione del TSO -, una proposta che spostasse da queste autorità, riconosciute universalmente, a gruppi di cittadini costituenti una forma di giurì la competenza a stabilire se sia giusto o meno effettuare un TSO potrebbe essere addirittura rischiosa dal punto di vista costituzionale, perché noi ci ritroveremmo in una situazione in cui può essere limitata la libertà di un cittadino, per un tempo indefinito e senza che un'autorità garante, che può essere appunto, come accade adesso, il giudice tutelare, il sindaco o comunque un'autorità istituzionale, abbia accertato se questa limitazione di libertà sia o meno corretta.
Voi capite che quando entriamo in questi ragionamenti, allora bisogna effettivamente attenersi al diritto di tutti i cittadini, che è una cosa trasversale e non ha niente a che vedere con la politica.
La seconda questione - sempre a dimostrazione che in questo momento non c'è un dibattito ideologico ma scientifico - riguarda il fatto che la regione Friuli-Venezia Giulia, che è governata da una maggioranza di centrodestra, ha votato una risoluzione all'unanimità a favore del progetto obiettivo.

Il punto che noi poniamo come società scientifica e che mi fa condividere fino in fondo la questione, così come posta dall'onorevole Conti, è che non si regolano con legge le procedure scientifiche, culturali e formative che riguardano la libertà di scienza e coscienza dei medici e degli operatori: le indicazioni si possono dare con un progetto obiettivo nazionale.
È tema di un progetto obiettivo nazionale e di un osservatorio nazionale scientifico, come è stato chiesto dalla nostra associazione, stabilire la qualità, gli accreditamenti, cosa non sia stato fatto e quanto si debba ancora fare. Spetta ad un progetto obiettivo nazionale fare quel miglioramento della qualità dei servizi che l'onorevole Burani Procaccini mi pareva volesse sostenere.
Noi siamo favorevoli, quindi, a un progetto obiettivo che definisca minuziosamente la qualità dei servizi, il rapporto tra essi e l'università e tutte le cose che i colleghi hanno voluto sottolineare nel corso dei loro interventi. Ci sembra, invece, che volere entrare nel merito di queste questioni con una norma di legge cristallizzi ma, soprattutto, limiti la libertà di intervento che, per esempio, poneva il rappresentante dell'università, dicendo che ogni caso è un caso a parte e che un protocollo deve essere un protocollo che lascia al medico la possibilità di curare, che significa evitare di scrivere una proposta di legge che, in qualche modo, stabilisca il modo di intervenire.
Mi sembra abbastanza produttivo - e noi, come associazione, siamo disponibili ad andare in questa direzione - ragionare sulla possibilità di rinnovare il progetto-obiettivo nazionale e di inserire, al suo interno, tutti i miglioramenti sicuramente necessari a questa legge.

La seconda considerazione - peraltro, anche l'onorevole Mussolini, recentemente, in una trasmissione televisiva molto seguita, l'ha rivendicata - attiene alla questione della copertura economica. L'onorevole Mussolini affermava che è necessario il 10 per cento. Attualmente, non siamo neanche al 5 per cento della spesa. È chiaro che preliminare a qualsiasi discussione su una normativa è capire da dove si possano attingere le risorse per passare da questo 5 per cento, che ancora non è stato ottenuto, al 10 per cento della quota di investimenti sul servizio sanitario nazionale, che sembrerebbe necessario. Credo che una Commissione che, in questi anni, ha sempre discusso seriamente, e in questo modo mi pare abbia intenzione di continuare, non può che sottoporre al ministro questo punto preliminare, e cioè se ci siano le coperture finanziarie necessarie per la realizzazione di eventuali innovazioni che, a mio avviso, devono comunque essere iscritte in un progetto-obiettivo e non in una proposta di legge che rischia di riideologizzare un dibattito che non ha nessun motivo di essere ideologico.

GIULIO CONTI. Vorrei aggiungere una considerazione, nella mia qualità di medico e anche di sindaco. Quanto lei ha affermato lo comprendo benissimo. Anche a me è capitato un caso: è stato richiesto un TSO per un ragazzino che aveva dato di matto in un bar. È accorso il medico, lo psichiatra ha firmato la diagnosi del medico di base e lo hanno portato da me affinché ne disponessi il ricovero. Per fortuna, sono un medico, altrimenti sarebbe stato ricoverato. Ho domandato al paziente che cosa avesse fatto: la sera precedente, aveva mescolato la cocaina con un'altra sostanza e i relativi effetti perduravano ancora il giorno seguente. Recatosi in un bar, qualcuno lo ha provocato ed ha combinato un putiferio. Io gli avrei comminato altri tipi di punizione: voi conoscete la mia posizione sulla droga. Tuttavia, in quel caso, ricoverarlo per malattia mentale sarebbe stato folle. Certamente, se il sindaco non avesse avuto la laurea in medicina o, comunque, un po' di esperienza, avrebbe ricoverato quel ragazzino. D'altro canto, mi sono posto anche un'altra domanda: per avere una diffusione sul territorio del ricovero in questi casi, se non alla figura del sindaco, a chi ci si poteva rivolgere? Per rivolgersi al prefetto, bisognerebbe condurlo fino al capoluogo di provincia. Non era un problema di facile soluzione. L'istituzione più vicina, comunque, era il sindaco che, all'epoca, in base alla legge vigente, era anche il capo della sanità; attualmente gli rimane la competenza per i problemi igienico sanitari, avendo perso molto del suo potere. Questi sono gravi rischi. Ritengo che dobbiamo prestare molto attenzione a questo tipo di interventi, il TSO, a questo tipo di pratica, perché può provocare conseguenze. Essere stato ricoverato per malattia mentale, con crisi, costituisce un marchio che rimane sempre nella storia di un ragazzo.

MASSIMO DI GIANNANTONIO, Vicepresidente della SIPTECH. Intervengo per rispondere all'onorevole Caminiti. In questa materia, di eccezionale difficoltà e di tragica complessità, riscopriamo contraddizioni e dimensioni culturali e personali che sono alla radice della nostra civiltà. Mi spiego molto semplicemente. Gli italiani hanno una matrice culturale idealistica, perché la scuola italiana è improntata all'insegnamento di Benedetto Croce e, quindi, ha una cultura classica e umanistica che privilegia alcuni aspetti ideali. Gli anglosassoni, come sappiamo, sono educati ad una visione culturale di tipo pragmatico ed esperienziale. Nel campo della malattia mentale queste forti distinzioni culturali si ripercuotono in maniera scientificamente esatta. A proposito della malattia mentale, cioè, vi è chi pensa che il disturbo sia questione assolutamente psicologica, mentale, perché non disponiamo di alcuno strumento che ci consenta di affermare come avvenga il passaggio dalla materia cerebrale bruta al pensiero. Senza alcun tipo di sperimentazione reale, si è legittimamente autorizzati a credere che ciò che si distrugge è la mente, ciò che è leso è il processo psicologico, ciò che deve essere effettuato in termini terapeutici è il ripristino del vulnus psicologico. Quindi, c'è una dimensione esclusivamente psicologica della terapia mentale. L'altro è il filone storico-culturale di tipo pragmatico e ottocentesco, di tipo biologistico: il fondatore di questa disciplina è Emil Kraepelin, il quale aveva stabilito che ogni tipo di malattia mentale ha un suo correlato di patologia neurologica e, quindi, che occorre badare esclusivamente alla terapia biologica e cellulare. Si tratta di distinzioni che, nel corso del tempo, che hanno dato origine a grandi filoni culturali e scientifici in una eccezionale e grave conflittualità. Attualmente, la scienza pone fine a questa distinzione, che non ha più ragion d'essere.
Recentemente, all'Università cattolica, abbiamo organizzato un convegno mondiale di psichiatria e abbiamo invitato alcuni premi Nobel. Tra i più importanti vi era Gerald Edelman, lo scienziato più avanzato nello studio dell'integrazione tra corpo e mente, che ha iniziato a spiegarci come, con il meccanismo della migrazione cellulare e del cosiddetto presente ricordato, riusciamo, finalmente, ad accendere qualche luce sul superamento di questa dicotomia mente-corpo, specifica della cultura occidentale e italiana, largamente insufficiente per spiegare un fenomeno così complesso come la malattia mentale, che necessita assolutamente un approccio integrato. Non è per colpa di nessuno se ci sono matrici storiche grandiose ma è arrivato il tempo di spazzare via questo ciarpame un po' invecchiato.


PRESIDENTE. Credo che queste ultime riflessioni siano tutte nell'interesse del malato. Per cui, non ci possono essere divaricazioni che, alla fine, portano a divaricare anche il malato e tutti coloro che gli stanno attorno. Per la cultura che mi sono formato - anch'io sono un medico, anche se non mi occupo di questi problemi - ho notato che soffrono sia il malato sia le persone che gli stanno vicino. Questa dicotomia, spesso, si accentua con richieste di un maggiore o minore interventismo su problemi che devono essere risolti, come giustamente ha ricordato il sindaco. Se egli è un medico, a volte riesce a risolverli; se non lo è, non so che cosa possa accadere. Questa legge - voglio ripeterlo anche in questa sede - non era stata approvata con lo spirito di cambiare a tutti costi la n. 180 del 1978 ma di cercare di migliorarla, anche alla luce delle nuove conoscenze scientifiche perché, sia dal nostro punto di vista sia da parte dei proponenti, ci sembra un provvedimento datato che deve essere sicuramente rivisto ed aggiornato, anche dal punto di vista organizzativo e, soprattutto, economico. Se non riusciamo a realizzare le strutture che tutti auspichiamo, possiamo approvare o meno le leggi, ma rimarremo sempre allo stadio di parole e, praticamente, il programma che raccomandiamo non sarà attuato. Ad oggi, sulla base delle audizioni svolte e di quanto abbiamo ascoltato, ribadisco che già emergono notevolissime differenze tra le varie parti d'Italia. In alcune sedi la malattia mentale è curata e prevenuta in una determinata maniera, altrove in modo completamente diverso non tanto per mancanza di cultura o di medici, quanto di mezzi.
Ringrazio gli intervenuti e dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 12.30.


Rubrica realizzata in collaborazione con

Associazione Laura Saiani Consolati - BRESCIA
http://www.psichiatriabrescia.it

COLLABORAZIONI

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