Salute Mentale e lavoro di rete nelle aree urbane Dott. Tommaso LOSAVIO Direttore del Centro Studi dell'Azienda USL Roma E
Di tutta la mia carriera, quello a cui tengo molto è il fatto di aver chiuso il manicomio "Santa Maria della Pietà" di Roma, tant'è che ci vantiamo di dire che forse Roma è la prima capitale al mondo senza manicomio. Idealmente si è costituito questo lungo tavolo che va da Torino a Trieste e dall'Italia del nord fino a Matera intorno al quale si sono sedute tantissime persone e, forse, per la prima volta in una situazione diversa da quella che ha caratterizzato la storia della riforma psichiatrica in Italia in questi 20 anni. Noi sappiamo che in questi 20 anni siamo stati costretti a dividerci in due gruppi: quelli che difendevano la "180" e quelli che attaccavano la "180". Fra i provvedimenti illustrati dal dott. Ditta mancano circa 30 proposte di legge, presentate ai due rami del Parlamento, nei quali più gruppi politici hanno cercato di modificare la legge n. 180. Quindi da questo punto di vista, la storia è significativa. Questa situazione di frattura e di contrapposizione si è superata, ma questo non vuol dire si sono sanati i conflitti, che sono importanti perché lo scambio delle opinioni e il confronto tra le posizioni è assolutamente utile. Quindi siamo riusciti a sederci intorno ad un tavolo e, a dimostrazione che il problema della salute mentale non appartiene più soltanto agli operatori dei servizi, intorno a questo tavolo si sono seduti soprattutto le associazioni degli utenti, le organizzazioni di volontariato, le amministrazioni regionali, il Ministero della Sanità e le amministrazioni aziendali. Questo è un progetto di salute mentale che non riguarda solo le logiche organizzative, gestionali, tecniche e specialistiche dei servizi, ma è una cosa che coinvolge a rete tutti quelli che tengono alla salute mentale. Quando uno psichiatra anziano come me, che ho attraversato più di 30 anni di storia significativa di trasformazione nell'assistenza, si occupa di reti in realtà non può non evitare di pensare a delle reti verticali e non orizzontali. Erano le reti con le quali ci siamo confrontati nei manicomi, erano le reti dentro le quali ci siamo chiusi con i pazienti, sono le reti che abbiamo cercato di tagliare e buttare giù, e mi piace pensare che quelle reti oggi si sono orizzontalizzate, sono diventate reti che non separano, che non chiudono. Quindi sono reti che abbiamo definitivamente abbattuto che cerchiamo di costruire in un senso completamente diverso. E' interessante come la stessa parola serva ancora oggi ad indicare cose molte diverse. Questa rete, che è servita per tantissimi anni a separare, a creare le differenze, a separare la normalità dalla follia, a separare i pericolosi dai non pericolosi, oggi è una rete orizzontale che cerca di raccordare i vari attori sociali e di ampliare le risorse di un determinato territorio. Invece ritengo che il termine "territorio", entrato nel gergo comune degli operatori e degli amministratori, è un po' abusato. Di fatto il termine territorio è entrato come termine gergale in sostituzione del servizio ospedaliero. Quindi servizio territoriale in contrapposizione al servizio ospedaliero. Secondo me nella terminologia anglosassone c'è un termine più corretto per definire il servizio territoriale, che è il community service. La differenza terminologica fra servizio territoriale e servizio di comunità non è così sottile e quindi, parlando di reti, non dovremmo più utilizzare il termine territorio, ma dovremmo cominciare ad utilizzare sempre più il termine di comunità locale. La differenza tra territorio e comunità locale non è solo terminologica, ma è la stessa differenza esistente tra geografia e storia, in quanto la geografia appartiene al territorio e la storia sicuramente appartiene alla comunità. E' la differenza che c'è tra le cose e le persone, tra gli spazi non luoghi e gli spazi relazionali che sono tipici della comunità, fra oggettività e soggettività, tra topografia e cultura. Allora, in questo senso, il territorio può rappresentare semplicemente uno spazio da colonizzare; ogni bisogno può trovare una risposta più o meno organizzata, e più o meno adeguata, ma gli interlocutori di quel territorio non esistono. Si parla di analisi di bisogni, in realtà il bisogno viene predefinito in termini di risposta e gli interlocutori, al massimo, sono dei soggetti passivi, non dotati di proprie competenze, risorse, idee, storie e culture. In fondo credo che i territori possono somigliarsi tutti fra di loro, ma ogni comunità locale è diversa dalle altre ed ha una sua ben delineata fisionomia. Se è vero, come afferma la maggior parte degli autori che si sono interessati allo studio delle reti sociali, che le loro radici storico-politiche risiedono soprattutto nei movimenti totali degli anni '60 -'70, per esempio quello della lotta alle istituzioni, nella crescita dei gruppi di self help, e in tutti i movimenti politici sociali impegnati nella conquista dei diritti sociali, non può che essere nella comunità locale la collocazione degli interventi per la salute mentale. Il lavoro di rete, sia nelle aree urbane che in quelle non urbane, costituisce la linfa vitale per la crescita della comunità, per la promozione della salute mentale, ma non solo, sia dei soggetti sani che di quelli non sani, sia dei soggetti che si ammaleranno che di quelli che non si ammaleranno. Quindi la logica è completamente diversa da un servizio di psichiatria in quanto quest'ultimo ha la rete verticale mentre un servizio di salute mentale ha una rete orizzontale. Questa, secondo me, è la differenza fondamentale. Da questo punto di vista che quello di psichiatria sia un servizio non più nel manicomio ma nel territorio non fa nessuna differenza. Il superamento della visione settoriale del territorio (luoghi di cura, luoghi di lavoro, la famiglia, la scuola, gli amici) e l'esame comprensivo ed estensivo del campo sociale in cui le persone e i gruppi sono immersi, rappresentano un cambiamento decisivo, teorico e pratico, nel passaggio dalla psichiatria alla salute mentale. E', secondo me, la differenza tra deistituzionalizzazione e deospedalizzazione. Noi sappiamo che ancora oggi molte realtà istituzionali sono state superate attraverso un processo di deospedalizzazione, sappiamo che le caratteristiche da cui nasce la legge di riforma psichiatrica è una sorta di deistituzionalizzazione che investe non solo il passaggio dei pazienti dall'interno dell'istituzione all'esterno, nel territorio, ma un cambiamento di cultura di tutto il corpo clinico, scientifico e pratico che agiva intorno a questo problema. La deistituzionalizzazione non riguarda solo i pazienti, ma riguarda anche gli operatori e gli amministratori e la deospedalizzazione è semplicemente un processo di trasferimento dei pazienti da un luogo ad un altro. La strategia del lavoro di rete si dovrebbe fondare su cinque punti:
Sicuramente tra le aree metropolitane e quelle non metropolitane ci sono delle differenze. Io credo che il problema non sia solo la grandezza della città perché questa è una dimensione di tipo territoriale, ma io credo che sia un problema di cultura della comunità con la quale vado a confrontarmi. Sicuramente nelle aree metropolitane le reti interpersonali tendono ad essere più ampie, diversificate e meno dense di quanto possono essere in piccole comunità e forse più specializzate nei contenuti. Il peso del sistema informale (i vicini, i parenti, ecc.) nell'area metropolitana, forse è meno significativo, ma anche i vincoli - perché la rete oltre che ad avere dei vantaggi dà anche dei vincoli possono contare diversamente e forse possono essere più pesanti nella comunità non metropolitana. Quindi ci sono aspetti positivi e negativi, ma credo che nella piccola comunità alcuni valori coercitivi, simbolici e rituali possono essere un vincolo più che un vantaggio. Comunque, la qualità e l'ampiezza della rete non esiste mai a priori, ma è il risultato della capacità, delle motivazioni personali e dei diversi sistemi a creare, sviluppare e modificare le relazioni significative. L'intervento psichiatrico ha sempre oscillato, e continua ad oscillare, tra due apparentemente istanze sociali, la cura ed il controllo, permeate entrambe dall'ambiguità di fondo di due paradigmi che le sottendono: il modello medico e quello giuridico. Lavorare per la salute mentale vuol dire anche interessarsi alle relazioni, conoscere la qualità e il mondo in cui si sviluppano in quel determinato contesto sociale, cercare di conoscere i processi e i contenuti della relazione ma anche quali legami sono da sviluppare a quali invece da scoraggiare. L'operatore dei servizi per la salute mentale, e quindi non più l'operatore di psichiatria, di fronte ad uno specifico problema - considerato non più come espressione di sofferenza soltanto del singolo, ma di quella comunità - dovrebbe anche essere in grado di capire e quindi di sviluppare relazioni utili e di disincentivare le relazioni dannose. Ovviamente, tutto ciò non può verificarsi se i servizi sono servizi di psichiatria e non di salute mentale, che tendono a rimedicalizzarsi, a rimanere esclusivamente in una logica specialistica riproponendo teorie pratiche fondate comunque e soltanto sul patologico. Al contrario, se l'operatività dei servizi e dei singoli operatori di salute mentale tende alla continua e paziente ricerca, in ogni ambito e fase dell'operare, al collegamento della pratica specifica del campo disciplinare e con la visione più generale della espressione e delle ragioni del disagio, sarà possibile ricercare i livelli più ampi di comprensione, intervenire concretamente in essi per introdurre stimoli, per promuovere modificazioni e favorire potenzialità e risorse. La comunità locale, come molteplicità di soggetti, diventa allora punto obbligato di un intervento sulla normalità, e quindi non più sulla patologia, per promuovere i processi concreti di salute con due finalità prevalenti: cercare di modificare gli stereotipi, i fantasmi, le aspettative intorno alla follia di quelle persone che ammaleranno, ma anche di quelle che non ammaleranno; porre, in quanto rete formale della comunità sociale (rete formale della rete sociale più ampia), la questione della qualità dei rapporti tra i suoi componenti, sviluppando le potenzialità della rete informale (quella dei parenti, degli amici, ecc.) e favorendo la crescita e lo sviluppo della rete seminformale (il volontariato e le associazioni). E' così possibile contribuire alla promozione della salute mentale all'interno di quella data comunità locale, e non più del territorio soltanto, favorendo la possibilità per tutti, sani e non sani, di essere soggetti autonomi, al più alto livello possibile, nella comunità di appartenenza e costruire opportunità di integrazione che non costringano a modelli di omologazione o di espulsione. |
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