Nadia MARANGI Dirigente del gruppo di Self Help "Il Gabbiano" di Martina Franca (TA)
Credo che sia necessario innanzi tutto delineare le nostre tappe all'interno delle esperienze di rete. Noi, già da tre anni siamo diventati associazione, oltre che essere gruppo di self help. L'associazione il Gabbiano nasce nel 1997 dopo un'esperienza di due anni. La caratteristica del gruppo prima e dell'associazione poi, è la partecipazione aperta non solo agli utenti psichiatrici senza distinzione di patologia, ma anche ad operatori e volontari. Sin dall'inizio, infatti, abbiamo pensato che il modo migliore per cercare di diffondere una cultura nuova sul disagio mentale fosse quello di coinvolgere tutti i soggetti coinvolti in questa problematica, quindi non solo quelli direttamente interessati. Siamo partiti dalla condivisione nel gruppo del nostro disagio e delle nostre esperienze nel servizio psichiatrico per arrivare alla decisione di riunirci in associazione, in modo da dare una veste giuridica ben definita al nostro gruppo ed avere, in tal modo, la possibilità di collaborare non solo con il CSM ma anche con le altre realtà che operano a Martina Franca. Un po' come i cerchi concentrici che si formano e man mano si allargano attorno ad una pietra gettata sulla superficie tranquilla di uno stagno, così attorno a noi si è avuta una risonanza tale da portarci oggi, davanti a voi, a testimoniare quello che è stato fatto. Effettivamente l'esperienza di Martina Franca è stata come una pietra rara nello stagno torbido della psichiatria pugliese e la rete di gruppi di autoaiuto che inizialmente hanno fatto riferimento a noi e con i quali continuiamo a mantenere contatti attraverso l'associazione, comprende attualmente i paesi di Crispiano, Massafra, Manduria, Cisternino, Fasano e Brindisi. Nell'ottica delle alleanze con il servizio pubblico e con la volontà di dare una visibilità esterna a quella che fino ad allora era stata semplicemente un'attività riabilitativa, che come tale rischiava di diventare un'ergoterapia fine a sé stessa, abbiamo deciso di far diventare il giornale che veniva prodotto all'interno del centro diurno Macondo lo strumento di informazione e di espressione della nostra associazione. Abbiamo, quindi, legalmente registrato la testata al Tribunale di Taranto, ci siamo iscritti alla Camera di Commercio, scegliendo l'editoria come attività marginale, e abbiamo pubblicato, inizialmente a nostre spese, e solo nell'ultimo anno con un contributo del DSM di Taranto, il giornale "Il pianeta di Ostut". Nel novembre 1998 viene approvato dalla Comunità Europea un progetto presentato nella primavera dello stesso anno dalla cooperativa sociale Eureka di Martina Franca. Tale progetto, della durata di un anno, nato dalla collaborazione tra centro diurno Macondo, associazione Il Gabbiamo e cooperativa Eureka, ha come scopo quello di creare una rete tra centri diurni, servizi, associazioni e cooperative che operano in psichiatria e di utilizzare come mezzo di collegamento tra queste diverse realtà un giornale che, come "Il Pianeta di Ostut", venga realizzato quasi per la totalità dagli utenti. Il progetto Pianeta Europa questo il nome dato all'iniziativa raccoglie i consensi di circa 60 realtà sparse in tutta Italia e ancora oggi alcune di queste collaborano con la redazione del nostro giornale. Risultato di un lavoro di rete è anche il libro fotografico "Viaggio nel Meridione Immagini di ordinarie utopie da noi pubblicato nel febbraio di quest'anno, frutto di due anni di lavoro necessari non solo per raccogliere il materiale fotografico, ma anche e soprattutto per lo svolgimento di dibattiti e confronti tra le 13 realtà che hanno partecipato alla sua realizzazione nel duplice ruolo di committenti e autori. Le foto di Arnaldo Di Vittorio sono una testimonianza visiva immediata e diretta di ciò che è possibile realizzare se vi è uno sforzo comune dei soggetti coinvolti nelle problematiche della salute mentale. Come scrive Basaglia nella prefazione a "Ideologia e pratica della psichiatria sociale" di Maxwel Jons: "Se non mantiene presente la struttura socio-economica su cui si agisce, non ci si rende conto di procedere continuando a creare tecniche che si riducono a pure illusioni". La presenza di oasi sparse sul territorio dello Stato Italiano in cui vi sono residenze, centri diurni e servizi territoriali che funzionano, non significa che bisogna abbassare la guardia. La sensazione, infatti, che si ha negli ultimi tempi è che ci troviamo di fronte a una situazione di sempre maggiore emergenza. Troppo spesso manca la capacità di progettare all'interno dei D.S.M. e ancora più spesso mancano le risorse umane realmente motivate, e a volte per niente preparate ad un lavoro di equipe, per cui i servizi rischiano di diventare degli ambulatori psichiatrici, e i centri diurni dei luoghi dove gli utenti vengono solo parcheggiati. Quello che succede in regioni come la Puglia dimostra come lì dove le amministrazioni regionali non hanno una reale volontà di attuare una politica di intervento sociale, il pericolo di ricreare dei piccoli manicomi è maggiore. Ciò che preoccupa, ad esempio, è non tanto il fatto che le strutture a cui sono state affidate la maggior parte delle persone uscite dagli ospedali psichiatrici siano private, quanto il fatto che non ci siano controlli e ci si chiede, quindi, quali possono essere le condizioni di vita, ad esempio, in una struttura come quella di Taviano che ha 120 posti letto. I continui tagli operati da alcuni D.S.M. ai fondi destinati ai centri diurni, la scarsa importanza data da alcune ASL all'operato delle cooperative sociali e la scarsa valorizzazione del loro lavoro o, addirittura, il mancato pagamento delle commesse, diventa un modo indiretto per emarginare ed isolare; un modo sottile per ricreare la separazione attuata attraverso il manicomio. La tendenza diffusa un po' in tutta Italia di creare gruppi di self help specifici per ogni patologia richiama alla mente la divisione in padiglioni diversi che veniva fatta negli ex ospedali psichiatrici. In questo quadro in cui sempre più spesso anche gli operatori che lavorano in quelle piccole oasi di cui prima parlavamo, vengono messi alle strette e in qualche modo costretti a piegarsi alle regole del gioco, rimane solo da chiedersi se e quando anche loro si arrenderanno definitivamente e quelle piccole oasi saranno solo illusioni ottiche. Voglio precisare che io non sono un'operatrice; io sono una mancata ragioniera, diplomata in pianoforte, che attualmente lavora in un centro di trascrizioni per non vedenti. Da tre anni sono Presidente dell'associazione Il Gabbiamo solo perché legalmente è previsto che un'associazione abbia un Presidente. In realtà mi piace considerarmi come la voce di quelle persone che cinque anni fa, e ancora oggi continuano a darmi gli stimoli e la forza per andare avanti. Sono persone che hanno condiviso e condividono con me il mio malessere e che per me non hanno ruoli, ma soltanto dei nomi. Penso che questa sia la cosa più importante: ognuno di voi, all'interno di ogni ruolo svolto nel campo della psichiatria e delle amministrazioni, deve ricordare che noi abbiamo una storia, abbiamo una nostra vita passata e qualcosa da dire. |
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