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Dibattito tra Ettore Perrella e Antonello Sciacchitano
su psicoanalisi e psicoterapia:
un appassionato "litigio" tra due analisti lacaniani

Seconda parte di dieci parti

(Vai alle parti 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10)


Da Sciacchitano a Perrella

Milano, 29 luglio 1997

Caro Ettore, ho ricevuto stamani la tua circolare. Che ha fatto precipitare in me considerazioni rimuginate da tempo. Preferisco comunicartele privatamente per molti motivi, non ultima la familiarità della discussione, che può svolgersi come dialogo filosofico e non come pubblica diatriba.

Ti dico brevemente come oggi leggo la tua posizione alla luce del tuo libro e della collaborazione, che ormai, in linguaggio finanziario, si può chiamare di medio periodo. Naturalmente, tutta la mia argomentazione discende logicamente dall'interpretazione iniziale, che sarai tu stesso a dirmi se ti sembra corretta e accettabile.

Ridotto all'osso, il tuo discorso mi sembra consistere in due tesi, A e B, di cui la seconda (B) dipende dalla prima (A) attraverso un a fortiori.

La tesi A (sottoscritta anche da Baldini, mi pare) [vedi però la replica di Franco Baldini riguardo a questo passaggio - N.d.R.] recita che lo Stato non può normare la psicoterapia, così come non può normare ogni altro processo di formazione soggettiva, che deve svolgersi in piena libertà. La tesi B sostiene che, a maggior ragione, lo Stato non può normare la psicanalisi che della psicoterapia rappresenta l'ideale vertice etico.

Da questa teoria discende la tua politica che, semplificando fino ai limiti del banale - ma il banale può servire a chiarire - si riduce a difendere la psicoterapia per difendere la psicanalisi. È la tesi di Giacomo Contri o, in versione laica, di Pier Francesco Galli.

Ti spiego perché la mia politica non è la tua. Perché non si basa né su A né su B. Che ora provvedo a smontare. La conclusione anticipata è che ritengo la tua politica per la psicanalisi inefficiente, essendo basata su tesi dubbie. Ciò non toglie che ritenga interessante e anche piacevole collaborare con te anche sul piano politico (su quello teorico non mi sembra ci siano problemi).

Per quanto riguarda A, sostengo che lo Stato ha diritto, forse anche il dovere, di normare la psicoterapia. Perché è vero che la psicoterapia è un processo di formazione soggettiva. Ma è un processo assai particolare che, meglio di formazione, si potrebbe chiamare di conformazione. La psicoterapia, infatti, è un processo di conformazione del soggetto all'ambiente e ai suoi tiranni, affinché vi possa vivere nel modo più tranquillo e confortevole, ottemperando ai criteri del moralismo vigente. Poiché la psicoterapia è un'attività finalizzata al conformismo, lo Stato ha diritto d'intervenire, controllando se è distribuita e applicata in modo conforme ai parametri della vita civile che, come Stato, ha il dovere di difendere e promuovere. Metti caso che una variante psicoterapica conformi gli adepti alla delinquenza... è solo un paradosso (non tanto irreale!) per dimostrare la necessità del controllo statuale.

Le nostre strade teoriche, e quindi le strategie politiche, cominciano a divergere da qui. La divergenza si fa maggiore passando alla tesi B, che è quella che mi interessa di più. Lo dico in breve. È falso che la psicanalisi rappresenti il vertice etico ideale della psicoterapia, semplicemente perché il progetto psicoterapeutico, essendo di conformismo, non è etico. La psicanalisi è un'etica, su questo concordiamo, ma la psicoterapia, al più, è moralistica. Concordiamo anche sul fatto, credo, che sull'etica lo Stato non può intervenire; ma può intervenire sul moralismo, se ne va dell'equilibrio della convivenza civile. La precisazione serve a battere la concezione, tipica delle grosse istituzioni burocratiche della psicanalisi (École milleriana, Società Psicoanalitica Italiana [SPI]), che recintano il campo della psicanalisi come sottocampo (pretestuosamente considerato più nobile) all'interno di quello psicoterapeutico.

E il taglio della sovversione freudiana dove va a finire? Siamo ancora nel campo ippocratico? No, grazie, non ci tengo a patenti di nobiltà, se devo farmi ammorbare da quello che il buon Lacan chiamava tanfo ippocratico. La psicoterapia, infatti, è l'ultimo avatar di Ippocrate, come testi alla mano si può facilmente dimostrare.

Recentemente a Torino ho tenuto una conferenza dal titolo "Guarigione senza terapia". Argomentavo che in psicanalisi non ci può essere terapia, tanto meno psicoterapia. Infatti, le forme di terapia a noi note sono solo due e parenti: una della salvezza religiosa e l'altra della ripristinazione medica allo status quo ante. Entrambe, per motivi diversi facilmente immaginabili, non si danno in psicanalisi. In psicanalisi si dà, però, continuava la mia conferenza, guarigione. E precisavo, appoggiandomi al Nietzsche della Gaia Scienza e di Così parlò Zarathustra, che si tratta di guarigione nel senso intransitivo di Genesung ("io mi guarisco"), comunemente tradotta "convalescenza", contrapposta alla transitiva Heilung ("io ti guarisco"), da tradursi umoristicamente sanatoria. In psicanalisi succede che "io mi guarisco", mutando la mia intelligenza delle cose. Non succede che "tu mi guarisci", imponendomi il conformismo di cui sei rappresentate garantito e abbondantemente pagato dal potere dominante.

Questa, esposta brevemente, è la base teorica che fonda la mia politica della psicanalisi. Che tu non puoi scambiare per pusillanimità se, in una riunione plenaria di Spaziozero, mi sento di consigliarti benevolmente di non fornicare troppo con le commissioni ministeriali per la psicoterapia. Il rischio che a Bologna Sergio Contardi tentava, sorretto solo da Nicla Picchi, di esorcizzare è un corollario della precedente analisi logica. Lo Stato già interviene propriamente sul terreno psicoterapeutico come su terreno di sua competenza. Se tu, come psicanalista, sconfini in terreno psicoterapeutico, forzi lo Stato a intervenire - e allora sarà in modo improprio - in campo psicanalitico.

La psicanalisi, caro Ettore, se sopravviverà, non sarà mai per meriti acquisiti affaccendandosi con le commissioni ministeriali e contrabbandando se stessa sotto il velame della psicoterapia. Perché tra psicanalisi e psicoterapia - ormai dobbiamo convincercene e cominciare a elaborare il lutto, se (con la complicità delle istituzioni di appartenenza) non l'abbiamo ancora fatto - non c'è rapporto. La psicanalisi sopravviverà, forse, perché saprà riproporre la novità del suo discorso etico e del suo legame sociale nello squallore intellettuale e morale in cui viviamo oggi (e sulle cui cause ci sarebbe da aprire un lungo discorso, che coinvolge la portata della big science e dei suoi derivati tecnologici, a fronte della pochezza teorica del discorso ermeneutico).

Concludendo, credo d'averti dimostrato perché la mia prudenza politica non è viltà. Non credo d'averti convinto e ti confesso che neppure mi piacerebbe. Spaziozero, movimento per la psicanalisi laica (e non per la psicoterapia laica!) non è un monolito. Ha spazio per posizioni teoriche diverse e strategie politiche differenziate. Certo, la mia posizione è diversa dalla tua, benché più vicina alla tua della psicanalisi intesa come scienza da Baldini. É, se mi perdoni un po' di nostalgia, una posizione pidiuppina. Ma questo vuol dire che in Spaziozero ci sarà dibattito ideologico. E tu sai che allora non mi sottraggo.

Cordiali saluti, Antonello.


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