PSICOPATOLOGIA E CRIMINALITA'. Luciano Bonuzzi
DALL'ETÀ DI MEZZO AI TEMPI MODERNI FERMENTI DOTTRINALI ALLE ORIGINI DELL'ETÀ CONTEMPORANEA CRIMINALITÀ E ORGANIZZAZIONE ANATOMICA CONTRIBUTI CLINICI ALLA CRIMINOLOGIA
Dall'eta' di mezzo ai tempi moderni Idlegardo di Bingen (15), in pieno Medio Evo, spiega che la bile nera, responsabile della malinconia, sale nel corpo dopo il peccato di Adamo: trasgressione e malinconia sono così saldamente associate in una prospettiva ideologica che risulta ampiamente condivisa per secoli in tutta Europa. Pure la Regola salernitana, che sintetizza il sapere medico medioevale, attribuisce all'atrabile quei tratti temperamentali negativi che orientano i malinconici verso il peccato: invidia, cupidigia, avarizia, inclinazione alla frode (16). La bile nera, in altre parole, sostanzia il temperamento che predispone alla trasgressione. Ma anche la bile gialla, secondo la Regola salernitana, è un umore a rischio in quanto favorisce la superbia e gli scoppi d'ira (17). E' poi ben noto che quando l'inclinazione temperamentale degenera in malattia le facoltà dell'anima, come vuole la tradizione classica, possono risultare gravemente offuscate. Galeno, un autore assai letto e commentato nell'età di mezzo, aveva ben rilevato come nelle freniti, nella malinconia etc. si veda chiaramente che "l'anima è signoreggiata dai mali del corpo" (18). La questione è di grande interesse non solo dottrinale, in quanto solleva la questione del libero arbitrio e dei suoi limiti, ma anche pratico perché legittima, o non legittima, la concreta discriminazione della responsabilità personale in tema di eresia e di criminalità in presenza di una malattia. Dal determinismo galenico, d'altra parte, prende le distanze Tommaso (19) quando afferma che una cosa è l'inclinazione temperamentale, dovuta alla mescolanza degli umori, ed altra cosa è invece l'intervento dell'anima: un puro spirito che governa il corpo e può, addirittura, combattere le passioni dovute al temperamento. Il problema non è di facile soluzione in quanto si fronteggiano due linguaggi e due modelli di sapere con implicazioni concrete assai radicali: si tratta, infatti, di discriminare fra colpa e malattia, fra possibile condanna e fatale deresponsabilizzazione. Soprattutto negli ultimi secoli del Medio Evo il dilagare dei processi per eresia e per stregoneria svela quanto possa essere aspro il confronto fra linguaggi diversi e saperi diversi quando si misurano con lo stesso oggetto. L'eresia e la stregoneria sono, fuor di dubbio, fenomeni di grande rilievo ideologico che richiamano l'attenzione di legisti, inquisitori ed anche di medici nello sforzo di interpretare ed arginare i complessi fermenti che, nei primi secoli dopo il Mille, percorrono l'Europa destabilizzando, ma anche rinnovando, i più consolidati ordinamenti sociali. Le Crociate, il rifiorire della spiritualità, l'eresia che serpeggia lungo l'arco alpino testimoniano quanto fosse ampia e profonda la spinta al rinnovamento. Le Crociate, anticipate da migrazioni collettive senza mete precise e colorite da saccheggi ed esplosioni d'anti-semitismo, puntano su Gerusalemme ma, per quanto concerne il dis-ordine, travolgono anche altri territori da Zara a Costantinopoli dove gli occupanti, guidati da un doge cieco, si abbandonano ai crimini più efferati. Vi sono, tuttavia, anche crociate estranee alle terre d'oltremare come quelle contro gli eretici albigesi e la cosiddetta crociata dei bambini: una sorta di psicosi collettiva che, conclusasi a Marsiglia con la vendita dei partecipanti, ha suscitato qualche interesse fra gli storici ottocenteschi della psichiatria (20). D'altra parte, in un momento tanto aspro, l'amore cristiano e la povertà apostolica vengono testimoniati da S. Francesco e dai suoi discepoli con modalità così forti da indurre, qua è là, il sospetto della pazzia. Lo stesso Francesco viene insultato "come un pazzo, un demente" dai concittadini di Assisi che gli lanciano contro fango e pietre ritenendolo "uscito di senno" (21). In effetti, non sembra facile valutare correttamente i fermenti spirituali del tempo che vede fiorire vasti movimenti ereticali come quello dei valdesi e dei catari accanto a sette come quelle dei flagellanti. La povertà e la predicazione apostolica, l'aspirazione a vivere di elemosina, le improvvisate aspettative del laicato etc. sono le cruciali questioni che appassionano gli eretici suscitando le perplessità del potere civile e religioso. E' in questo contesto infatti che si impone il tribunale dell'Inquisizione con il compito di individuare ed emendare l'eresia. La vicenda della setta di frate Dolcino (22) - fra Duecento e Trecento, quando il Medio Evo volge alla sera - rivela peraltro come agli occhi dei contemporanei fosse difficile mettere a fuoco e circoscrivere con chiarezza l'ambito del dissenso religioso vero e proprio in quanto l'eresia sembra ora sfumare verso la criminalità ed ora verso la pazzia. La storia della setta, in ogni modo, ha un indubbio sapore esemplare. L'eresia dolciniana è preceduta dalla predicazione di certo Gerardo Segarelli, "illetterato e laico, idiota e stolto", che veste alla maniera degli apostoli e va "a letto nudo con donne nude per provare se riusciva o meno a mantenersi casto". Gerardo, pur dicendo parole vane, riesce a raccogliere un folle gruppo di "porcai e guardiani di vacche" che aspirano a vivere di elemosina e che, a scopo rituale, si scambiano il loro unico vestito dopo essersi spogliati etc. Il Segarelli, con le sue stranezze, viene alla fine ritenuto pazzo tanto da essere caritatevolmente ospitato, piuttosto che custodito, dal vescovo di Parma quale "buffone idiota e stolto". Fra' Dolcino, sul piano dottrinale e comportamentale, si ricollega, appunto, a Gerardo Segarelli ma, a differenza del predecessore, solleva contro l'autorità un'autentica e violenta ribellione stroncata, dopo lunga resistenza, nella settimana santa del 1307. Fra' Dolcino, che contesta l'insegnamento storico e la gerarchia temporale della Chiesa, subisce un esemplare supplizio con la sua compagna, la bella Margherita, che Bernard Gui definisce "scellerata compagna di delitti e di follia" pur ritenendola "donna non tanto criminale quanto eretica". Il supplizio, che ostenta ogni atrocità, viene sopportato con impassibilità da Dolcino che lascia trasparire un cenno di sofferenza solo quando gli vengono strappati il naso e il membro virile "perché allora esalò un profondo respiro che gli uscì dalle nari". Benvenuto da Imola commenta che "avrebbe potuto essere definito martire se, a creare il martire bastasse il supplizio e non l'intendimento del suppliziato". La storia di personaggi come Segarelli e Dolcino, "dementatus a dyabolo", oscilla agli occhi dei contemporanei fra eresia, criminalità e follia. L'allusione alla follia si pone però in termini vaghi, quasi metaforici, senza quei rimandi espliciti alla clinica che aprono le porte ad una concreta e fondata deresponsabilizzazione. Questa ambiguità di linguaggio e di prospettive si coglie anche nelle storie di stregoneria, un vero campo di battaglia per il demonio. La stregoneria, nell'elaborazione matura e ben strutturata degli inquisitori, è caratterizzata da un patto fra la donna e il diavolo che la ripaga sia concedendo poteri magici - ad esempio, di distruggere il raccolto - sia con le orge del sabba, dove si banchetta con carne di bambino; la strega si reca all'incontro cavalcando un manico di scopa dopo aver cosparso il proprio corpo con unguenti magici. Secondo Ginzburg (23) questo viaggio al sabba rielabora il tema del viaggio nell'aldilà che si raggiunge attraverso esperienze estatiche. La stregoneria, in ogni modo, è un fenomeno assai complesso dove convergono marginalità, comportamenti anti-sociali e tenaci espressioni della cultura subalterna. Nel Canon Episcopi di epoca carolingia i vissuti di quelle donne che narrano di un patto con il diavolo vengono considerati l'espressione di semplici illusioni, ma con il passare del tempo la tolleranza sbiadisce. Con l'attivazione della cultura antica, tipica dell'età umanistica, la distanza fra il mondo familiare alla strega e l'ordinamento culturale degli inquisitori diventa infatti incolmabile e alla tolleranza subentra la persecuzione. Nel periodo di più aspro conflitto fra Riforma e Controriforma la caccia alle streghe sembra poi esprimere un bisogno esasperato di lotta contro un mondo tanto incomprensibile quanto carico di potenziale dis-ordine. Urlico Molitor e Corrado Schatz (24), rivolgendosi in veste di educatori a Sigismondo d'Austria, sottolineano con estrema lucidità il pericolo della stregoneria nei confronti dell'ordine sociale. Per non lasciare spiragli al dubbio ed alle incertezze ermeneutiche, il Malleus maleficarum, il più classico fra i manuali inquisitoriali, mette addirittura in guardia contro quelle argomentazioni laiche che parlano di qualche "difetto di natura" (25) per mettere in forse il potere dei diavoli e delle streghe. Si tratta, infatti, di un pericolo reale ad elevato potenziale criminogeno, che non va banalizzato ricorrendo ad argomentazioni cliniche deresponsabilizzanti. L'interpretazione recente di alcuni psichiatri e storici della medicina - Charcot (26), Gilles de la Tourrette (27), Richer (28), Castiglioni (29), Pazzini (30), Zilboorg (31) etc. - che considerano la stregoneria in una prospettiva essenzialmente psicopatologica è, d'altra parte, riduttiva almeno quanto, a suo tempo, lo era l'interpretazione degli inquisitori. La stregoneria esprime, infatti, fenomeni molto complessi, come si è già rilevato; è, tuttavia, fuor di dubbio che molte malate, fatalmente emarginate dalla malattia, siano diventate il capro espiatorio d'elezione nello scontro fra culture tanto diverse e lontane come quella degli inquisitori, da una parte, e quella dei circoli sabbatici dell'arco alpino, dall'altra. Nel Rinascimento, ad ogni modo, non sono mancate le voci in difesa delle streghe. La più appassionata è, senza dubbio, quella di Wier (32) che le considera malate. Ma anche in Italia Cardano e Della Porta sollevano la questione del possibile dis-ordine mentale che sposta il problema dal contesto dell'eresia criminale al contesto della psicopatologia. Cardano, descrivendo una forma di possessione epidemica osservata in una comunità romana di giovinette orfane, racconta di sessanta fanciulle che "in una sola notte diedero segno di essere divenute possedute dal Demonio" ma non pensa a nulla di concreto. Sospetta piuttosto le esalazioni del luogo o l'influenza dell'acqua "che muta gli umori"; ipotizza anche la "simulazione" richiamando l'attenzione sul possibile ruolo della suggestione reciproca in una comunità chiusa dove il dialogo decade a monologo. E monologo, in fondo, è proprio l'esistenza delle streghe: "mendiche, miserabili.... macilente, brutte etc.", sradicate da "prolungate meditazioni e false credenze" (33) confinate nel mondo arido dell'esclusione dove l'altro, anche in termini sessuali, può essere solo fantasticato. Anche le osservazioni di Della Porta incrinano le prospettive monolitiche della demonologia; nel trattato Della magia naturale descrive infatti con chiarezza gli effetti di quelle sostanze che sono in grado di indurre "tante visioni" e "gioconde immagini" (34) ma che scompaiono dopo una notte proprio come avviene per le esperienze sabbatiche. Della Porta, con le sue congetture naturalistiche, entra in polemica con Bodin, il grande giurista persecutore di stregue. Gli interessi di Cardano e Della Porta per il mondo della marginalità non si limitano alla stregoneria. Entrambi, del resto, sono stati considerati autentici precursori dell'antropologia criminale grazie alla comune passione per la fisiognomica (35); una disciplina che, sovrapponendo simbologia e morfologia, intende dedurre le caratteristiche personologiche dall'analisi della forma del corpo, in particolare da quella del volto. Scrive Cardano che "la forma distorta delle membra rivela la improbità e la malignità". E più oltre: "Le linee della fronte... spezzate, disuguali, disordinate, asimmetriche, sempre attestano l'improbità". "Il capo aguzzo, il naso curvo fin dalla fronte... gli occhi rosseggianti e lucidi etc." sono invece il segno dei vecordes. Cardano, in sintesi, descrive singolari tipi umani, segnati da disarmoniche impronte somatiche, con tratti sociali e comportamentali particolari: vecordes, impazienti ed improbi che "nuocciono quando ne hanno l'occasione sia alle persone buone, contro le quali nutrono un grande odio istintivo, sia ai deboli incapaci di difendersi". Gli improbi, avverte Cardano, "per quanto non vestano come pagliacci, non parlino con voce alta e sgraziata, né camminino agitando le braccia con andatura precipitosa e veloce, sono ugualmente molto pazzi, e di una pazzia della peggior specie" (36). Della Porta, per suo conto, descrive l'aspetto dei cattivi, delle puttane, degli avvelenatori, degli omicidi. I cattivi sono brutti di faccia con "orecchie lunghe e strette" e con "denti canini lunghi, fermi e usciti fuori". Gli omicidi sono invece connotati da "ciglia pelose e congiunte" e dagli "occhi usciti fuori, secchi". Nell'ermeneutica dellaportiana sono poi frequenti i rimandi fra stile di vita e mondo animale: la lupa rimanda alla puttana, il corvo al ladro etc. (37). Sia Cardano che Della Porta, in breve, rivolgono uno sguardo assai attento al problema della devianza e al mondo degli irregolari: una società vecchia quanto l'uomo che acquista maggior spessore nei momenti di grande incertezza e mobilità politica, come si verifica nell'età del Rinascimento. Il problema degli irregolari non interessa allora i soli medici e, ovviamente, i giuristi ma richiama ben presto l'attenzione anche degli studiosi del costume, se così possono essere definiti autori come Frianoro o Tomaso Garzoni. Fin dal Medio Evo, del resto, è ben riconoscibile una inquieta società di erranti che personifica la follia del mondo: errones e vagamundi che si confondono con gruppi di mistici e di ribaldi. Di questa incerta famiglia scrive, fin dalla seconda metà del ë400, Teseo Pini nello Speculum cerretanorum: un trattatello che dopo oltre un secolo viene rimaneggiato dal Frianoro con il titolo de Il vagabondo che, fra una vera folla di furbi e di accattoni, si occupa anche degli ascioni degli accadenti e degli attarantati. Gli ascioni si fingono pazzi per avere l'elemosina e pure gli accadenti, dopo aver simulato un accesso epilettico, si rivolgono ai presenti per lo stesso motivo; gli attarantati, dopo un falso attacco di tarantismo, si fanno invece aiutare da un compare che raccoglie l'obolo in loro vece (38). Ben più vasti sono gli interessi e gli scritti di Tomaso Garzoni che si occupa, fra tante figure umane, dei pazzi viziosi e dispettosi (39) secondo una prospettiva che riconduce ad un fondamento somatico ogni diversità sociale e comportamentale. La questione del rapporto fra dis-ordine somatico e dis-ordine comportamentale appare ormai decisamente più mossa e complessa di quanto non lo fosse negli ultimi secoli del Medio Evo quando la misura di ogni giudizio era scandita dalla sola teologia. Nell'edizione del 1612 del Vocabolario degli Accademici della Crusca, alla voce "crimine" si legge ancora: "Ogni crimine è peccato, ma non ogni peccato è crimine. Abbiamo appresso da considerare in queste distinzioni di peccati, e di crimini, che alcuni peccati imbrattano l'anima, ma li crimini l'uccidono". L'allusione teologica si rivela pertanto ancora essenziale ma ormai eresia e stregoneria, le questioni nodali della cultura pre-moderna, non costituiscono più gli unici problemi di ordine sociale ed ideologico che possono coinvolgere la psicopatologia per invocare il dis-ordine malinconico degli umori. Dopo Cardano, Della Porta etc. lo sguardo dei naturalisti e degli studiosi si volge anche alla microcriminalità, alla marginalità civile, alla simulazione etc. mentre, sull'onda delle fortune anatomiche cinquecentesche, prende vigore l'osservazione fisiognomica per mettere a fuoco quegli irregolari della condotta che oggi rientrerebbero nel controverso capitolo dei disturbi di personalità. Gli abusi di vino, non di rado, strisciano fra gli irregolari e sottendono il dis-ordine sociale. Mattioli, nel commento a Dioscoride, scrive che il vino "bevuto senza modestia e senza regola (come fanno gli ebbriachi)" induce molteplici disturbi ed ancora "corrompe dopo questo i buoni, e lodevoli costumi: perciò che fa diventare gli uomini cianciatori, baioni, contentiosi, scredentiati, lussuriosi, giocatori, furiosi, disonesti, e homicidiali" (40). I tempi diventano rapidamente maturi per un confronto sistematico fra medicina e criminalità. Tale confronto si realizza con l'opera di Zacchia, il vero fondatore della medicina legale. Zacchia, che è archiatra e protomedico degli Stati Ecclesiastici, quando affronta spinose questioni - quali, ad esempio, le demonopatie - si sforza di mediare, come si usa dire, fra scienza e fede. In tema di possessione diabolica ritiene così che "gli umori melanconici siano i più adatti per attirare l'ospite infernale" (41); un parere, anticipato da Wier (42), e condiviso ancor oggi dai demonologi del ë900 (43). Autore delle celebri Quaestiones medico-legales (44), dedica un ampio e dettagliato capitolo alle malattie mentali al fine di tratteggiare le direttive per una concreta collaborazione fra medicina e giustizia nel rispetto dei valori della fede da cui discendono gli ordinamenti civili. La criminalità, con le paure che suscita, non sfugge allo sguardo dei cultori di iconologia: una disciplina, tipicamente cinquecentesca e seicentesca, che tende alla rappresentazione figurata e sintetica di situazioni esemplari. In un mondo saturo di cultura classica, Alciato (45), per raffigurare la vendetta del pazzo, ricorda ancora una volta l'episodio di Aiace che uccide gli animali. Pure Ripa (46) ha gusti classicheggianti ed immagina l'omicida brutto, pallido, insanguinato con spada e cimiero. Il Bocchi (47), mentre ancora trionfa la pratica del supplizio, non rinuncia allo spettacolo giudiziario ma propone, come strumento di pena, una sorta di anticipazione della ghigliottina che non esclude il tormento ma lo rende più celere. Forse la sensibilità collettiva va impercettibilmente cambiando. © POL.it 2000 All Rights Reserved |