PISCOPATOLOGIA E CRIMINALITA'. Luciano Bonuzzi
DALL'ETÀ DI MEZZO AI TEMPI MODERNI FERMENTI DOTTRINALI ALLE ORIGINI DELL'ETÀ CONTEMPORANEA CRIMINALITÀ E ORGANIZZAZIONE ANATOMICA L'ANTROPOLOGIA CRIMINALE CONTRIBUTI CLINICI ALLA CRIMINOLOGIA
L'antropologia criminale Nlel'età dello specialismo medico, l'antropologia criminale prende corpo dalla sovrapposizione di alcuni capitoli comuni alla psichiatria e alla medicina legale che, fin dall'ultimo ë700, hanno la dignità di vere branche specialistiche. Il cliché del criminale ottocentesco nasce invece dal confluire complesso di molteplici motivi ideologici e scientifici. In effetti, la filosofia dell'illuminismo, quella dell'idealismo e del positivismo propongono, lungo il passare del secolo, mutevoli e rinnovate categorie per interpretare il fenomeno sempre più dilagante della criminalità. La trasformazione rapida della società nella prima fase dell'industrialismo nascente, con l'urbanesimo e con l'organizzazione alienante del lavoro che lo caratterizza, fornisce poi senza risparmio il materiale umano che diventa oggetto di studio. La medicina infine, per adeguarsi all'esigenza di conoscere forme di disagio umano e sociale che sembrano destinate all'incremento continuo, muove con incerta problematicità fra neuroanatomia e biologia, fra psicologia e sociologia. Dall'intrecciato confluire di suggestioni ideologiche e di indubbi dati oggettivi nasce, appunto, l'antropologia criminale che ha per inventore, se così si può dire, Cesare Lombroso. Educato fra Verona e Vienna, dopo una fase giovanile di compromissione con lo storicismo, Lombroso aderisce al positivismo evoluzionista. I più comuni strumenti conoscitivi di cui si serve sono la storia, la statistica sociale, la misurazione anatomica. Alla fine ne esce un sapere che, fondato sullo sguardo, tende all'astrazione del visibile con una emblematica tipizzazione dell'uomo criminale. Negli anni di formazione giovanile ha indubbio rilievo il rapporto con Giulio Sandri e con Paolo Marzolo. Sandri (97) è un veterinario dai vasti interessi umanistici e non un semplice botanico come scrivono i biografi di Lombroso che, giovanetto, è fra gli scolari di questo singolare protagonista della cultura veronese del secolo scorso. Ben più forte è, comunque, l'influenza esercitata da Paolo Marzolo (98) che, accanto a generiche suggestioni culturali, trasmette a Lombroso quell'interesse linguistico che lo accompagnerà lungo tutta la vita nello studio della comunicazione e del gergo del mondo criminale. Il giovane Lombroso, in effetti, si misura assai precocemente sia con la linguistica che con ricerche di storia sociale e con patografie di illustri personaggi storici che anticipano i metodi e i contenuti delle opere più mature. Verosimilmente influenzato dalla pagina di Puccinotti, il giovane Lombroso cita Vico e conosce psichiatri idealisti come Damerow ed Ideler (99) ma ben presto con la traduzione de La circolazione della vita (100) di Moleschott entra in contatto con il pensiero di Feuerbach che, ispiratore di Moleschott, è il capo scuola della sinistra hegeliana. In effetti, il determinismo e l'entificazione del pensiero propri della sinistra hegeliana sono concetti condivisi anche da Lombroso che tuttavia aderisce ben presto, e con più esplicita sintonia, all'evoluzionismo di Darwin. Il pensiero lombrosiano va pertanto rapidamente chiarendosi in senso evoluzionistico. Nel pensiero dell'antropologo torinese, in altre parole, storia ed evoluzione si fondono sempre più intimamente secondo una direttiva di sviluppo che muove dalle scimmie, al selvaggio, all'uomo civilizzato conoscendo tuttavia le possibili cadute storiche e le regressioni biologiche della criminalità e della malattia mentale. In questa prospettiva le ricerche storiche sono al servizio diretto ed immediato della criminologia e della psichiatria, mentre piatte argomentazioni di ordine biologico-evoluzionistico permettono a Lombroso l'interpretazione non sempre cauta di eventi storici e sociali complessi. Così, per studiare l'uomo delinquente, guarda alla fisionomia di noti personaggi del passato come Messalina, Caligola, Nerone. Nel contempo, descrivendo costumi e consuetudini di altre epoche, teorizza il relativismo storico dei principi etici per cui, ad esempio, il "delitto endemico" dell'età barbara non è da ritenere, a suo avviso, "antropologicamente né giuridicamente tale, come non lo è quello degli "animali" (101). L'evoluzionismo permette, insomma, di interpretare storia e società all'insegna dell'accedere biologico. La sociologia lombrosiana, ispirata non solo a Darwin ma anche a Comte ad Adam Smith e soprattutto a Spencer, trova nella statistica un essenziale strumento conoscitivo. Lungo il secolo scorso, del resto, le ricerche statistiche, non solo in sociologia ma anche in medicina, sono ormai condotte con grande profitto: basti pensare alle indagini epidemiologiche veronesi di Rigoni Stern e a quelle antropometriche di Achille De Giovanni. In Lombroso, in effetti, antropometria e sociologia convergono proprio all'insegna della statistica. Essenziale è infatti l'intento di cogliere grazie alla ricerca statistica il substrato morfologico che sottende quella particolare trasgressione dell'ordinamento sociale che configura un comportamento criminale. La ricerca statistica, opportunamente condotta su gruppi omogenei, permette infatti, secondo Lombroso, di dimostrare l' "esistenza tanto disputata del tipo criminale", tipicamente connotato da un cranio che, per quanto concerne gli assassini, "presenta il massimo dei caratteri criminali", e cioè: "fronte stretta, seni frontali, orbite, mandibola e zigomi enormi, aspetto pleteiforme della docciatura nasale, asimmetria della faccia, del naso, delle orbite, appendice lemuriana delle mandibole; obliquità dell'orbita" (102). L'interesse enfatico di Lombroso per ogni tratto morfologico abnorme o francamente patologico va considerato tenendo conto del clima particolare che caratterizza la medicina nel secondo ë800 dominata dall'anatomia patologica e dal prestigio di ricercatori come Rokitansky, docente a Vienna proprio quando è presente Lombroso, e come Virchow. L'anatomia normale non è più la disciplina forte per eccellenza come nel ë500 ma lo è invece l'anatomia patologica e il corpo non è più il corpo animato di Vesalio ma è inteso piuttosto in modo frammentario, quasi un insieme ai solidi in perfusione. La scientificità dei tempi, con il passaggio dalla filosofia della natura all'era delle "exakten Naturwissenschaften" (103), impone poi la misurazione scrupolosa di ciò che è visibile quale garanzia per una corretta ricerca. Lo stesso uomo sano, in questo contesto, appare diligentemente modellato sul patologico. Non deve pertanto stupire che l'antropologia lombrosiana si configuri come antropologia criminale e risulti fondata su dati anatomici abnormi statisticamente elaborati. Se il dato morfologico abnorme, ad intonazione anatomo-patologica, costituisce il fatto oggettivo che si offre allo sguardo di Lombroso, l'attribuzione di significato al dato stesso avviene poi in chiave evoluzionistica. Pionieristiche al proposito le ricerche su "l'uomo bianco e l'uomo di colore" e sulla "fossetta cerebellare mediana". Su Lombroso, infatti, esercita grande suggestione il reperimento di una "fossetta cerebellare mediana nel cranio di un delinquente", certo Villella "figlio di ladri, ozioso e ladro egli stesso"; il caso viene pubblicato nel 1871 nei rendiconti dell'Istituto Lombardo e poco dopo anche nella monografia su L'uomo bianco e l'uomo di colore, un saggio antropologico che anticipa sotto molti profili il pensiero della maturità. Lombroso espone in questa memoria le differenze e le affinità fra le varie razze e avvicina l'uomo di colore alle scimmie; secondo Lombroso "l'uomo melanico è una trasformazione d'un animale pitecoide", mentre nel contempo "le regressioni pitecoidi provano l'affinità dell'uomo con gli altri animali". Ed è a questo livello dove si inserisce il commento al caso Villella che, appunto, era fornito di una fossetta cerebellare che, secondo Lombroso, "serviva al ricetto di un lobo sopranumerario del cervelletto". Il brigante Villella, insomma, era da intendersi come portatore di "un vero cervelletto mediano, come si nota appena negli ultimi lemurini" (104): un'anomalia di tanto rilievo da escludere ogni responsabilità giuridica. Per Lombroso si deve, infatti, "concludere che un uomo, costruito diversamente dagli altri nell'organo del pensiero, doveva diversamente dagli altri essere responsabile delle sue azioni" (105). Verga dissente immediatamente da Lombroso ritenendolo vittima delle suggestioni frenologiche (106), ma Lombroso ritorna sulla questione e, forte della statistica, in uno studio su 181 alienati compiuto con Bergonzoli ribadisce "essere senza alcun dubbio la fossetta occipitale mediana assai più frequente negli alienati... che nei delinquenti ed in tutti costoro assai più che negli uomini sani" (107). L'indagine del rapporto fra delinquenza, patologia mentale ed alterazioni somatiche è ormai chiaramente al centro della ricerca lombrosiana che, muovendo da evidenti premesse frenologiche, sfocia nella negazione del libero arbitrio degli alienati e dei delinquenti. Del resto la questione del libero arbitrio, dopo la pubblicazione de L'origine della specie, interessa ampiamente l'opinione pubblica e non solo i criminologi in quanto il tema darwiniano del rapporto fra l'uomo e la scimmia, da cui l'uomo deriverebbe, solleva fatalmente il dibattito sul rapporto fra libertà umana e determinismo animale. Dopo la presentazione del darwinismo in Italia, ad opera di De Filippi (108) ma anche ad opera di Lombroso, è celebre la polemica fra Herzen, che invita a minimizzare "il cosiddetto libero arbitrio umano", e Tommaseo, acceso e polemico, per il quale "la negazione del libero arbitrio è conseguenza legittima della scimmiologia" (109): una prospettiva che renderebbe vana ogni presunzione di libertà e di autonomia per la stessa ricerca scientifica. Lombroso, ad ogni modo, pur consapevole che l'origine pitecoide dell'uomo è un'ipotesi, si dichiara evoluzionista: ritiene che l'evoluzione delle razze sia darwinianamente regolata dalla "lotta per l'esistenza", dalle influenze ambientali e dalle trasformazioni geologiche e climatiche e il bianco, che ha raggiunto "la più perfetta simmetria nelle forme del corpo", sarebbe il punto d'arrivo della selezione evolutiva (110). Attraverso lo studio comparato di differenti comportamenti, Lombroso nota poi come certe azioni che l'uomo civilizzato giudica delinquenziali si possono cogliere nei selvaggi e negli animali per cui il delitto è interpretabile come un "fenomeno naturale". L'esame antropologico dei criminali permette, del resto, di cogliere alcuni tratti abnormi con significato atavico in quanto rimandano a forme proprie di antenati dell'uomo, lontani nella scala evolutiva. In altre parole, considerando come i tratti atavici in parola si possono associare ai comportamenti aggressivi tipici degli animali e dei selvaggi, secondo Lombroso è legittimo ritenere che le tendenze trasgressive dei criminali abbiano carattere naturale in quanto sono necessariamente dipendenti da una organizzazione inferiore, sia fisica che psichica, analoga a quella dei primitivi, dei selvaggi, degli stessi animali. Lombroso ha così descritto e materializzato il tipico delinquente nato. A Lombroso sono stati rimproverati l'errore frenologico che immagina il cranio modellato sull'encefalo e l'uso affrettato della statistica, ma soprattutto il rigido e riduttivo determinismo. In realtà, come notano i commentatori delle varie edizioni de L'uomo delinquente, l'orizzonte lombrosiano di indagine si allarga progressivamente. Nell'ultima edizione del celebre trattato, mentre un ampio spazio è riservato all'epilessia e alle influenze dell'ambiente sociale, sono ben descritti, accanto al delinquente-nato atavicamente determinato, il pazzo morale, il delinquente epilettico, il delinquente d'impeto o passione, il delinquente pazzo e il delinquente d'occasione. Il pazzo morale, più vicino al selvaggio che all'alienato, non si discosta molto, in verità, dal delinquente-nato. Dominato da una forza irresistibile, da un'affettività pervertita e senza freni, appare disadatto ad ogni possibile convivenza sociale. Il profilo psicologico, caratterizzato dall'irritabilità morbosa, rimanda, d'altra parte, ai disturbi epilettoidi (111). L'epilessia, secondo Lombroso, non va ridotta all'accesso o alle assenze ma comprende piuttosto quel vasto insieme di caratteri che configura il tipo epilettico che riunisce ed esagera "tutti i tratti del pazzo morale e del delinquente nato", soprattutto per quanto concerne il profilo psicologico con i forti automatismi distruttivi e con le frequenti amnesie che lo caratterizzano. Del resto gli accessi di furore epilettico, gli equivalenti psichici dell'epilessia, riassumono, concentrato ed esagerato, quanto l'epilettico fa normalmente: sono caricature del delitto. Nel capitolo in parola Lombroso descrive il celebre caso Misdea; un soldato, oriundo di Girifalco, che in un impulso uccide 7 commilitoni e ne ferisce 13 dopo un banale diverbio fra nord e sud, fra "Alta Italia" e "Terre arsiccie". L'epilessia psichica, insomma, può manifestarsi con atti criminosi ma soprattutto in chi, ricco di caratteri degenerativi, è congenitamente predisposto. "L'impulso criminoso" altro non è che "una scarica dei centri psichici più elevati" (112). Dai tipi precedenti si distanzia il delinquente d'impeto, dominato dalla forza irresistibile delle passioni. In questi soggetti mancano quelle stigmate degenerative che si leggono nel cranio e nella fisionomia del delinquente nato; si nota invece una tradizione di vita onesta ed una proporzione comprensibile fra causa scatenante e delitto che è sempre contro le persone piuttosto che contro la proprietà. I delinquenti d'impeto, per l'impulsività e l'amnesia, ricordano più gli epilettici che i rei comuni. In questo capitolo Lombroso comprende gli autori dei delitti politici, sollecitati dal fanatismo di riforma sociale e economica (113). Numerosi, secondo Lombroso, sono poi i delinquenti affetti da disturbi mentali per quanto scarsamente evidenziati dalle statistiche per il timore che il disturbo possa essere addotto come facile motivo per scusare il reato ed escludere la pena. D'altra parte, la complessità delle diagnosi psichiatriche impedisce di elaborare un chiaro tipo di delinquente pazzo. In ogni modo, la mania, il raptus melancolico, l'alcoolismo, l'isterismo sono non di rado associati al delitto. Ma nel capitolo sul rapporto fra criminalità ed alienazione, accanto alle diagnosi classiche, Lombroso aggiunge una nuova categoria psicopatologica, quella dei delinquenti mattoidi, "frequenti nelle città dove abbondano i pazzi", come ad esempio Verona (114); presentano modeste anomalie degenerative ma si rivelano instabili nel lavoro, grafomani, litigiosi, contraddittorii, con egoismo mascherato da altruismo. Concludono la serie i delinquenti d'occasione, ammessi da tanti autori e dalla saggezza popolare di sempre; Lombroso tuttavia invita alla cautela perché non di rado anche in casi ritenuti banalmente occasionali, se attentamente osservati, è possibile individuare qualche tratto degenerativo (115). Con il passaggio dalla delinquenza atavica al reato d'occasione attraverso le forme intermedie consumate dal delinquente epilettico ed alienato, l'interesse lombrosiano si sposta dalla valorizzazione delle cogenze biologiche all'attenzione per le molteplici occasioni sociali che spingono alla trasgressione, senza trascurare la possibile influenza della patologia epilettica, tipicamente neurologica, e di quella psicopatologica che caratterizza le malattie mentali. L'interesse per il mondo sociale, in ogni caso, pone Lombroso innanzi alla complessità delle nuove forme della criminalità organizzata e di quella politica in particolare. La questione politica è, del resto, affrontata in molteplici monografie e saggi fra i quali: Due Tribuni, Pazzi ed anomali, Gli anarchici, etc. In Due Tribuni propone un confronto fra Cola di Rienzo, ispirato dallo Spirito Santo e guidato dalla voce di Dio, e certo Coccapieller che, mattoide, si fa notare nella Roma dell'ultimo ë800: repubblicano ma in rapporto con il re, grafomane, imbevuto di contraddizioni. L'analisi della biografia di simili personaggi invita Lombroso a tentare una nuova "teoria psichiatrico-zoologica delle rivoluzioni": gli è che gli uomini, nota Lombroso, odiano le innovazioni perché obbediscono alla legge d'inerzia ma gli alienati e i mattoidi, le cui tendenze ed il cui organismo sono diversi, esprimono forme d'originalità che, opponendosi all'inerzia, anticipano e preparano quei rivolgimenti che rendono possibile il progresso (116). Sul ruolo degli alienati e dei mattoidi nell'ordine pubblico Lombroso ritorna in Pazzi ed anormali dove espone, con larga ampiezza, il caso di Lazzaretti, quasi una versione contemporanea dell'avventura di frate Dolcino. Lazzaretti, dopo visioni mistiche, da bestemmiatore diventa evangelico e riesce a farsi ricevere da Pio IX che, peraltro, sembra avergli semplicemente consigliata qualche buona doccia. Lazzaretti, tuttavia, digiuna, predica, raccoglie elemosine, organizza processioni, pubblica scritti apocalittici; riesce così a raccogliere un ampio gruppo di seguaci ai quali raccomanda astinenza e castità, permettendo il rapporto sessuale ai coniugati dopo aver pregato nudi per un paio d'ore. Nella bandiera della setta è scritto: "la repubblica è il regno di Dio". Nell'agosto del 1878, convinto di dover affrontare la battaglia della gloria, accompagnato dai fedeli scende da Montelabro, sede del gruppo, e viene abbattuto dagli agenti della pubblica sicurezza: si temeva che volesse rovesciare il governo e promuovere la rivoluzione. Ma Lombroso non ha dubbi: si trattava di un malato di mente mal giudicato dai tecnici del tribunale di Rieti che, nel 1874 in occasione di una richiesta peritale, lo avevano ritenuto sano (117). Ben più coinvolgenti sul piano concreto sono le questioni affrontate nella memoria su Gli anarchici. Lombroso consapevole di vivere in un momento difficile richiama l'attenzione sulle asperità economiche del particolare momento storico tanto da dover dubitare nella linearità del progresso che non è in ascesa continua ma interrotto da continue cadute. Le disarmonie economiche, la rapacità industriale e il privilegio politico spiegano ampiamente la protesta sociale. Ma a questo proposito Lombroso distingue fra rivoluzione e ribellione. "La rivoluzione è l'espressione storica dell'evoluzione, calma ma estesa e sicura"; è ispirata per lo più da uomini geniali o passionali e si realizza nei popoli più civili. Simile alla crisi di crescita degli individui, la rivoluzione non è un fenomeno patologico "ma una fase necessaria dello sviluppo della specie". Le sedizioni sono invece opera di pochi; spesso sollecitate da motivazioni personali queste ribellioni hanno per protagonisti delinquenti e pazzi (118). E gli anarchici, salvo qualche eccezione, sono per lo più, insiste Lombroso, pazzi o criminali. Validi rimedi contro le moderne forme di disordine sociale sono l'educazione tecnica adeguata ai tempi, la promozione del lavoro, la riduzione delle forme di concentrazione economica e di potere. Mentre per i criminali alienati viene proposto il manicomio criminale al fine di conciliare "l'umanità colla sicurezza sociale" (119), per prevenire quelle forme di trasgressione che nascono dal disagio sociale viene invece valorizzato il lavoro, alla maniera di Don Bosco. Del resto anche per le più consolidate forme di associazione al mal fare - brigantaggio, mafia e camorra - Lombroso sa bene quale valore determinante abbia quella cultura che rifiuta il lavoro e sa altrettanto bene come il carcere, proprio per questi soggetti, possa diventare una scuola di criminalità. In sintesi, nulla sembra sfuggire allo sguardo di Lombroso che abbraccia l'anatomia, la neurofisiologia, la clinica, la psicologia, la società, i prodotti stessi dei soggetti osservati, elaborando vaste statistiche riassuntive e raccogliendo i più diversi documenti di interesse criminologico che risultano pubblicati sia nell'Atlante, edito in appendice a L'uomo delinquente, che nei Palinsesti del carcere (120). Su Lombroso, ancor oggi oggetto di appassionato dibattito, non è facile esprimere una cauta e distaccata valutazione. E' merito di Lombroso l'impegno nel prendere le distanze dalla così detta scuola classica del diritto di Francesco Carrara che, ispirato ad una concezione astratta del libero arbitrio, intende la pena come una forma di reintegrazione del diritto violato (121). Con Lombroso e la sua scuola, nota Portigliatti Barbos, il problema della criminalità viene invece affrontato concretamente, in prospettiva naturalistica, spostando l'attenzione dall'astrazione del crimine allo studio scientifico della personalità del criminale (122). Sul piano personale a Lombroso va riconosciuta la capacità di autocritica e la disponibilità ad allargare l'orizzonte delle proprie osservazioni. Si aggiunga che Lombroso si è impegnato, lungo tutta la vita, non solo come ricercatore ma anche come pubblicista e come militante nell'ala positivista, se così si può dire, del movimento socialista. D'altra parte la radicalità della particolare posizione ideologica in tema di libero arbitrio e l'indubbio riduzionismo biologico, che portano alla soluzione pessimistica del manicomio criminale, risultano oggi insoddisfacenti; anche a questo proposito non va però dimenticato che se con Lombroso acquista enfasi eccessiva il problema della difesa sociale e la sua pessimistica soluzione, proprio con Lombroso - si cita ancora Portigliatti Barbos - risulta "modificato il concetto di pena come punizione, sostituendovi la misura terapeutica ed introducendo la intermediazione dei sostitutivi penali". E' in ogni caso scorretto, come ancor oggi accade, voler leggere Lombroso staccandolo dalla cultura del suo tempo ma proprio questo approccio anacronistico è forse da ritenere un omaggio inconsapevole all'impegno civile di Lombroso, non di certo ai suoi modelli scientifici che sono palesemente caduchi come deve essere ogni modello scientifico. I contemporanei, d'altra parte, amavano scovare precursori fra gli studiosi di molti secoli addietro ma anche questo approccio era poco corretto in quanto il pensiero degli autori citati è per lo più fondato su differenti criteri dottrinali e pertanto quelle che sembravano anticipazioni altro non sono che banali analogie. Se un anticipatore vi fu questo è piuttosto Catteneo (123) che, ravvisando nella medicina ottocentesca la più matura forma di sapere scientifico per affrontare il tema della criminalità, incoraggia sul piano metodologico la pratica di ricerca lombrosiana. Lombroso comunque, sia pure fra polemiche e dissensi, ha richiamato l'attenzione non solo dei contemporanei, ma anche di molti fra i principali studiosi del ë900. Nel rapporto con i contemporanei va segnalata la vivace polemica con gli autori francesi che ruotano intorno alla scuola di Topinard (124). Si contesta che Lombroso sia un antropologo e si rifiuta la proposta del "tipo" criminale che pare costruito mediante la libera sommatoria dei tratti più diversi, quasi un miraggio. Ma nella stessa Francia a Lombroso non manca qualche fortuna in ambito letterario nella sintonia con Zola. In Italia il punto su Lombroso viene fatto con un volume giubilare del 1906 che raccoglie molteplici contributi di noti studiosi legati alla sua scuola, alla scuola positiva (125). Ed anche in Italia, come in Francia, il pensiero lombrosiano influenza la letteratura: si pensi a Franti, il ragazzaccio incorreggibile del Cuore. Un'attenta biografia della figlia Gina, edita nel 1915 (126), tenta infine di riassumere la formazione ed i progressivi sviluppi del pensiero lombrosiano. Ma il dibattito resta a lungo aperto, anche dopo la morte, con Agostino Gemelli, Zerboglio, Gentile, Gramsci. Per Gemelli il "tipo" criminale non esiste, né la delinquenza è la conseguenza fatale della degenerazione; l'uomo, infatti, è libero anche se molteplici circostanze - spirituali, somatiche e sociali - possono attenuare la pienezza del libero arbitrio come si verifica in alcuni disturbi psichici (127). Pure Zerboglio, pur riconoscendo i meriti storici di Lombroso, deve prendere atto che a Lombroso sfugge che il delitto è, innanzi tutto, un fatto sociale (128). Anche Gentile distingue fra meriti empirici ed incongruenza dottrinale; per Lombroso, infatti, il delinquente è ridotto a corpo che come tale non può delinquere, là dove il mondo dell'uomo, che è spirito e libertà, è liberamente orientato dal riconoscimento dei valori (129). Lo stesso Gramsci esprime indubbie perplessità in merito alla scuola lombrosiana che ritiene ossessionata dalla criminalità e dominata da concezioni moralistiche piuttosto astratte (130). Pure nel secondo dopoguerra Lombroso continua ad essere oggetto di studi e ricerche, sia in Italia che all'estero. Wolfgang (131), ritornando su apprezzamenti e riserve già espressi in passato, sottolinea l'onestà intellettuale di Lombroso pur richiamando l'attenzione sul limite metodologico delle sue ricerche condotte senza verifica su gruppi di controllo. A J.L. Peset e M. Peset (132) si deve una monumentale sintesi sulla scuola positiva nel suo insieme. I volumi di Villa, Bulferetti, Baima Bollone (133) ma anche brevi saggi, come quello di Balestrieri (134) o di Colorio e Concari (135), testimoniano la continuità degli interessi. Lombroso tuttavia, per quanto studiato soprattutto da medici e da filosofi, non fu né un filosofo, né uno scienziato, fu piuttosto un "savio" come scrisse Ferrero (136); oggi si direbbe un ideologo dall'acceso impegno sociale. © POL.it 2000 All Rights Reserved |