Lettera di Peppe Dell'Acqua, Direttore Dsm Trieste, pubblicata sull' Unità del 3 dicembre 2002 e sul Manifesto del 5 dicembre 2002
Trieste 4 dicembre 2002
Caro giornalista,
con questa lettera, che tante volte avrei voluto scriverti, vorrei rivolgermi ai tanti amici con cui so di condividere la fede nella democrazia e molte battaglie per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza alle fasce più deboli della popolazione. Vorrei parlare a quanti, di fronte al rischio di cancellazione della legge 180, vogliono assumere posizioni di equilibrio neutrale, riconoscendo (e chi non la riconosce!) la sofferenza che vivono le persone con disturbo mentale e le loro famiglie e la chiusura dei manicomi come causa di quella sofferenza. A quegli amici che dichiarano ideologica ed utopica la 180 e che sono convinti che i malati di mente, così li chiamano senza imbarazzo, vanno collocati in luoghi dignitosi che, per carità!, non diventino lager .
Non c'è imbarazzo nelle tue affermazioni perché pensi al dolore delle famiglie, perché pensi all'evidenza di troppe risposte mancate. Perché , come me, pensi di avere a cuore il destino delle persone con disturbo mentale. Eppure se tu avessi potuto attraversare, con me e con loro, gli ultimi trent'anni della storia psichiatrica italiana, forse qualche sicurezza la perderesti. E proveresti imbarazzo perché quella legge (che io temo tu conosca poco), con un gesto assolutamente semplice e "umanamente comprensibile", con un semplice atto di giustizia, ha restituito a quelle persone ridotte a "matti da legare" lo statuto di cittadini, il diritto ad esistere dentro quel contratto sociale da cui erano stati definitivamente espulsi in modo del tutto improprio, anche se "giustificabile" per la cultura scientifica del XIX secolo.
Perché, oggi in Italia, grazie a quella legge, i soprusi che i malati e le loro famiglie continuano a subire, sono riconosciuti per quello che sono : ingiustizie che , proprio perché esiste quella legge sono finalmente riconoscibili come tali.
Le persone ancora legate ai letti, le porte chiuse, le mortificazioni corporali, gli abbandoni intollerabili sono gli oltraggi a quel diritto di cittadinanza, che oggi, quando viene violato o negato, genera imbarazzo, obbliga a nascondersi, a trovare scuse.
E allora faresti fatica a liquidare così in fretta la questione, pensando ad una malattia che ancora si ritiene invalidante perché non si sa di che cosa si sta parlando e ci si fida di parole di cui non si legge il significato. Proveresti imbarazzo perché avresti visto troppe persone "dementi" riaversi, rimontare, rimettersi a parlare di sé, di te, di tutti noi, rimettersi a guardare oltre il muro dietro cui la psichiatria aveva sepolto vive le loro storie. Conosceresti molti uomini e donne che oggi lavorano, hanno una famiglia, svolgono compiti di responsabilità, frequentano i teatri, i cinema , leggono, scrivono, giocano a calcio. Insomma amano fare le stesse cose che tu ami. Avresti visto che le persone con schizofrenia guariscono, e vogliono vivere e si battono per non essere mai più discriminate. " Voglio che la gente capisca che io sono proprio come tutti gli altri. Sono una persona e voglio essere trattata come tale.Nessuno dovrebbe pensare di mettermi in una scatola con l'etichetta" ha detto con commozione Nadia, ad un convegno delle associazioni di persone con disturbo mentale.
Solo perché non sei stato lì, allora, continui a non sapere che quella sofferenza che chiamiamo "malattia mentale" non risponde ad alcun decorso inesorabile, ma che ben diversamente si gonfia, si piega o si frantuma a seconda di come la si guarda, la si ascolta; di come ci si avvicina a chi vi è rimasto intrappolato. Che la malattia mentale non è un'entità granitica, un' evidenza biologica, un' ipoteca irreversibile sulla condizione umana. Che le ferite, le storture, i sobbalzi dell'esistenza diquesti uomini e donne assomigliano ai nostri, che quel dolore ci riguarda ed è comprensibile, come lo è tutto ciò che appartiene all'umanità che è in noi. E solo dato che non sei stato lì, continui a ignorare che la malattia si nutre dell'abbandono, della violenza, dell'incomprensione, eppure riesce stemperarsi fino a sfaldarsi quando il diritto di cittadinanza che quella legge oggi sancisce si tramuta in appartenenza: nel diritto di esistere, abitare, lavorare, avere relazioni.
E che oggi non è più possibile spacciare la violenza, l'usurpazione, il controllo per pratica terapeutica perché c'è sempre, da qualche parte, qualcuno che finisce per smentirlo: un operatore, un volontario, un sindaco, una madre, un fratello, un semplice cittadino che sa. Una persona che chiede aiuto, che pretende di parlare, di capire, di essere ascoltata. Che chiede ostinatamente di guarire. Un padre o una madre che pretendono un figlio da amare e non qualcuno di cui avere paura, qualcuno di cui disfarsi, una povera cosa da abbandonare altrove.
Conosceresti, se invece fossi stato con me nei luoghi della follia, i sussulti, le tribolazioni, lo smarrimento della "scientificità psichiatrica" perché avresti incontrato i suoicedimenti mille volte. Riconosceresti che l'inguaribilità e la cronicità nascondono l'incapacità della psichiatria di vedere i propri limiti e l'inerzia che le impedisce di inventarsi strategie nuove e diverse . Avresti visto Servizi di Salute Mentale fasulli, inesistenti, grotteschi nel loro disimpegno, nella loro sciatteria, nella loro stupidità; e ti accorgeresti della falsità di chi intende far ricadere sulla legge la responsabilità di questi fallimenti.
Ma avresti visto anche centri di salute mentale territoriali funzionanti, residenze comunitarie, gruppi di convivenza diffusi in tutte le regioni italiane e sapresti quanto è stata ricca e faticosa la costruzione di una alternativa all'internamento, alla deprivazione, all'abbandono istituzionale, al bisogno di relazioni che le persone finalmentemanifestano. Avresti incontrato migliaia di maestri, educatori, accompagnatori, attori, imprenditori, scrittori sempre molto motivati che hanno dato vita alle cooperative sociali: esperienze che sono oggi uno strumento irrinunciabile di emancipazione, di rimonta che meglio dovrebbe essere conosciuto e alimentato. Avresti frequentato le tante associazioni formate da persone con disturbo mentale, da familiari, da cittadini che,al di là delle strumentalizzazioni che tu stesso inconsapevolmente alimenti, rappresentano il segno più evidente del cambiamento.
Riconosceresti che, nei fatti, una legge quadro, come è la legge 180, ha avuto a Trieste, nella nostra regione e in molti altri luoghi in Italia applicazioni pratiche esemplari. E ti fideresti di quanto segnala l'Organizzazione Mondiale della Sanità che, come ricorda un tuo lettore indica l'esperienza del nostro paese come uno dei pochissimi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale. E per questo diventa ancora più colpevole la disattenzione dello stato e dei governi locali nel corso di tutti questi anni.
Riconosceresti così anche quello che manca: investimenti materiali e risorse umane finalmente adeguati, stimabili intorno a quel 5% della spesa sanitaria da destinare alla salute mentale. Da anni ormai lo richiedono tutte le associazioni e gli stessi governatori regionali. Un impegno tangibile da parte delle regioni per rafforzare le reti dei servizi comunitari, attivando centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e residenze comunitarie come da vent'anni succede a Trieste, per popolazione ed aree definite ; un'azione di vigilanza perché i servizi ospedalieri di diagnosi e cura, i servizi dell'emergenza,non siano situati nei sottoscala degli ospedali né diventino bunker inesorabili e terrificanti . Un'assunzione di responsabilità da parte del mondo accademico per garantire un insegnamento coerente con il modello di organizzazione dei servizi che il nostro paese ha individuato e cerca di realizzare. Il coinvolgimento degli enti locali perché promuovano programmi di formazione e di inserimento lavorativo delle persone con disturbo mentale, soprattutto i più giovani . Tutte cose già possibili grazie alla 180 e al progetto obiettivo.
Forse allora sapresti tutto questo che non sai perché troppe volte abbiamo dimenticato di chiamarti in causa. Di farti vedere che cosa è davvero successo. E così tu hai visto soltanto l'abbandono delle persone in nome di una libertà che era solo indifferenza e arroganza. Hai visto la supponenza dei tecnici, le negligenze delle amministrazioni, la miopia dei politici. Hai incontrato mille volte la falsa coscienza di una democrazia che si elargisce facilmente a chi ci assomiglia molto, a chi è forte e ha il potere. Ma che si concede con riserva a tutti gli altri soprattutto a chi si è convinti di dover diversamente considerare. Come la persona con disturbo mentale e la sua famiglia, che più di altri rischiano di perdere contrattualità, potere, credibilità, ascolto, comprensione.
L'irruzione della malattia mentale fa perdere soggettività, rende debolissimo il diritto e finisce per giustificare interventi al limite della legalità, soprusi, gesti violenti. La legge 180 ha voluto impedire che questi gesti banali e drammaticamente automatici avessero legittimità formale, avessero autorità giuridica.
La libertà è terapeutica" scrivemmo sui muri del manicomio di Trieste che si apriva, "la cittadinanza è terapeutica" ha ribadito il cardinale Martini in un recente convegno della Caritas a Milano.
Ma riconoscere questa cittadinanza e questa libertà, che la legge garantisce formalmente, non significa credere che queste persone siano già libere, a dispetto degli innumerevoli condizionamenti affettivi , cognitivi, relazionali, sociali che la loro sofferenza e lo sgomento che suscita portano con sé. Significa invece, come ricorda la consulta di bioetica , che con straordinaria lucidità si è espressa su questi temi, aiutarle a diventare libere.
Come vedi è possibile riproporre tutta la questione senza nulla di assoluto e di ideologico.
A una condizione però: che le persone con disturbo mentale continuino ad essere considerare cittadini. Persone come tutte le altre, la cui dignità e il cui valore devono costituire un limite invalicabile per l'operato delle organizzazioni, delle tecniche, delle amministrazioni. Se perdessimo questa rotta, come sembra minacciare il vento controriformista, si finirebbe per spostare tutele e garanzie dai "matti" e le loro famiglie ad una piatta ed anacronistica difesa dell'ordine sociale, per proteggere in realtà la supponenza e gli interessi dei mercati e delle lobby professionali. Legalizzeremmo di nuovo la violenza e l'abbandono da cui già ora, con tanta difficoltà, devono difendersi le persone con disturbo mentale e loro famiglie. Una miriade di persone che, nonostante la 180, devono battersi quotidianamente contro tanti nemici, spesso lontani e invisibili, ma sempre molto più forti di loro. Ministri, politici, tecnici, sindacati, amministratori locali, giudici, preti, giornalisti, uomini comuni che troppo spesso le hanno considerate oggetti, pensando che non avessero niente da dire, negando sempre le loro storie. Condannandole ad un'estraneità irreversibile.
Con stima
Peppe Dell'Acqua
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